Capitolo 49

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-Mattheo 

Frastornato dal suono duro e fastidioso della pioggia, mi rigirai per la quarta volta fra le lenzuola, che si attorcigliarono fra le mie gambe, impedendomi di muovermi ancora.
Probabilmente, non ne potevano più neanche loro. 

Avevo dormito si e no due ore scarse, e i caffè che avevo bevuto appositamente per rimanere sveglio il più a lungo possibile avevano quasi del tutto rubato il mio sonno.
Da un lato, non mi importava nemmeno: rimanevo sveglio per paura. Quando chiudevo gli occhi e provavo ad addormentarmi, rilassarmi almeno per una notte, gli incubi si impossessavano della mia mente. Erano tremendi.

Quando, poiché, a causa della stanchezza, non riuscivo più ad avere il controllo di me stesso, e mi addormentavo, finivo sempre per risvegliarmi completamente sudato, sentendomi fuori luogo e trattenendo a malapena le urla disperate. 

Ero ancora troppo assonnato per pensare lucidamente, quindi, passai la mano nello spazio libero affianco a me, ove vi era il cuscino, impregnato del buon profumo di rose e cocco, su cui la bimba si poggiava quando dormiva fra le mie braccia.
Nel momento in cui, però, realizzai di essere da solo -cosa di cui, oramai, avrei dovuto fare l'abitudine- aprii del tutto gli occhi. 

Visto? Non era solamente colpa della pioggia, nè dei caffè o degli incubi, il fatto che non riuscissi più a riposare: quel dannato letto era più vuoto che mai. E ghiacciato, soprattutto. 

Mi stiracchai, sollevando le braccia in aria. Avvertii una folata di vento scompigliami i capelli e carezzarmi il petto nudo. Rabbrividii.

Voltai la testa e mi resi conto che avevo lasciato la finestra mezza aperta.  Abbassando lo sguardo sul pavimento, vidi alcuni fogli svolazzanti del tutto zuppi d'acqua.

"Merda!" 

Mi alzai alla velocità della luce, notando il disegno a cui tenevo di più in mezzo a quei fogli. Osservai i contorni delicati e a matita praticamente ormai sbiaditi. Era rovinato. 

Lo presi e provai a sistemare la pagina spiegazzata. Sbuffai, già spazientito. 
Lacrime stracolme di rabbia e frustrazione bussarono ai miei occhi. 

Resomi conto che, a questo punto, non vi era più nulla che potessi fare per sistemarlo, accartocciai il foglio e lo gettai da qualche parte sul pavimento.

"Ma vaffanculo!" 

Chiusi quella dannata finestra con un tonfo, quindi mi accorsi che non solo stava piovendo, ma grandinava

Grandioso

Odiavo la pioggia.
Ogni volta che pioveva, qualcosa non andava.
Ogni volta che pioveva, lei non stava bene.
Era come di riflesso: Juliette era a pezzi, e si rompeva in mille pezzi anche tutto ciò che la circondava. Compreso il cielo. 

Lei non ne aveva idea, poiché non le avevo confidato ciò, ma succedeva anche a me. Forse, era solo il fatto che fossi molto, fin troppo, potente. Ero pur sempre il figlio del Signore Oscuro. Negli anni Juliette e io avevamo condiviso la nostra magia, fino a fonderla insieme. Perciò, cosa potevamo aspettarci, se non di essere un totale casino. 

Nonostante per lungo tempo avessi cercato di mentire a me stesso, per lei avevo sempre provato qualcosa di speciale. Fu la prima persona a mostrarmi cosa fosse l'amore e, senza accorgermene, di riflesso, avevo ricambiato con amore la sua gentilezza. 
Adesso, ero preoccupato per lei, ma poiché ero il più orgoglioso fra i due, non le avrei parlato neanche stavolta. 

Mentalmente, maledissi quella giornata: sarebbe andato tutto storto, me lo sentivo. A cominciare dal maltempo e dal disegno, adesso in frantumi. Inoltre, ci sarebbe stata la festa di compleanno ufficiale di Pansy, stasera, e non vedevo la bimba dal pigiama party. Erano passati quattro giorni. 

Even in the scars | Mattheo Riddle    Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora