- 23 - Dopo la battaglia

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  «Non rimane più nessun nemico sul campo di battaglia, i demoni sono spariti.» Henshi parlò in tono quieto, accanto alla sua signora che non aveva mai distolto lo sguardo dallo spettacolo di morte e devastazione che era diventata quella valle. Alcuni demoni avevano attaccato gli schieramenti, ma ogni volta dall'aria prendevano forma creature di oscura foschia, simili a corvi, che li affrontavano al fianco dei soldati. Il potere di Ashur, il potere della dea dai mille e nessun nome, era immenso.
Lentamente erano diminuiti di numero fino a quando, a un ordine sentito solo da quelle orecchie blasfeme, non si erano ritirati, letteralmente scomparendo alla vista.
«Dobbiamo mandare a prendere Ashur e Jiaren.» Shandyan guardò la donna drago, nel suo volto un dolore che solo lei poteva notare ne oscurava i lineamenti. Altri suoi figli erano morti nello scontro, altri tre draghi erano caduti lottando. La donna allungò la mano, sfiorando il dorso di quella di Henshi in una carezza, in una silenziosa condivisione del lutto quieto e dignitoso di lei.
I feriti venivano trasportati alle tende adibite a quello scopo, i gemiti dei morenti, dei sofferenti, per coloro per cui ancora si poteva fare qualcosa e gli ultimi desideri di coloro che vedevano già i portali dei mondi celesti si mescolavano in un mormorio che sapeva di sconfitta. Eppure non avevano perso, erano vivi.
Shandyan si aggrappò a quello, nonostante il numero spaventoso di morti, e seppellì il suo dolore nel dovere di una sovrana.
Avevano bisogno di lei, sentiva gli sguardi che la cercavano in caccia di una sicurezza, di speranza, di rassicurazione. I suoi ordini erano dati in tono sicuro, senza tremori, nonostante quello che agitava la sua anima la sua forza non vacillò mai agli occhi di chi cercava in lei rassicurazione, uno scoglio, una forza inamovibile.
L'imperatrice si guardò attorno, individuò il dyku della Fenice e lo raggiunse, osservando quelle iridi d'argento piene di ombre cupe.
«Shiin, affido a voi il compito di recuperare dal centro del campo di battaglia la nobile Jiaren e Ashur. Fate attenzione, in quel punto la magia è ancora instabile e vibrante.»
L'uomo guardò la sua imperatrice e annuì con un piccolo cenno del capo. «Come ordinate, mia signora.»
Shandyan vide Shiin in persona dirigersi verso quel nucleo di instabilità, seguito da alcuni soldati e dal secondo in comando del Leone. Strinse le labbra e girò le spalle a quello spettacolo, dirigendosi alla sua tenda dove l'attendevano dei messaggeri. Voleva parlare con la sovrana delle streghe, con colei che, forse, in tutto quello, poteva diventare un'alleata e non più una nemica.



Passando attraverso il campo di battaglia, Shiin trattenne a stento i conati di vomito. L'odore era nauseabondo, un fetore di decomposizione e morte che non aveva mai sentito prima da nessuna parte. I cadaveri dei demoni avevano all'interno strani organi e il loro sangue era verde, simile nel colore a quello delle muffe luminescenti delle paludi. Tagliati a pezzi, squartati, i corpi erano sparsi ovunque: arti e tentacoli, zoccoli, artigli, parti irriconoscibili.
Rabbrividì rendendosi conto che era stato Ashur a fare tutto quello, lui e Jiaren. La potenza del dono di quella stirpe era spaventosa, mai avrebbe anche solo lontanamente immaginato che potessero fronteggiare simili esseri.
Marciavano attraverso quello spettacolo rivoltante, in cui i cavalli si erano rifiutati di addentrarsi, e Shiin non si sentiva di dar torto agli animali. Potendo scegliere neppure lui l'avrebbe fatto, ma non avrebbe mai ordinato un simile compito senza accompagnare i suoi uomini, non si sarebbe nascosto dietro al suo rango per non correre dei rischi. L'aria vibrava e più volte si trovarono a doversi fermare. Shiin non possedeva la seconda vista, ma i suoi sensi, il suo istinto, erano tesi al massimo e percepiva quelle zone di instabilità come una pressione contro la sua pelle, contro il suo intero essere. Evitarono esplosioni e fiotti di fuoco improvvisi, nati dal nulla e in nulla consumati, arrivando con mille deviazioni al centro di tutto quello dove trovarono, abbandonati al suolo e privi di sensi, Jiaren e Ashur.
Velocemente furono caricati su delle barelle e una volta al campo furono separati; Jiaren fu portata alla sua tenda e Ashur in quella di Shiin, dove per ordine di Fiuren il suo medico personale e Majion lo stavano attendendo.
Il dyku aspettò fuori, sorpreso dalla scarsità di ferite di Ashur. Respirava a stento, piano, come se avesse a malapena le forze per tirare il fiato, però quando gli avevano tolto l'armatura, ridotta a una massa informe, il suo corpo era quasi intatto.
Il nobile si lasciò scivolare a terra, sfinito, alzando gli occhi al cielo del tramonto, sgombro, cercando di non sentire, almeno per qualche minuto, i gemiti dei feriti e dei moribondi.
Chiuse gli occhi, cercando dentro di sé la forza di rialzarsi e rincuorare i suoi uomini, i sopravvissuti, di andare dai feriti. Prese lunghi respiri, cacciando il suo dolore per le piccole lesioni che non reputava degne di nota, e si rimise in piedi, dirigendosi con il volto deciso dai suoi uomini. Per tutti ebbe una battuta, uno sguardo; per i feriti ebbe parole di conforto e per i moribondi parole di elogio per il loro eroismo, la promessa che non sarebbero stati dimenticati e che le loro famiglie non avrebbero patito mai la miseria e la fame. Questo era il suo compito, questa era la sua parte di peso.
Era notte fonda quando camminando con il passo di un uomo sfinito, raggiunse la sua tenda. Il suo giovane attendente lo spogliò dell'armatura e lui si lavò in fretta, in un catino tenuto in caldo per lui.
«Shiin?»
La voce del fratello era inconfondibile. «Kaidao?»
L'erede del clan era davanti la tenda d'ingresso e si avvicinò al fratello, osservandolo. «Dovresti far vedere quelle ferite al guaritore.»
Stringendosi nelle spalle il dyku si sedette sulla sua stretta branda «Hanno già abbastanza da fare, queste non sono nulla di serio. Tu che ci fai qua? Non dovresti essere da tutt'altra parte, tipo in città?»
«Infatti sono lì, non riconosci più le doti dei gemelli di nostro padre?»
Shiin rise piano, scuotendo il capo. «Hai ragione, mi ero dimenticato delle loro capacità, così come il fatto che avesse portato qua Meliei. Deve essere importante se li stai usando e la loro resistenza è limitata; dimmi cosa succede.»
«È la prima volta che provo le loro capacità personalmente, so che sono sdraiato tra le braccia di Tielei, eppure quando ho aperto gli occhi ero qua. Uso il corpo di Meliei, ma ho il mio aspetto, è inquietante...»
Shiin annuì, strofinandosi il volto stanco.
«Sì, fantastico, ora dimmi cosa succede. Non che non sia contento di vederti, ma è stata davvero una lunga giornata.»
«È per questo che sono qua, Tielei ha riferito tutto quello che nostro padre a detto a Meliei. Ashur è quindi un avatar della dea? Ne siete certi?»
«Kaidao, ha fatto a pezzi dei demoni, ha evocato corvi magici che li sterminavano al suo fianco, è diventato alto svariati metri e, come se tutto quello non bastasse, la ho sentita. È stato spaventoso quanto vedere i demoni, la presenza di colei dai mille e nessun nome è schiacciate, fredda, porta con sé la follia e i venti dell'Oltretomba. Non dei cieli, ma degli inferi, e ti assicuro che se avessi potuto sarei scappato, in più di un paio di momenti, lo ammetto.»
Gli occhi d'oro del maggiore studiarono Shiin, sconvolti. Una simile ammissione era una cosa che l'aveva toccato con forza. Aveva ammesso di aver avuto così paura da voler fuggire, non aveva mai e poi mai sentito l'altro ammettere qualcosa di meno grave, figurarsi quello. Eppure il volto dell'altro mostrava una serie di emozioni, che come i disegni in un caleidoscopio mutavano in continuazione, fondendosi l'una nell'altra. Paura, orgoglio, dolore, dovere....
Le mille sfaccettature di ognuna cavalcavano lo sguardo d'argento del minore, pieno di ombre. «Non deve essere stato facile.»
«No, non lo è stato.» Shiin prese un profondo respiro, tutta la stanchezza che si palesava. «Non ho paura della morte, del dolore, ma non posso non tremare vedendo demoni usciti dall'inferno divorare uomini urlanti, farli a pezzi a mani nude e lanciare contro i loro compagni le membra squartate. A salvarci da tutto questo sono stati una ragazzina che sembra ancora un chiodo e uno schiavo. È Ashur che è stato scelto dalla dea, neanche Jiaren, ma lui.»
Scuotendo il capo, come incredulo, rimase in silenzio.
«Sai meglio di me che Ashur è molto più di quello, il fatto che tu viva in modo conflittuale ciò che lui è, dipende solamente dal modo in cui tu ti poni. Non è solo uno schiavo, quella è la cosa meno importante di lui. Sai benissimo chi è, come è cresciuto, e ora sai che cosa veramente sa fare ed è evidente che ha un'importanza enorme, che ci sfugge. In merito a questo... io sono troppo lontano, ma tieni a bada nostro padre. Non so bene cosa abbia intenzione di fare, ma sono certo non sarà una mossa saggia e rischiamo di perdere ogni cosa. Vuole troppo, è ossessionato dal potere, tanto da non vedere che ci sono limiti oltre i quali un uomo saggio non si deve spingere. Nostra madre è preoccupata, si rifiuta di dirmi cosa le abbia detto prima di partire, ma passa i giorni a pregare che non faccia ciò di cui le ha parlato. Temo per la nostra famiglia, Shiin.»
Il dyku si passò le mani tra i capelli, in un gesto stanco. Kaidao era l'erede, ma il loro signore era Fiuren, il loro padre. Il senso dell'onore lottò dentro di lui, mentre si chiedeva cosa fare in una simile situazione. Sospirò, giungendo a una risposta che, neanche molto tempo prima, non avrebbe mai neppure contemplato. «Terrò d'occhio nostro padre, farò in modo di farti giungere ogni notizia e agirò come riterrai meglio. Il Clan non deve cadere in disgrazia per la sua eccessiva ambizione.»
«Speravo mi avresti risposto a questo modo.»
«Hai corso un rischio.»
«Lo so, eppure ero certo di avere almeno una possibilità.»
«Perché ne eri così convinto? Stiamo pur sempre tramando alle spalle del nostro signore, Kaidao.»
Il maggiore sorrise tristemente, la piega della bocca era amara. «Sei combattuto. Da quando hai iniziato a conoscere Ashur, dentro di te, nel fondo della tua anima, hanno cominciato a nascere dubbi. Le tue incrollabili certezze si sono fatte fragili. Mi spiace, però, che il prezzo del tuo cambiamento, dei dubbi che non ammetti neppure a te stesso per intero, lo paghi quel ragazzo. Prima o poi capirai quello che è giusto, al di là delle convenzioni e degli insegnamenti, fratellino. Nostro padre ti voleva docile e ubbidiente, un soldatino fedele. Ce l'aveva fatta, poi hai conosciuto Ashur e hai visto molte cose, molti pensieri hanno solleticato la tua mente.»
«Mi conosci meglio di come io conosca me stesso.»
«Io ti vedo, ti conosco da quando sei nato, e non dimenticare quanto forte sia il dono del clan in me.»
Shiin annuì, sospirando. «Credo sia ora tu vada, nostro padre si chiederà come mai Meliei stia lontano per così tanto tempo, spero non gli chieda cosa ci siamo detti. So che la sua memoria è imperfetta quando viene posseduto, ma è stato un rischio.»
Il sorriso del fratello era divertito, mentre gli scombinava i capelli allo stesso modo di quando erano bambini. «Lui sa che cosa ci diciamo, ed è d'accordo. Se il clan cade, anche lui non avrà una vita facile.»
Shiin alzò un sopracciglio. «Pensi a tutto.»
«Qualcuno deve pur farlo. Ora vado, quando mi vorrai parlare cerca Meliei»
La figura di Kaidao tremolò e il concubino di Fiuren, stanco e provato, riapparve al suo posto.
«Mio signore...»
Shiin annuì, osservandolo attentamente. «Riposa qua fin quando non ti sentirai in grado di tornare da mio padre.»
«Posso andare via subito, anzi sarebbe meglio. Il padrone pensa stia aiutando con i feriti, meglio mi faccia almeno vedere in zona. Con il vostro permesso.»
«Allora vai.»
Lo schiavo si inchinò e uscì dalla tenda, lasciando il dyku solo.
Sdraiandosi sulla stretta branda chiuse gli occhi, stanco, cadendo immediatamente, nonostante i pensieri, in un sonno profondo.





Henshi sedeva in un angolo in penombra, silenziosa, celando oltre lo sguardo immobile i pensieri che condivideva con i suoi figli. Il lutto per la perdita che avevano subito li univa in un pianto corale che per qualunque essere umano era impossibile udire.
Strinse le dita, facendosi forza e sentendo una nuova cicatrice sul suo cuore, così antico da aver perso il conto dei secoli.
"Finirà mai questo dolore? Avrà mai fine la continua spirale degli eventi e la lotta che ferisce questo mondo dall'inizio dei tempi?"
Quella domanda rimbombava nella mente della donna drago, mentre distrattamente ascoltava Shandyan dettare le missive alla regina di quel popolo che, da sempre, era loro nemico.
«Pensi servirà?»
L'imperatrice si voltò al sussurro quieto di Henshi, osservandola per un lungo istante. «Non lo so, però confido che il suo bisogno sia grande almeno quanto il nostro e che si renda conto dei vantaggi di un'alleanza.»
«Avete un nemico comune, questo è vero, ma la storia dei vostri due popoli è travagliata. Da che ho memoria siete in conflitto e mai si è trovata una vera pace tra di voi o il desiderio autentico di raggiungerla.»
Sul volto stanco dell'imperatrice si formò un piccolo sorriso. «Forse ora è il momento giusto, se non provo neanche non posso saperlo. Tu stessa me lo hai insegnato: provare e cercare una soluzione che non comprenda la violenza è un dovere, per una sovrana.»
Henshi annuì, rimanendo in silenzio, e Shandyan continuò a dettare la missiva. Se avesse accettato, l'indomani poco dopo l'alba si sarebbero incontrate in un punto neutrale, a valle del campo di battaglia, avrebbero discusso l'alleanza e, forse, i primi passi di una pace.
Voleva, però, che a quella riunione ci fosse anche Ashur e in virtù delle abilità dimostrate nella comprensione di quella lingua anche l'altro schiavo del nobile Fiuren. Controvoglia lo mandò a chiamare, convocandolo.
Il nobile fece il suo ingresso nel tempo che lei impiegò a finire di cambiarsi, indossando finalmente abiti puliti. Non si era concessa neppure quello, fino a quel momento.
«Mia imperatrice, sono onorato della vostra convocazione, ogni cosa che è in mio potere fare è al vostro servizio.»
Sedendosi su una sedia, lasciò il nobile inginocchiato davanti a lei. Avrebbe dovuto avere la stessa considerazione dei suoi sudditi, al di là della simpatia personale, ma non sopportava il nobile della Fenice. Era un uomo avido di potere, scaltro e con ben pochi scrupoli. Ricopriva, però, una posizione di potere tale da obbligarla a dover sempre tenere conto della sua opinione. Era la voce del triunvirato, quella specie di regno nel regno che era sotto il suo comando solo per via dei giochi di potere, un legame sottile e che andava maneggiato con estrema cura. Li considerava un gruppo di nobili avidi, che erano per lo più dediti al commercio degli schiavi e nonostante la cosa si limitasse a dicerie che non potevano essere provate, sapeva che erano loro che, spesso, razziavano le coste lontane catturando genti indifese. Davano poi la colpa ai pirati, iniziando spietate cacce alle navi, ma anche se era vero che quei banditi dei mari di certo non indulgevano in legali rotte di commercio, spesso diventavano mira delle flotte del triunvirato unicamente se intralciavano i loro traffici e razziavano i villaggi che erano già sotto la loro mira.
Quando le navi pirata non si piegavano agli accordi che il triunvirato imponeva, diventavano nemiche. Fino a quel momento, però, solitamente lavoravano per quegli stessi nobili pronti a dimenticarsi di essersi abbassati al livello di quei fuorilegge non appena una migliore offerta si profilava all'orizzonte.
«Nobile Fiuren, come ben sapete questa giornata segna un profondo cambiamento in ogni idea che potevamo avere sulla guerra in corso. In anteprima, prima di convocare il consiglio, vi comunico il mio desiderio di avere all'incontro con la regina delle streghe che si terrà domani all'alba la presenza del vostro schiavo, colui che conosce la lingua di quel popolo, e dello schiavo che è benedetto con il potere della dea dai mille e nessun nome, Ashur.»
L'uomo sorrise. «Sono lusingato mia signora. Sono certo che il consiglio accoglierà con piacere la notizia di un incontro con i nostri... non credo di poterli ancora chiamare nemici. Davanti agli accadimenti di oggi, immagino che un'alleanza sia indispensabile.»
A Shandyan non stava sfuggendo come Fiuren non le avesse dato una risposta chiara. «Avete detto il vero, ormai è un passo che si deve compiere. Confido nella vostra saggezza e nella vostra capacità di fare la più corretta delle scelte, per il bene del popolo stesso.»
«Le vostre sagge parole ci saranno certamente di guida, come sempre.»
Shandyan si costrinse a sorridere, quella risposta era sibillina e non era di certo gradita alle sue orecchie. «Andate pure alla tenda del consiglio, appena sarete riuniti arriverò a mia volta.»
Quel congedo era quanto di più cortese la sovrana potesse dire, in quel momento.
Attendendo qualche istante che il nobile fosse fuori dalla tenda Henshi si alzò, avvicinandosi a Shandyan e posandole la mano sulla spalla. Sentiva la spossatezza di lei, così profonda da essere pericolosa per la sua salute e, concentrando le proprie energie, ne trasferì una parte nella donna. Un senso di calore si diffuse in lei, che alzò lo sguardo con un sorriso verso la donna drago.
«Anche tu sei stanca, non ti sforzare tropo.»
«Ciò a cui io posso attingere è un lago molto più profondo del tuo e sai che è solo un piccolo rimedio provvisorio, ti sosterrà giusto durante la riunione con i consiglieri.» Togliendo la mano dalla spalla, Henshi sospirò. «Fiuren ha qualcosa in mente, potrebbe diventare una spina nel fianco.»
Shandyan chiuse gli occhi, il viso che diventava duro come la pietra. «Se le sue azioni metteranno in pericolo la stabilità del regno chiamerò ancora una volta Tewu.»
«Lei gli toglierà la vita dolcemente, ma risolverà la situazione? Il suo erede è un uomo degno?»
Shandyan aprì le palpebre, guardando qualcosa che esisteva solo nella sua memoria. L'immagine di un ragazzino, a corte per la prima e unica volta, dallo sguardo quieto e serio, ma con una scintilla di fuoco negli occhi dorati. «Credo lo sia, Henshi. Solo il tempo, però, potrà confermare o smentire la mia impressione.»
Ora che aveva recuperato le forze si alzò e, come sempre seguita da colei che per tutti era la sua più fedele dama di compagnia, si avviò verso la tenda del consiglio con passo lento e sicuro. Nel tragitto il generale Sujiang si affiancò alle due, il volto calmo anche se segnato dalla stanchezza.
«Mia signora, posso avere l'onore di scortarvi?»
Shandyan annuì e l'uomo percorse quei metri accanto a lei.
Divisero il silenzio, non potendo dividere le parole, ma quello diede a entrambi una piccola gioia, fatta di un unico sguardo pieno di luce.
Con un gesto rispettoso Sujiang scostò il telo d'ingresso e l'imperatrice fece la sua entrata. Nonostante avesse tolto l'armatura aveva al fianco la sua solita spada, reduce di battaglie e di vittorie spesso più amare di una sconfitta. Camminò fino al suo posto a capotavola facendo scorrere lo sguardo su ognuno di quei nobili. Dyku e signori che discutevano tra loro, animati da quello che per lei era evidente paura e confusione. Immediatamente una cacofonia di voci si levò, dando un suono ancora più fastidioso a ciò che lei considerava superficiale, ma aveva bisogno di quegli uomini, doveva mantenerli uniti e pronti a ubbidire alle sue parole.
«Signori!» La voce di lei squillò alta, piena di autorità. «Nobili signori! Silenzio!» Ordinò alla fine, seccamente, e il vociare si quietò.
Una volta ottenuta l'attenzione di tutti, fronteggiò quegli sguardi. La maggior parte degli eventi erano stati spiegati, però era suo compito scindere le voci che già avevano iniziato a girare dalla verità. «Oggi, miei signori, abbiamo assistito a un evento che segna l'inizio di una lotta, una guerra tra ordine e caos. Abbiamo visto i demoni uscire dagli inferi e calcare il suolo, spargere morte e devastazione. Il popolo delle streghe rosse, che credevamo ci stesse attaccando, in realtà fuggiva da quegli esseri e abbiamo inaspettatamente trovato degli alleati, forse, in loro. Per secoli abbiamo guardato al confine, a questi monti, con rancore e freddezza, incapaci l'un l'altro di comprendere il linguaggio dell'avversario non abbiamo mai cercato una vera pace, un vero dialogo, così come non abbiamo mai davvero voluto trovare un modo di comprendere il linguaggio di quel popolo. Il popolo eletto di Nut, che vive in contatto con la natura sua figlia, è composta di genti che riteniamo poco più di selvaggi. Noi siamo i figli del dio drago, del padre celeste e lui e i suoi figli ci hanno scelto. Sappiamo tutti come, agli albori del creato, ogni stirpe divina scelse un popolo, prendendolo sotto la propria ala e proteggendolo nelle terre che aveva creato per loro e come Nut, la più schiva e legata alla terra, con il suo sposo che chiamano padre cervo, abbia scelto un popolo legato alla terra e alle sue creature molto più di noi. Hanno una magia che non capiamo, che ci sfugge, e un linguaggio che nelle nostri menti scivola senza mai mettere radici, eppure, forse, un modo di comunicare c'è. Uno schiavo di una terra lontana ha la capacità di scrivere e leggere quel linguaggio e la ha insegnata ad alcuni eruditi. Non riescono a pronunciarla ma, scrivendo, pare si aggiri quella strana forma di maledizione che ci divide.» Fece una pausa, l'attenzione di tutti focalizzata su di lei. «Oggi ho mandato delle missive alla loro sovrana e, se accetterà, domani potremmo fare il primo passo verso un'alleanza e mi auguro la pace. Tutto ciò è basilare se vogliamo evitare che ciò che oggi ha raggiunto il nostro esercito, le nostre terre, contaminando il nostro suolo ci stermini.»
«Chi ci ha salvato, oggi, è stato il potere del clan del Leone, non quelle streghe selvagge!»
Alzandosi in piedi, il dyku dell'Airone, puntò il dito su Jiaren. La ragazza era rimasta muta e quieta, segnata dallo sfinimento, seduta al suo posto. Lei alzò lo sguardo sulla sovrana, supplicandola di dire lei qualcosa con lo sguardo pieno di dolore e orrore, ma Shandyan, per quanto desiderasse proteggerla, non poteva farlo, non da quello, non in quel momento.
Jiaren strinse gli occhi, scacciando le lacrime, e alzò il volto pallido per una stanchezza che nessuno di loro poteva anche solamente immaginare. Con poco più di un sussurro, diede voce ai suoi pensieri a fatica.
«Signori, oggi il potere del mio clan è stato sufficiente. Oggi lo è stato, ma non lo sarà sempre. E non ero io a tenere a bada i demoni era... un'altra persona.» La ragazza deglutì, faticando a comunicare e incespicando nelle parole. «Non potete affidare a me, al mio sangue, la vittoria contro quei mostri.»
«Allora saranno quei selvaggi a fare la differenza?»
Shandyan alzò la mano, stringendo le labbra. «Un modo c'è, una profezia, e sto già organizzando il viaggio perché possa essere adempiuta. Le parole degli dèi ci guidano.»
L'imperatrice strinse le labbra: in realtà tutto quello che sapeva glielo aveva detto Henshi. Lei le aveva rivelato di Ashur, di Nut, degli avatar e di quello che era accaduto al di sotto dell'orribile spettacolo di quella devastazione. Non sapeva come era possibile, ma la donna drago le aveva detto di aver sentito la voce di colei che aveva mille e nessun nome, le parole che aveva detto ad Ashur e la risposta del giovane. Era suo dovere fare in modo che il ragazzo potesse svolgere il suo compito, eppure aveva cattivi presentimenti su Fiuren. Il giovane era legalmente schiavo del nobile, e se avesse obbligato l'uomo con la forza a obbedirle gli equilibri politici si sarebbero incrinati, era una faccenda che andava vagliata attentamente, ma non era quello il momento adatto. L'indomani avrebbe dato spazio anche a quei pensieri, ora aveva i nobili del consiglio da tenere a bada.
«Quale profezia? Non e sappiamo nulla!»
«E nulla saprete.» Shandyan rispose con severità al nobile che aveva alzato la voce. «Vi chiedo la vostra fiducia, questa guerra va combattuta su più fronti e quello non è il vostro, nobile Yushon.»
L'uomo si alzò in piedi, ma la voce che lo zittì fu quella calma e pacata di Fiuren.
«Avete per caso intenzione di rinnegare davanti a tutti il giuramento di fedeltà che ognuno di noi ha donato alla nostra imperatrice, Yushon? Qualcuno vuole farlo assieme a voi? Abbiamo giurato obbedienza e lealtà, ciò implica accettare le scelte della sovrana quando sono prese. Non siete d'accordo?»
Lo sguardo dei due uomini si incrociò e fu Yushon a distoglierlo per primo. Con un guizzo di seconda vista Shandyan aveva visto il potere del nobile Fiuren palesarsi, per un solo istante, condizionando l'uomo. Strinse le labbra, non approvava tale linea d'azione, ma doveva ammettere che era stato un aiuto insperato.
«Non ho intenzione di rinnegare nulla, lascio ogni decisione in mano alla nostra sovrana, la sua saggezza non ha mai fallito nel mostrarci la via.»
«Apprezzo le vostre parole. Altri, in consiglio, hanno desiderio di opporsi?»
Una volta che la voce dell'uomo che era il portavoce della fazione più avversa alla sovrana aveva taciuto, però, nessun altro si fece avanti e Shandyan sorrise. «Allora dichiaro sciolta questa seduta, signori. Abbiamo tutti bisogno di una notte di riposo.»  

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