-31- Scelte

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  Quando il portale si era richiuso, portando via con sé Ashur, c'era stato un istante di silenzio irreale, solo dopo lunghi istanti avevano davvero realizzato quello che era successo. Si erano voltati, risalendo al galoppo la via verso la cittadella sperando in un aiuto, ma le porte erano rimaste chiuse e nessuno aveva risposto alle loro grida. Aderyn, infuriato, aveva minacciato di abbattere le mura se non avessero risposto, non l'avevano mai visto così e, per la prima volta, Majion comprese che l'altro era pericoloso.
Anche dopo le minacce c'era stato il silenzio e l'eletto di Nut aveva stretto i denti, ringhiando a mezza voce qualcosa nella sua lingua.
Aveva fatto diversi passi indietro, imbracciando l'arco e, sotto lo sguardo stupito e sconvolto di Shiin e Majion, aveva iniziato a crescere. Divenne alto più di tre metri, luminoso come un fuoco e i suoi capelli presero a brillare, tanto da sembrare tessuti con la luce. La freccia incoccata nell'arco divenne viva fiamma e con il fragore di un'esplosione si infranse contro le mura. Una dopo l'altra, instancabile, l'hilm'een le scagliava contro quella pietra intessuta di magia e, quando una breccia simile a una ferita si aprì sull'arco antistante il portone, comparve l'anziana sacerdotessa.
Tutto quello che avevano ottenuto da lei però, era solo la conferma dei loro sospetti: Ashur era stato preso da Nokraal e loro non potevano interferire o aiutarli. Dovevano quindi di andarsene, prima di costringerla a usare il potere del luogo per scacciarli, bandendoli per sempre dal monte sacro.
Con un grido pieno di frustrazione, Aderyn aveva scagliato un'ultima freccia di fuoco, che si infranse come tutte le altre, prima di voltarsi e tornare al suo aspetto normale.
Avevano allora disceso i vertici del monte andando alla fattoria, decisi a trovare una soluzione per salvare Ashur.
Da allora erano passati diversi giorni, ma a nessuno di loro aveva capito come agire. Ogni idea non portava a nulla, non avevano indizi e non avevano modo di capire da dove iniziare a cercare.
Quella mattina, guardando il sole levarsi con aria cupa, Shiin iniziò a sellare il suo cavallo.
«Cosa fai?» Aderyn lo guardò, alzando un sopracciglio. Tra le mani teneva dei legnetti, in quei giorni li aveva consultati spesso con espressione confusa e frustrata, affermando che non riuscivano a dargli risposte e che gli antenati si rifiutavano di parlargli.
«Ho dei doveri, Ashur è stato rapito e noi non troviamo il modo di capire dove sia; stando qua non risolveremo nulla. Ho l'obbligo di tornare dal mio signore, informarlo, e devo comunicare quello che è successo all'imperatrice.» Shiin si adombrò ulteriormente. «Abbiamo fallito scioccamente, non abbiamo capito quello che veramente accadeva e abbiamo perso Ashur.»
«Non è morto, lo saprei. È solo lontano, da qualche parte.» L'hilm'een si alzò, raggiungendo il dyku e fissandolo, mentre anche Majion si avvicinava a loro. «È celato al mio sguardo, ma ci sono altri modi per trovarlo. Qualcuno saprà dove è che si nasconde l'eletto del caos, dove dimora. Questo luogo c'è, Shiin, dobbiamo solo trovarlo.»
«Ne abbiamo già parlato e io non ho idea di dove sia o a chi chiedere. Non ho mai sentito parlare di quel luogo o di un posto simile.» Sospirando, scosse il capo. «Ho un dovere che viene prima di ogni altra cosa ed è verso la mia imperatrice e il mio clan. Poi ti raggiungerò ovunque sarai, se potrò.» Voltandosi verso Majion, Shiin strinse appena gli occhi. «Prepara il tuo cavallo.»
«No.» Majion scosse il capo, deciso. «Andrò con Aderyn. Quando tutto questo sarà finito mi farete frustrare, ma adesso non potete costringermi a obbedire.»
Shiin fissò duramente il cestrix, per poi arrendersi all'evidenza. «Vai allora, ho imparato che quando riguarda Ashur diventi cocciuto. Ero geloso di te, stupidamente, senza capire cosa mi passava davvero per la testa e non ho agito in modo molto corretto neppure nei tuoi confronti.»
Il silenzio sbalordito del rosso riempì per un attimo la discussione. «Tutto qua...?» Majion si era aspettato di dover lottare, o comunque almeno insistere di più, invece non solo aveva ricevuto delle scuse, sembrava che Shiin non avesse intenzione neanche di arrabbiarsi per la sua disobbedienza.
«A cosa serve costringerti a venire con me, quando la tua anima sarebbe altrove? Saresti un pessimo servitore. Almeno andando con lui saprai aiutarlo, visto che conosce ancora poco le nostre abitudini. Non saresti inutile come con me, quindi rimani pure, alla fine è la soluzione migliore.»
Spiazzato, il cestrix annuì. «Lo troveremo.»
«Ne sono certo.»
Il dyku finì di sellare il cavallo, preparandosi per un viaggio lungo e difficile in solitaria, verso il confine dove sapeva il padre e l'imperatrice erano rimasti, a baluardo di un'invasione che non potevano veramente fermare.
Guardandolo partire, Majion si strinse nelle spalle. «Credi troveremo Ashur?»
«Sì, non lo so quando, ma lo troveremo.»
Aderyn riprese a consultare i legni intagliati mentre il sole si alzava, immergendosi completamente in quello stato alterato che lo allontanava da lì, in un certo senso, portandolo a parlare con i suoi spiriti.
Majion andò a prendere del cibo, fermandosi a parlare con i contadini che li ospitavano. Da quando erano lì dal tempio erano giunti un carico di cibo e vari doni, oltre che dei soldi. Questo aveva reso decisamente ben disposti verso i loro ospiti quelle persone, che però non avevano idea di come aiutarli. Sospirando dopo l'ennesima, infruttuosa chiacchierata, Majion prese i piatti e tornò alla stalla, trovando Aderyn sprofondato in una specie di sonno. Nel guardarlo, però, si accorse che non stava dormendo: i suoi occhi sotto le palpebre si muovevano freneticamente e tra le sue mani i legnetti sembravano muoversi tra le dita come animati di vita propria.
Il cestrix posò il vassoio, coprendolo con un telo, e si sedette accanto all'altro, attendendo.
Quando infine l'hilm'een tornò in sé, provato e stanco, il sole era ormai oltre al suo apice e un lungo sospiro esausto uscì dalle sue labbra.
«Gli spiriti mi hanno parlato, finalmente, ma non hanno potuto dirmi nulla di chiaro. Ho come la sensazione che sia lontano, percepivo disperazione e angoscia. L'unica cosa che mi hanno potuto dare è un'immagine: mi hanno donato la visione di sette montagne poste a cerchio, sette vette nere con un lago vulcanico al loro centro, come una ciotola scheggiata. Hai mai sentito parlare di un posto come quello che ho descritto?»
«No,» il rosso scosse il capo, meditabondo, «ma io sono uno schiavo, non mi hanno esattamente insegnato molto. Conosco quello che i miei padroni hanno ritenuto utile sapessi e la geografia non ci rientra.» Majion si appoggiò alla porta della stalla, grattandosi la nuca. «Però so che esiste una specie di città dei libri, o meglio, un posto dove vanno le persone per diventare eruditi sotto la protezione di Lungfe, il dio della conoscenza. Chiunque sia nato libero e possa pagare la retta che decidono per lui i sacerdoti, può andare lì e imparare, a patto di superare le loro prove e dedicare l'intera vita alla conoscenza e alla ricerca. Credo che se qualcuno sa la risposta lo troveremo lì.»
«Dove si trova questa città di sapienti?»
«Da quanto ne so è a est, dove il grande fiume rosso, il Nythèl, segna il confine prima del deserto delle ossa. Si trova al confine più orientale del regno, ad almeno un mese di distanza, credo. Forse di più.»
«Ci servono mappe.»
«C'è una città a qualche giorno di distanza, me l'hanno detto oggi. Credo che pur gradendo i doni che ricevono dal tempio per ospitarci non vedano l'ora che ce ne andiamo.»
Aderyn annuì. «Chiedi loro le indicazioni per raggiungerla, partiamo anche noi.»

L'ultima monetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora