-36- La rete si chiude

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«E adesso cosa faccio?»
La voce di Majion suonava flebile alle sue stesse orecchie: era lì, seduto sul letto, che fissava quella piuma senza capire, esattamente, come avrebbe dovuto reagire.
No, non era stato un sogno.
Quindi era nei guai, in guai davvero grossi, perché non aveva assolutamente idea di cosa ci si aspettava ora da lui e cosa, esattamente, avrebbe dovuto fare.
Impiegò un attimo a capire che Aderyn lo stava chiamando e portò lo sguardo su di lui sbattendo le palpebre più volte, cercando di mettere da parte i suoi pensieri e capire cosa gli stesse dicendo l'altro.
«Allora? Ho capito male?»
«Cosa hai capito male? Scusa, non ascoltavo.»
Aderyn annuì, sedendosi ai piedi del letto di Majion indicò la piuma. «Sei diverso, sento qualcosa di nuovo, in te. Quello è un segno?»
«Sì» il cestrix sbuffò, «il segno che sono un perfetto imbecille, per ogni dio, dea, e qualunque cosa ci sia tra cielo e terra! Ho accettato! In un sogno mi ha fregato!»
Aderyn lo studiò per un lungo momento. «Che sogno?»
«Bah...» Il rosso si grattò la testa, irritato. «All'inizio era anche bello, ho sognato la mia casa. Le coste, il mare, sai, quel tipo di cose. Poi è diventato inverno, ha iniziato a nevicare e Strix, bella bella, è arrivata.»
«Strix?»
«Sì, lei è la mia dea. O meglio, quella del mio popolo, una degli dei. Ne abbiamo un po', perché accontentarsi di uno se puoi collezionarli?»
«Fate collezioni di dei?» Aderyn, perplesso, non era certo d'aver capito. «Come fate?»
«No, no...» Con un profondo sospiro l'uomo si mise seduto più comodamente. «Storia lunga, la vuoi tutta? Non la so benissimo, però. Conta che io conosco solo la versione per i ragazzi. Man mano che uno cresce gli dicono i pezzi mancanti, ma io sono stato portato via prima di sentire proprio tutti i particolari.»
«Non conosci quindi tutta la storia del tuo popolo?» Aderyn vide l'amico stringersi nelle spalle, sbuffando.
«Te l'ho detto, sono stato portato via troppo presto, avevo tredici anni. Comunque mettiti comodo, è lunga. Da quanto ne so il mio popolo è l'unico ad avere così tanti dei, tutti voi ne avete uno a capo e a volte pochi altri. Qua hanno giusto il Padre Drago, che è il dio ufficiale, e i suoi diretti figli: quella là di Ashur e un altro. E un sacco di spiriti e simili, ma solo un dio. Noi no. Le nostre sagge ci raccontano che siamo giunti in queste terre da molto lontano, se ricordo bene dicevano che siamo arrivati da oltre le nebbie. Nel viaggiare siamo passati attraverso molti territori privi di persone, desolati, cose così. Vedi, siamo un intero popolo, ma divisi in clan e ognuno è una specie di famiglia allargata e sovrana di se stessa, anche se abbiamo come punto di riferimento un re che eleggiamo tra i migliori capi clan. Però è una figura che nessuno vuole ricoprire: troppi doveri. Deve tenere a bada ogni principe, o capo clan, non so quale termine ti sarebbe più chiaro... insomma, deve fare da paciere e occuparsi di tutte quelle cose noiose di cui nessuno si vuole prendere l'onere. Comunque, dicevo, abbiamo viaggiato. Nord, sud, isole, coste, montagne, per generazioni e generazioni siamo stati dei vagabondi, incontrando sulla nostra strada divinità senza un popolo che hanno deciso di seguirci. Pian piano si sono affezionati a noi: erano esseri divini minori che erano rimasti nell'ombra, indebolendosi per mancanza di gente che credesse in loro. Ora, io non so se è vero, ma da bambino mi hanno insegnato che un dio in cui non crede nessuno, è un dio che muore.» Majion si passò le dita tra i capelli, allontanandoli dal viso e legandoli sulla nuca continuò: «Fatto sta che ci hanno adottato. Noi, popolo senza terra e senza dei, a un certo punto ce ne siamo trovati tanti e grazie a loro abbiamo anche trovato un luogo dove fermarci. Ogni clan, però, o gruppo di clan, ha una divinità a cui è più legata. Strix è una dea saggia, che arriva di notte nella forma di una civetta candida. Sa essere la più selvaggia delle guerriere, la più sensuale delle amanti eppure è, allo stesso tempo, la protettrice della casa e delle arti, della conoscenza, ed è l'unica tra tutti i nostri dei che posso definire, non so... come se fosse la regina.»
«Avete raccolto gli dei senza popolo e siete diventati pieni di dei. Come fate ad amarli tutti?»
«Amarli?» Majion alzò le spalle. «Abbiamo un rapporto molto diverso... qua li adorano, si mettono in ginocchio e li pregano. Noi parliamo, li sfidiamo, a volte otteniamo favori con l'arguzia o con l'inganno. Altre volte scendono tra noi per una bevuta. Sono poche le situazioni simili a quelle che avete qua. Qualche rito propiziatorio, più che altro, ma le nostre sagge parlano con loro a tu per tu, si siedono cocciutamente davanti alle loro dimore finché non vengono ascoltate. Per questo le nostre sagge sono così importanti; sono quel genere di donna a cui nessuno direbbe di no, neanche un dio.» Sorrise e il pensiero di Beith gli solleticò la memoria. Sua sorella probabilmente era diventata una saggia. Caparbia e forte com'era, quella sarebbe sicuramente stata la sua strada.
Aderyn, apparentemente più perplesso di quando Majion aveva iniziato a parlare, annuì tra sé, cercando di capire. «Quindi una dei vostri dei è arrivata? Da te?»
«Sì, da quello che so da te e Ashur direi che mi ha incastrato scegliendomi come suo eletto, e io sono stato tanto stupido da dire sì. Ora, però, non ho assolutamente idea di quello che dovrei fare...»
«Quello che hai fatto fino ad adesso. Essere l'eletto di un dio vuol dire che facevi già la cosa giusta, ti ha scelto per quello. Continua a essere te stesso.»
«Non sono un guerriero o un mago. Cosa mai posso essere di speciale?»
«Se lei ha scelto, lei è nel giusto» inciampando un po' nelle parole, l'hilm'een proseguì. «Cosa ti ha detto?»
«Che sono coraggioso. Doveva essere ubriaca.»
Quasi sconvolto da quel modo di parlare di una divinità, Aderyn fissò l'amico.
«Mael, tu sei uomo molto coraggioso. Il vero coraggio è diverso da quello di una spada» le parole un po' sconnesse uscivano a fatica. Quando Aderyn cercava di fare un discorso complicato, le sue capacità linguistiche regredivano. Come se essere troppo concentrato su quello che voleva dire gli impedisse di ricordare le parole. «Quando un uomo combatte non è scelta, spesso. È io o altro. È istinto. Tu, però, hai scelto sempre. Hai aiutato, amato, dato coraggio, soccorso, compassione... tu hai avuto sassi e hai dato oro. Questo è coraggio, scegliere di non essere arrabbiati e di essere... buoni?»
Frustrato, l'hilm'een disse una frase nella sua lingua a denti stretti. A Majion suonò molto come una sequela di imprecazioni.
«Amico, non è che se ti bastonano devi far bastonare chiunque.»
«Non è vero per tutti, è vero per pochi. Sai che dico il vero, amico mio. Tu hai un cuore nobile, grande, profondo. Hai una faccia cattiva, ma serve per proteggere il cuore.» Aderyn si bloccò, un sopracciglio alzato. «Parlo molto male quando ho bisogno di parlare bene.»
«Ho capito, tranquillo.» Majion si alzò, scrollando le spalle, e indicò la porta. «Quindi devo solo continuare a essere quello che sono, da un lato è rassicurante. Poi penso che quello che sono è uno stupido sentimentale e smetto di sentirmi tranquillo» un verso irritato uscì dalle labbra del cestrix. «Andiamo, che ci aspettano» borbottò, mentre Aderyn si alzava per seguirlo, sorridendo tra sé.

***

L'ultima monetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora