-10- Il dolore di un padre

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«Taone?» La voce delicata di Muley riscosse l'uomo. Il generale delle mille fiere guardò con occhi spenti la moglie, studiandone il viso ancora avvenente, nonostante i piccoli segni dell'età e le linee del tormento dell'anima che lo ornavano. Era bella: nonostante il tempo e le sofferenze sembrava non perdere mai quella luce interiore che sembrava trasparire da lei. Era la sua stella, la sua luce, il faro che aveva segnato il porto sicuro durante tutta la sua vita.
«Dimmi, ero perso nei pensieri.» Si scusò con un sorriso, sentendosi sciocco. Aveva visto le labbra della donna muoversi, ma era come se le sue parole non riuscissero ad attraversare la distanza che c'era tra loro e giungere a lui
Lei annuì, seduta accanto all'uomo, fin troppo simile a un vecchio curvo, a un albero piegato dal vento segnato dalle cicatrici delle tempeste che aveva attraversato. Taone stava perdendo ogni giorno sempre più la voglia di vivere dopo che aveva scacciato il figlio. Con dolcezza Muley gli strinse la mano: era ancora grande e robusta, eppure non sembrava esserci forza in essa e la donna sentì la paura scorrere in lei. Taone stava appassendo, era un albero che si spegneva nell'autunno e lei temeva che, per l'amato, non ci sarebbe stata alcuna primavera; che non sarebbe tonato a fiorire pieno di forza.
«Credo sia l'ora di mandare Jiaren a corte. L'imperatrice ha chiesto che si presenti per essere scelta come dama. Sai che questo può solo aiutarci, ma soprattutto aiutare lei.»
L'uomo si curvò ancor più su se stesso, il dolore nello sguardo circondato da rughe. Erano diventate profonde in quei mesi, piene di sofferenza e tormento per quello che aveva dovuto fare ma non si poteva perdonare. «Muley, non ancora. È solo una bambina.»
«Sai che non è così.» Ribatté lei, decisa e al contempo dolce. Togliere al marito anche quella piccola gioia, avere sotto lo stesso tetto l'amata unica figlia, le spezzava il cuore. Ma se lui non era in grado di pensare al Clan, il dovere ricadeva su di lei. Il Leone veniva prima di tutto, e Jiaren doveva essere in grado di guidarlo. «Ha quattordici anni, è la nostra unica figlia, non vuoi che sia degna del tuo nome? Deve essere in grado di ricoprire il ruolo che As... che le spetta.»
L'uomo sospirò, alzando lo sguardo e incrociando quello limpido e pieno di sofferenza e forza della moglie. «Ho sbagliato, Muley?» le chiese, la voce piena di tutto ciò che non poteva essere detto.
La donna scosse il capo sapendo benissimo a cosa si riferisse. «Le leggi della famiglia sono chiare, hai solo onorato il volere degli antenati, non era... non è più nostro figlio.» Eppure anche la voce di lei vacillò. Vedere Ashur sparire oltre le mura della loro casa ancestrale era stato l'inizio dell'inverno dell'anima che aveva gelato quel fiero condottiero. Ciò che la guerra, la battaglia e la morte non avevano mai potuto scalfire, la perdita di un figlio aveva incrinato irrimediabilmente. Ora Taone sembrava semplicemente aspettare la morte, distrutto dalla sofferenza. Amava suo figlio sopra ogni altra cosa eppure aveva dovuto scacciare la sua ragione di vita. E ora lei gli chiedeva di mandare alla corte l'unica altra cosa che l'aiutava a mantenersi legato a questo mondo. «Taone, Jiaren ha bisogno di imparare, è lei ora la tua erede. Chi meglio della nostra imperatrice può insegnarle cosa sia la responsabilità del potere? Lei stessa dimostra di avere a cuore la nostra Casa, chiedendo che si presenti.»
«Dovrei essere io a guidarla, a insegnarle. Io... come ho fatto con lui. Dovrei poterlo fare, esserne in grado.» La voce di lui si spense, colma di angoscia. «Ma quando la guardo riesco solo a provare dolore per quello che ho fatto, e la paura di fallire di nuovo, di dover scacciare anche lei. Solo un altro po', Muley. Lasciala qua solo un altro po'...» la voce dell'uomo si spense in un soffio e il capo si chinò leggermente, mentre lo sguardo si perdeva nella pioggia che fitta scivolava sul lastricato dei piccoli sentieri interni. In quel parco rigoglioso di ricordi che aveva visto i suoi figli giocare e crescere. Sotto i rami dell'antica pianta di canfora che aveva visto Ashur addestrarsi alle armi, giorno dopo giorno, diventando abile come pochi prima di lui, promettente, sicuro e fiero.
Con gli occhi del cuore rivide il figlio muoversi con la lama in mano, battendo il suo maestro con eleganza di movimenti e rara rapidità di gesti. Una bravura che emergeva dal suo sangue, dal retaggio della sua stirpe. Rivide il sorriso fiero, la gioia sul volto, sentì di nuovo l'orgoglio e l'amore che gli avevano colmato il cuore. Ma ora il suo cuore era tremante, debole, incapace di reagire con la forza che era sempre stata sua.
La donna strinse le dita attorno alla mano del marito, posando il capo sulla sua spalla. «Ancora una settimana, poi Jiaren andrà a corte. Non possiamo attendere in eterno.»
L'uomo annuì e il volto si fece ancor più remoto, mentre un colpo di tosse gli scuoteva le spalle. Il tempo passò e i due, in silenzio, guardavano la pioggia cadere fitta fuori dalla finestra, condividendo la vicinanza e il peso del dolore con la quieta calma di chi è pronto ad avanzare lungo il sentiero che ha scelto. Quando infine Taone parlò, ignorò uno dei tabù legati a chi veniva esiliato e privato del nome.
«Ti chiedi mai che fine ha fatto Ashur? Se è vivo? Se sta bene?»
«Taone, non dovremmo parlarne.» Ma la sua voce era incerta. Amava Ashur, nel suo cuore non aveva mai smesso di essere suo figlio e sapeva che lo era ancora anche per il marito. Alla fine sospirò e annuì. «Non passa minuto senza che pensi a lui, senza che il mio cuore si domandi se sta bene. È un tormento, vorrei cercarlo, trovarlo, portarlo nuovamente nella sua casa. Sono sua madre, lo ho portato sotto il mio cuore e ora è peggio che se fosse morto, l'incertezza strazia la mia anima e le lacrime che non posso versare riempiono il mio sonno.» La voce di lei si era assottigliata, quasi inudibile nel suono scrosciante della pioggia. «Ma non possiamo cercarlo. Possiamo solo avere fede nella dea e mandargli i nostri migliori auguri, ogni pensiero d'amore, ogni speranza. Sono sicura che è vivo, che saprà farsi strada nel mondo. È tuo figlio, il dono del sangue è anche in lui.»
«Ma non ho potuto insegnargli a usarlo, è inutile a quel modo.»
«Saprà capire.» La donna guardò gli occhi scarlatti del marito, posando un bacio sulla sua guancia con dolcezza. «Abbi fiducia in lui. In cuor mio sento che lo rivedremo, un giorno. Coltiva questa speranza, Taone, e trai da essa forza.»
«Hai visto qualcosa, Muley?»
La speranza nella voce di lui le fece tremare il cuore. Annuì. «Non è stata una visione chiara, ma l'ho visto con una katana tra le mani, sembrava più vecchio. Non ho visto altro.»
L'uomo sorrise e una scintilla di vita prese vita nei suoi occhi. «Perché non me lo hai detto?»
«Sai meglio di me che il futuro non è scritto, che potrebbe non avverarsi mai ciò che ho visto. Soprattutto una visione così debole.»
«Però se lo hai visto vuol dire per certo che è ancora vivo. Già solo questa certezza mi scalda il cuore.» L'uomo si alzò, porgendo la mano alla moglie per aiutarla ad alzarsi animato da una nuova forza. «Andiamo da Jiaren, ci sono cose che deve sapere, prima di andare a corte.»
La donna annuì e sorrise, lieta di quella nuova voglia di vivere, anche se nata da una menzogna. Lei non aveva avuto alcuna visione, ma non aveva avuto cuore di spegnere quella luce. Si alzò, il peso di quella bugia che le appesantiva il petto.

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