I rotori del CH-47 rombavano a tal punto che era impossibile sentire anche il solo rumore dei propri pensieri.
Eravamo una decina di soldati alle prime armi, muniti di un equipaggiamento da 20 kg e armamenti di primissimo ordine.
L'aria che si respirava all'interno della stiva dell'aereo militare era secca e insostenibile, così come il silenzio di tensione che alloggiava come un parassita sulle nostre teste.
Era così frustrante non poter osservare l'esterno e non sapere nemmeno quanto mancasse all'arrivo alla base di Jalalabad, nell'Afghanistan nord orientale.
Ripiegai la manica della mia mimetica per poter osservare l'orologio da polso e cominciare a sbuffare pesantemente..mancavano ancora due ore di volo e in quel maledetto angolo claustrofobico la noia mi stava facendo saltare i nervi.
"Qualcuno può spiegarmi perché fa così caldo qua dentro?" sbraitò un ragazzo difronte a me con qualche chilo di troppo, -qualche-, mentre si faceva aria con la mano.
"Abituati. Quando saremo alla base ti suderanno anche i peli del buco del culo"
"Per gli ufficiali ci sono zone rinfrescate perché.."
"Tu non sei un ufficiale, Marlow"
Mentre quei due militari continuavano a discutere ancora per molto tempo, io cercai di immaginare come sarebbero stare le nostre giornate da quel momento in avanti, ma mentre ero persa in un altro mondo, -perché i viaggi migliori, credetemi, si fanno senza aver bisogno di volare o spostarsi minimamente-, la voce del comandante ci informò che stavamo atterrando.
Il ronzio dei motori infatti si fece via via più intenso e sentii la pressione farsi sempre più opprimente a causa della pesantezza dell'equipaggiamento.
Passarono dieci minuti prima che il CH-47 atterrasse sulla pista e nel momento in cui si aprì la porta della stiva ci catapultammo fuori dall'abitacolo per raggiungere gli ufficiali e i comandanti responsabili del nostro plotone.
In lontananza riconobbi la figura di James, il quale si avvicinò a noi e ci accolse con gentilezza.
"Benvenuti a Jalalabad signori, l'orifizio anale del mondo afghano. Come avrete certamente notato non c'é letteralmente nulla qui intorno se non sabbia, montagne, tempesta di sabbia, caldo, rocce e sabbia..ho già detto sabbia? Scherzi a parte, mi auguro che potremmo convivere e lavorare con professionalità e rispetto reciproco. Il nostro obiettivo, se così possiamo chiamarlo, é molto astuto e ha dalla sua gran parte dei fondamentalisti dello stato. Quindi occhi aperti e preparatevi, non sarà facile. Sarò accompagnato nel coordinamento delle operazioni dal mio collega, nonché grande amico, il sergente Haner" disse indicando un giovane alla sua sinistra che salutò con un cenno del capo per poi liquidarci con giusto quattro parole di incoraggiamento.
Alzai le spalle con sufficienza e mi diressi verso la zona della base adibita a dormitorio.
Dovendo condividere l'ala notturna con dei ragazzi e non sentendomi molto a mio agio, occupai l'ultimo letto vicino al muro e appoggiai il mio borsone.
"Mi spieghi chi é quella la?"
"Non so, viene da San Diego o qualcosa del genere. É la figlia di Ilejay te lo ricordi?"
"Beh..raccomandata"
Le voci silenziose che venivano sussurrare all'interno della stanza mi fecero innervosire parecchio.
Mi tolsi la giacca della mimetica rimando in canottiera e, afferrando il pacchetto di Marlboro, mi diressi verso l'uscita per prendere un po' d'aria.
Finii la sigaretta giusto in tempo per sentire la sirena suonare, così dovetti rientrare e andare in una sala molto grande, in cui le alte sfere di questo commando ci avrebbero informato sull'operazione che saremmo andati a compiere.
"Voglio che fissiate questo volto nella vostra memoria" cominciò un militare sulla quarantina.
"Il nostro obiettivo si fa chiamare حصادة, hisada, che nella nostra lingua vuol dire mietitore. Non conosciamo ancora la sua vera identità ma la desolazione che sta lasciando dietro di se ci ha permesso di stilare una pista abbastanza concreta. Quel bastardo é li fuori, andate a prenderlo. Lo vogliamo vivo"
Continuò a parlare per un'ulteriore ora e, quando finì, mangiammo in fretta del cibo precotto sulle quali scatolette c'era scritto SOLO PER USO MILITARE O CARCERARIO, consolante io direi.*
Quella notte non riuscii a chiudere occhio per la paura. Avremmo dovuto svegliarci alle quattro del mattino e saremmo dovuti andare a perquisire ogni singola abitazione del centro città per il prossimo mese di permanenza in Afghanistan, per stanare il covo di quel bastardo terrorista o di qualche affiliato. Il suono del suo nome in arabo rimbombava nella mia testa come una melodia atona e priva di sentimenti, come un canto di morte ancestrale.
Avevo paura, non lo nego. Paura di deludere tutti, di fallire, di causare problemi troppo grandi per una ragazzina di neanche vent'anni. Il terrore che avrei potuto deludere mio padre mi assillava, volevo renderlo fiero della sua principessa. In cuor mio sapevo che mi proteggeva da lassù e vegliava su di me giorno e notte ma, in quel momento, avrei dato la mia stessa anima pur di poter parlare un'ultima volta con lui. Volevo dirgli quanto me la stavo facendo sotto, quanto mi mancasse, quanto gli volevo bene e desideravo che sapesse che stavo facendo tutto questo anche per lui.
E soprattutto che se fossi morta, avrei voluto risvegliarmi al suo fianco.
Quando stavo per chiudere gli occhi, suonarono le sveglie di tutti i soldati, avevamo solamente cinque minuti per prepararci e farci trovare in posizione davanti ai fuoristrada che ci avrebbero condotto all'interno del centro di Jalalabad.
Passò mezz'ora prima che i veicoli ci scaricassero e ci lasciassero in mezzo alla strada.
Mi guardai intorno: gli edifici smantellati e ridotti a dei ruderi dai vari attentati davano un'aria ancora più tetra alla città, devastata e ormai morta.
Un leggero vento caldo e secco sollevava l'immensa coltre di sabbia e polvere depositata sull'asfalto, era l'unico suono che si poteva udire oltre ai nostri passi cadenzati.
Alcuni Marines si diressero verso l'area sud del centro e cominciarono ad entrare nelle abitazioni mentre io seguii i quattro compagni che mi erano stati assegnati e ci incamminammo verso uno stabile a più piani, apparentemente vuoto. Gli assaltatori si posizionarono ai lati della porta e diedero il segnale ad un altro perché sfondasse la porta.
Entrati, bonificammo* le stanze al piano terra mentre due salirono al primo piano per fare la stessa operazione.
"È tutto pulito qua" disse uno sbucando dalle scale poco stabili così io e il mio soldato assistente ci sistemammo presso la finestra di una stanza che dava sulla strada.
Posizionai il mio fucile di precisione sulla cornice del vetro sfondato e osservai attraverso il mirino, pregando con tutta me stessa affinché non passasse nessuno.
Trascorsero minuti, forse un'ora, ma non c'era traccia di alcun terrorista.
Quando i nostri compagni finirono di ispezionare tutto l'edificio ci raggiunsero per avvisarci di passare al prossimo.
"Oh merda. Bersaglio a ore dodici" disse il mio assistente mentre osservava attraverso il binocolo.
Sgranai l'obiettivo e mi focalizzai sulla strada, notando un uomo dai capelli scuri e con una barba molto lunga. Indossava un completo color panna, macchiato in alcuni punti da qualcosa di rosso. Qualcosa che molto probabilmente era sangue.
Sentii il mio cuore accelerare a tal punto che ne potevo contare la pulsazione in gola, non sapevo cosa fare, le mani mi tremavano.
L'uomo reggeva qualcosa sotto il braccio e nel momento in cui si accovacciò a terra notai che era un ordigno esplosivo.
"Ha un bomba"
"Ne sei sicura?"
"Sì"
"E allora spara cazzo!" urlò un altro mettendomi ancora più pressione.
Fu questione di secondi.
Mirai alla testa dell'uomo che cercava di innescare la bomba, inspirai profondamente e rilassai i muscoli.
Tre, due, uno.
L'uomo cadde a terra inerme mentre la bomba rotolò a qualche metro dal cadavere, senza esplodere.
L'avevo colpito in tempo.
Non saprei dire precisamente come mi sentii in quel momento, un insieme di adrenalina, colpevolezza, orgoglio e fierezza si mescolavano in me non facendomi ragionare.
Sapere di aver ucciso una persona e aver visto le sue cervella schizzare letteralmente fuori dal suo cranio, attraverso il mirino, mi sconvolse per l'intera durata della missione, anche se con il tempo diventò un'abitudine.
Ma, del resto, la prima volta non si scorda mai, giusto?
Tornando a noi, caricai nuovamente l'arma dopo aver avuto il via libera dagli altri Marines e uscimmo tutti dall'edificio.
Due fuoristrada dell'esercito ci attendevano a nemmeno 500m dalla nostra postazione per portarci in un'altra zona così ci incamminammo verso di essi mentre un altro gruppo di soldati ci raggiunse da un vicolo vicino.
Non facemmo in tempo a far un passo in più che una scarica di proiettili ci investì facendo cadere cinque soldati a terra, tra la sabbia e il loro stesso sangue.
La vera battaglia cominciava a prendere forma.*Bonificare: risanare ambienti con possibile presenza di ordigni esplosivi, con la successiva eliminazione di questi.
~Spazio Autrice: Salve umanoidi (?) come potete vedere sto ricominciando ad aggiornare un po' più spesso..mi sono sentita in colpa per avervi abbandonato 🙈 (anche se magari non vi importa un piffero v.v)
Dunque..cosa ne pensate di questo capitolo? Forza con questi commentini u.u Lo so che non ho detto molto o che magari mi sono soffermata troppo sull'aspetto bellico della questione ma é proprio questo il punto della storia, non mi va di parlare sempre e solo di amore, dehehe.
Bene, mi dileguo amorini. A presto u.u Ps: Ditemi che non sono l'unica a cui fa ridere il nome Jalalabad..vi prego! (non me lo sono inventato, esiste davvero).
Jù.
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Missing in Action (M.I.A.) || (DA REVISIONARE!)
Fanfic~Tutto è lecito in guerra e in amore~ "Corri" "Che cosa?" "Corri!" urlò il giovane balzandomi addosso e scaraventando entrambi a qualche metro di distanza, sul margine della strada. La granata era esplosa poco lontano da noi ma il soldato si rialzò...