32. Can't pretend you're fine, when you just don't know where to hide.

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"Il volo partirà tra 10 minuti" ci informò un militare brandendo goffamente una cartella orari stropicciata.
Mentirei se dicessi che ero riuscita a superarlo, che guardavo a testa alta verso il futuro, che non mi ero fatta abbattere e che ringraziavo ogni giorno per la vita che mi era stata concessa.
La verità é che mi sentivo disintegrare dall'interno e che nessuna terapia, nessun farmaco e nessuna cura a cui mi sottoposi furono a tal punto massacranti quanto lo fu avere la consapevolezza che Johnny non fosse più vivo.
Non parlavo con nessuno dal giorno in cui avevo saputo della sua morte, passavo ore immobile a fissare punti indefiniti della stanza, rigirandomi qualche ciocca di capelli tra le mani tanto per scacciare il tempo.
I giorni si fecero di una lunghezza tale che, quando mi offrirono l'opportunità di assistere al funerale di Jonathan, mi sembrò di essere stata in un coma vigile per anni.
Eppure erano passati solo tre giorni, tre maledettissimi giorni.
Ero uscita dall'ospedale solo da poche ore e già mi sentivo soffocare da un peso inesistente.
Avevo sviluppato un'indifferenza tale nei confronti del genere umano che spesso domandavo a me stessa se non fossi stata per caso tramutata in una statua di pietra.
E come se non bastasse la mia situazione era aggravata dal fatto che mi trovavo immobilizzata su una sedia a rotelle, invalidata da tutte le movenze libere di cui disponevo fino a qualche ora prima.
I medici avevano obbligato fermamente ad un'infermiera di assicurarsi che non mi alzassi fino all'arrivo in patria, per non farmi "affaticare troppo".
Come se me ne fosse mai importato veramente qualcosa della mia vita.
L'infermiera spinse la carrozzina lungo il ponte dell'aereo e mi aiutò a sistemarmi su un sedile, congedandosi poi gentilmente.
Sembrava quasi intimorita dalla mia faccia impassibile.
Con le mani tastai l'IPod adagiato accuratamente all'interno di una tasca e decisi di ascoltare della musica.
Era da così tanto tempo che non mi lasciavo cullare dalle note di una qualsiasi canzone Rock.
In quei giorni bui anche il suono aveva perso ogni sua sfumatura e magia, non riusciva a trasmettermi nulla se non apprensione ed angoscia.
L'angoscia del vivere mi opprimeva, mi schiacciava a terra come si fa solitamente con i mozziconi di sigaretta consumati, soffocandone ogni incandescenza e luce propria.
Non ero così sicura di voler continuare a vivere, di far tesoro di questo dono immeritato e concesso senza possibilità di rifiuto.
Sentivo il desiderio di urlare al mondo il mio dolore ma era come se non trovassi le parole adatte per esprimerlo.
Nella tasca dei pantaloni custodivo la lettera destinata a Lacey che le avrei consegnato al funerale.
Il momento meno opportuno, ne ero consapevole, ma anche il primo in cui la avrei vista.
Con la coda dell'occhio vidi salire Brian, con viso cupo.
Probabilmente era stato toccato molto anche lui dalla perdita di un suo commilitone e amico ma non avevo voglia di nessuna interazione sociale così scrollai le spalle e alzai il volume di Welcome home (Sanitarium) dei Metallica.

*

Toccai il suolo californiano con le mie stesse gambe eppure non mi sentii rallegrata né sollevata per essere nuovamente nel mio paese.
Ero disgustata all'idea di dover porgere le condoglianze ad una schiera infinita di persone conscia del fatto che il loro figlio, amico, parente, era morto per salvare me.
Mi sentivo un verme.
Trascinai a fatica la valigia fino alla fermata dei taxi, non avevo informato mio fratello del mio ritorno ma quasi sicuramente erano stati avvertiti della mia situazione fisica.
Stavo chiamando un veicolo perché si fermasse quando una voce si intromise nel mio piccolo spazio vitale.
"Che cosa hai detto?"
"Ho parlato con tuo fratello e mi ha concesso di portarti a casa"
"E io chi sono? Non posso prendere nemmeno decisioni per me stessa?"
"Sì ma abbiamo accordato che sarebbe stato più sicuro"
"Perché pensate che mi sarei andata ad ammazzare per caso?!"
"No Katherine, calmati"
"Andatevene a fanculo! Sono stanca di essere trattata come una bambina"
"Salirai in macchina con me, che ti piaccia o meno"
"Va bene, basta che la finisci di parlare" dissi sommessamente e lo seguii fino al parcheggio.
Ci avvicinammo ad un fuoristrada nero alla cui guida sedeva una ragazza molto giovane, dai capelli viola e una carnagione chiara, quasi pallida.
Appena notò Brian uscì dal veicolo e gli si gettò addosso, piangendo e dimenandosi come un'adolescente in preda ad una crisi ormonale.
"Mi sei mancato tantissimo Brian!"
"Anche tu!"
"Ciao! Io sono McKenna, tu devi essere Katherine. Brian mi ha parlato molto di te"
"Invece di te non ha mai detto nulla" ribattei sgarbatamente.
Come ho già detto, non avevo le forze vitali necessarie a sostenere una conversazione.
"Brutto scemo! Si vede quanto mi vuoi bene" disse lei tirando un pugno a Brian che in risposta scoppiò a ridere.
"Dai non te la prendere, tu rimarrai sempre la mia sorellina preferita"
"Sono anche l'unica"
E in quel momento il nervoso che mi aveva provocato la vista di quella giovane donna dal primo istante svanì, si polverizzò e svolazzò via come cenere al vento.

*

Quando l'auto si arrestò davanti a casa mia mi sentii spaesata.
Per qualche strana ragione non avevo voglia di riambientarmi nuovamente alla vita da civile, non la sentivo appartenermi ormai da tempo.
Ero stata via solo pochi mesi ma erano stati talmente intensi che mi sembrò quasi di essere stata lontana da "casa" per interi anni.
"Grazie mille del passaggio McKenna, ti devo un favore" dissi accennando un piccolo sorriso mentre afferravo la valigia.
"Mc puoi aspettare un secondo qui? La accompagno e torno"
La giovane accettò la richiesta del fratello e si accese una sigaretta, dopo avermi salutato.
Giunti presso l'entrata appoggiai la valigia e feci per suonare quando Brian mi bloccò la mano.
"Possiamo parlare?"
"Non ne ho molta voglia"
"Tu non hai mai voglia di fare un cazzo"
"Già"
"Io non capisco che cosa ti succede. Perdere un amico caro è sicuramente doloroso ma non credo che il miglior modo per affrontare la situazione sia allontanare tutte le persone che hai intorno"
"Io non voglio affrontare questa cazzo di situazione, ti è chiaro?! Io voglio solo essere lasciata in pace!"
"Non potrai andare avanti così per sempre lo sai?"
"Vedremo, buona serata"
Gli voltai le spalle e suonai il campanello.
Brian andò verso la macchina e tirò un calcio al cancelletto di casa mia, prima di ricongiungersi con la sorella e dirigersi verso casa.
"Katherine!"
"Arin" sussurrai lasciandomi abbracciare dal mio fratellone che aveva le lacrime agli occhi.
"Come stai? Lascia che ti porti io la valigia"
"Ce la faccio, sta tranquillo" risposi facendomi strada in casa.
La disposizione degli oggetti era sempre la stessa ma vi era molto più silenzio.
"Dove sono tutti?"
"Beh ecco, ci sono stati alcuni cambiamenti durante la tua assenza. Matt e Valary hanno deciso di affittare un appartamento per rendere le cose più semplici una volta che sarà nato il bambino e Zacky è andato a stare da Gena"
"Quindi sei rimasto solo"
"Non esattamente. Presto si trasferirà qui la mia fidanzata"
"La tua cosa?!" strillai sorridendo sinceramente per la prima volta dopo tanto tempo.
"Non vedo l'ora di presentartela. É la famosa collega di cui ti ho sempre parlato, Kimberly!"
"Oh mio Dio! Sono così felice per te" lo strinsi e gli scompigliai i capelli.
Ero così fiera di mio fratello, era sempre stato uno dei miei punti di riferimento da quando mio padre era morto e non aveva mai deluso le mie aspettative.
"Quando ti sentirai pronta potremmo uscire a cena con lei"
"Quando preferisci Arin"
"Sai..dopo la morte di Johnny io pensavo che.."
"Sto bene" dissi con tono deciso.
"Senti..ti conosco troppo bene e te lo si legge in faccia che sei distrutta. So cosa stai passando e mi dispiace molto sorellina, ma sappi che io sarò sempre qui per farti le coccole e darti fastidio ogni volta che lo vorrai"
"Grazie. Però forse è ora che mi cerchi una diversa sistemazione"
"No, assolutamente. Puoi restare quanto tempo vorrai qui, del resto è anche casa tua"
"Preferisco trovarmi qualcosa di mio, non prendertela"
"È tutto apposto sorellina"
"Se non ti dispiace io vado a farmi una doccia e poi vorrei riposare. Sarà una giornata impegnativa domani"
"Va..va bene. Per qualunque cosa sono qui"

*

Quella notte si rivelò essere una delle peggiori mai trascorse.
Il giorno seguente avrebbero chiuso il corpo di Jonathan entro quattro pareti di legno e lo avrebbero relegato sotto metri e metri di terra infeconda per l'eternità.
Non potevo accettarlo, non era giusto.
Passai ore a piangere ininterrottamente , respirando a fatica e cercando di controllare gli attacchi di panico.
Nella mia mente riviveva la scena dell'esplosione, ancora troppo pressante sulla mia coscienza.
I suoni della polvere incendiaria, degli aerei, dei fucili caricati rimbombavano nella mia testa come fossero parte integrante della mia vita.
Non riuscivo più a distinguere ciò che era reale da ciò che era pura proiezione della mia mente stanca e affaticata da lunghi periodi trascorsi sul campo di battaglia.
Alle quattro di mattina decisi di alzarmi e andare in bagno, alla ricerca di qualche tranquillante o sonnifero che mi aiutasse a fronteggiare quei sintomi di follia malsana che si facevano sempre più presenti.
Ingerii due pastiglie e non appena arrivai a letto mi addormentai di sasso.
Avrei voluto non svegliarmi più, non dover necessariamente affrontare quelle sofferenze che sembravano troppe per una ragazza di soli ventuno anni.

~Spazio Autrice: Hola! Scusate se ci metto sempre un'infinità per aggiornare ma sono appena tornata dalla Grecia e come potete immaginare li non ho avuto tempo di scrivere..non avevo nemmeno il wifi haha questo capitolo è di "passaggio" ma ho già scritto anche il prossimo che pubblicherò a breve. Un saluto dall'autobus che mi ricondurrà a casa! Baciiiiii~
Jù.

Missing in Action (M.I.A.) || (DA REVISIONARE!)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora