-15- Ala di Corvo

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Mengwe osservava con attenzione il modo in cui le piccola ossa intagliate si erano disposte sul sottile strato di sabbia. I simboli sacri che circondavano quel cerchio di rena formavano una trama di magia tale da assottigliare il velo tra i mondi e il tempo e, lì, lui aveva lanciato le ossa dell'oracolo. Erano i resti di una driade, una delle creature che abitavano gli alberi sacri dei templi, erano antiche e preziose, passate dii mano in mano da generazioni. Erano ossa potenti, preziose, eppure erano a modo loro ancora piene del carattere capriccioso di quello spirito.
I presagi erano stati difficili da trarre e l'odiwa aveva passato giorni a ripetere la stessa domanda a quelle tessere sottili, incise con il fuoco e marchiate con il sangue. Erano uno dei pochi resti del suo passato, di quel tempo in cui aveva vissuto una vita felice e ricordava benissimo quando sua madre gli mostrava come le usava. Poi era arrivato il clan del Leone.
Ricordava come avessero sterminato ogni membro della sua famiglia, il sangue di sua sorella che macchiava la parete, le urla terrorizzate delle donne e il coraggio di sua madre che l'aveva nascosto, ordinandogli di rimanere in silenzio, mentre gli metteva in mano il sacchetto che conteneva quelle antiche tessere per poi tagliarsi la gola, in modo che non potessero farla parlare.
L'avevano cercato senza trovarlo, arrendendosi dopo una sola notte. Lui era solamente l'ultimo dei figli della Lepre, un bambino di neppure quattro anni; eppure ricordava tutto. Era uscito solo, nell'alba di un nuovo giorno, lasciandosi alle spalle la casa ormai distrutta, il palazzo ai piedi dei monti era solo un luogo di morte dove i corvi banchettavano.
Aveva camminato, senza sapere dove andare, sapendo solo che doveva allontanarsi lungo la strada.
"Vai verso l'alba. Ti troveranno e così sarai al sicuro. Impara, vivi!"
Aveva obbedito alle ultime parole della madre, dirigendosi verso est per ore e ore. Quando aveva pensato di non poter più proseguire per la stanchezza una donna vestita da contadina, che lui aveva a stento riconosciuto come una delle dame della madre, lo aveva abbracciato, piangendo. L'aveva atteso al ciglio della strada così come le era stato ordinato dalla sua signora. Prima dell'assedio era stata allontanata e a quel punto Mengwe aveva compreso il perché. La madre aveva pianificato ogni possibilità, facendo in modo che qualcuno potesse prestare soccorso ai suoi figli se fosse andato tutto per il peggio.
Era stato cresciuto come se fosse stato il suo bambino, come un contadino, figlio illegittimo del loro signore di un tempo. Lui aveva covato in silenzio l'odio nel suo cuore: era una forza che l'aveva spinto a primeggiare in tutto, diventando un odiwa di grande talento e bravura. Tanto da poter subentrare nel ruolo nella famiglia del Leone e iniziare a scardinarla dal suo interno.
Aveva impedito a Muley di avere altri figli.
Avrebbe sposato Jiaren e ucciso Ashur.
Attendeva, guardando soddisfatto il dolore uccidere Taone e le lacrime della sua sposa. Quando sarebbe stata l'ora avrebbe sussurrato al loro orecchio, in punto di morte, chi aveva causato tutta quella sofferenza.
Passò le mani sulle ossa, sospirando.
Sapeva dove cercare Ashur, ora: le tessere confermavano la sua posizione. Ovunque si trovasse in precedenza qualche potere l'aveva protetto, ma ora qualcosa era cambiato, anche se non capiva cosa, ed era riuscito a individuarlo.
«Bing-mò.» Mengwe scandì il nome dello spirito della pestilenza come una cantilena, con voce vibrante, e il fuoco davanti a lui, oltre le ossa sparse sulla sabbia, con un guizzo divenne verde.
«Cosa vuoi?» la voce scaturì crepitante e annoiata, mentre tra le lingue di fiamma i tratti di un volto sembravano apparire.
«Voglio la morte di Ashur. Ti ho vincolato da tempo a me, fino a quando non morirà sarai obbligato a servirmi e non tornerai a essere libero, eppure continui a fallire.»
Le fiamme guizzarono, dando l'idea di una profonda irritazione. «Dimmi qualcosa che non so, odiwa. Per esempio dove si trova.» il fuoco crebbe in altezza e il verde divenne più intenso, ma l'uomo non si scompose. I vincoli del rituale magico imponevano a una creatura evocata l'assoluta fedeltà e l'obbligo di non nuocere all'evocatore. Ovviamente, se l'incantesimo era tessuto nella maniera errata, lo spirito avrebbe trovato la falla e ucciso chi aveva cercato di piegarlo all'obbedienza. Le creature magiche detestavano inchinarsi agli umani, donare loro il potere. Per questo l'alta magia, il potere di evocare e vincolare quelle creature, era difficile e chi in grado di usarla raro. Richiedeva una mente molto dotata, grandi capacità e un intelletto superiore, per non perire a causa dei propri errori. «Sono stanco di doverti ubbidire per colpa della tua inettitudine.»
«Bing-mò, non mancarmi di rispetto. Chi ha fallito la prima volta sei tu.»
«I polsi se li è tagliati, se poi Lei è intervenuta facendo in modo che la magia di quel fanfarone riuscisse a fermare l'emorragia non è colpa mia. Non può agire direttamente come noi, ma io non ho intenzione di mettermi in mezzo ad azioni così palesemente indirizzate.»
«Stavolta la dea non interverrà.»
«Dici, tu? Non puoi mandare un sicario e basta? Sei così complicato...»
Mengwe batté le mani e, come in risposta allo sciocco sonoro, le fiamme si affievolirono e un verso di dolore eruppe da esse. «Voglio che sia l'ultima onta. Il dispiacere finale che porterà Taone a togliersi la vita quando gli verrà detto. Ashur agli occhi di tutti sembrerà il colpevole dell'omicidio del suo nobile e onorevole, nonché stimato, padrone. Sarà punito dagli uomini e porterà l'ultimo disonore sul Leone.»
«E come dovrei fare questo miracolo? Gli chiedo gentilmente se lo vuole uccidere per poi causare la morte di Taone?»
«Questo è un problema tuo, Bing-mò. Vedi di avere successo, stavolta; non voglio che Taone muoia di malattia nel suo letto. Certo, non è una morte degna del grande generale, ma non è colma della vergogna che gli spetta per quello che ha fatto.»
Con quelle parole le mani dell'odiwa iniziarono a muoversi in forme complesse, disegnando nell'aria sigilli che parevano splendere per un istante di un giallo cupo, prima di sparire nel nulla. Lo spirito della pestilenza gemette e le fiamme tornarono di un colore normale.
Stanco, con un sospiro lento e profondo, Mengwe raccolse le vecchie ossa, lanciandole con un'ultima domanda sulla sabbia candida.
«Ashur morirà per mano degli uomini?»
Le ossa si mossero qua e là sulla rena, indecise. Alla fine quello che l'odiwa lesse non lo soddisfò affatto.
"Quando arriverà il momento, la mano di un uomo lo accompagnerà."

L'ultima monetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora