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Non mi ero reso conto che era tutto finito finché Ni' non mi aiutò a rialzarmi in piedi. Tutt'intorno, si era radunata la gente. Io e Ni' ci guardammo, non sapevamo cosa dire, né sapevamo che cosa fare.

Mamma ci stringeva le mani con la forza di una naufraga che si aggrappa alla scialuppa di salvataggio, mentre papà era in piedi dietro di lei, la sorreggeva stringendole un braccio. Altri membri della loro famiglia vennero a salutarci, ci dividemmo per farci abbracciare. Non sapevo neppure chi fossero, anche se loro mi conoscevano tutti.

In tutta la chiesa era impossibile trovare una sola persona che non avesse gli occhi lucidi, ma non appena abbassavano lo sguardo,ricominciavano subito con le urla e i pianti.

Nessuno riusciva a sopportare la verità: l'unica parte di lui che ancora rimaneva in questo mondo si trovava nei nostri cuori. Harry.

Erano passati quattro giorni dall'incidente. Quattro giorni da quando mi aveva detto che mi amava, e io non gli avevo risposto. Quattro giorni da quando era morto. Harry se ne andò.

Venti minuti più tardi io, mamma, papà e Ni' eravamo seduti al tavolo della cucina, a parlare di tutto quello che era successo quel giorno. Erano persino più scioccati di me, ma era anche vero che loro non avevano dovuto vivere ogni singolo momento folle della nostra relazione nel corso di quell'anno scolastico.

Il telefono di Ni' si illuminò, e da come rispose capii che si trattava di Bianca. Guardai l'orologio, sarebbe dovuto tornare con la macchina da un momento all'altro, dopo aver lasciato Zayn a casa di Harry.

«No», sussurrò lui, il volto assolutamente privo di ogni traccia di colore, gli occhi sgranati.

«No, è una bugia, non è divertente, piccola». Mi voltai verso il telefono e per poco non saltai dalla sedia quando iniziò a urlare come un pazzo.

«No!».

«Niall!», sibilò Claire. «Calmati!».

Ma lui fissava il telefono, orripilato.

«Dobbiamo andare!», urlò e corse fuori dalla cucina. «Dobbiamo andare!».

Rimanemmo seduti finché non sentimmo la porta di casa che si chiudeva di botto, la macchina che si accendeva. Ni' ci urlava di raggiungerlo, di fare in fretta, piangeva.

Robert aprì lo sportello del guidatore e lo tirò fuori, facendolo poi sedere sul sedile posteriore. Io mi sedetti al suo fianco.

«Oh Dio, oh Dio, oh Dio! Corri, papà!», urlò, mentre la sua testa oscillava avanti e indietro, in un lento movimento circolare.

Lo accarezzai a lungo la schiena, guardai i suoi genitori, confusi come me. Robert partì.

«Niall, tesoro, dove devo andare?». Parlava in tono dolce e morbido, come uno psicoterapeuta di fronte a un paziente. Lui riuscì a farfugliare un incrocio in mezzo ai singhiozzi.

Mamma, seduta davanti, si voltò e gli tolse le mani dal volto.

«Niall, ci stai facendo spaventare, calmati e raccontaci cosa è successo».

Il telefono di Ni' squillò di nuovo e lui rispose, ma non disse nulla. Gli strappai il cellulare dalle mani dopo una breve lotta, controllai subito il nome sullo schermo, me lo portai all'orecchio e chiesi:

«Ehi, Bianca, ma che cosa...?»

«Non si sveglia! Non riesco a tirarlo fuori, c'è sangue dappertutto, e lui non si sveglia!».

«Chi, Bianca?».

«L'ambulanza è arrivata, dovete sbrigarvi!».

La sentii urlare a qualcuno - immagino che fossero i soccorritori - e poi riagganciò. In quel momento mi resi conto che si sentivano le sirene, sempre più vicine, e io alzai lo sguardo e capii che ci trovavamo a pochi isolati di distanza. Ni' stava ancora farfugliando delle frasi sconnesse.

Ti lascio ma restiamo amici || Larry&Zouis remakeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora