-32- L'Amara Sconfitta

160 20 1
                                    


Nokraal sorrise dietro la maschera, assaporando il gusto di una vittoria che non aveva precedenti nella lotta infinita tra le due fazione di Ordine e Caos, gioendo segretamente di quella disperazione che sentiva emanare da Ashur.
Finalmente, aveva vinto.
Aveva passato centinaia d'anni a pianificare un piano così diverso da qualunque altro da essere talmente rischioso che lui stesso aveva dubitato. Il rischio di intaccare il tessuto stesso dell'equilibrio cosmico forzando gli eventi in un equilibrio causato da un'assenza di scontro, piuttosto che da una scelta, era sempre presente. Eppure era l'unica soluzione che vedeva.
Un circolo vizioso, infinito, in cui le due forze si affrontavano attraverso gli esseri umani e i prescelti. Un serpente che si mordeva la coda, infinito, apparentemente impossibile da interrompere.
Guardò ancora Ashur, costretto al suo servizio, piegato, l'avatar di Obacha piegato dalla sua volontà inginocchiato davanti a lui. Sì, ora c'era una nuova possibilità, un nuovo equilibrio in cui lui avrebbe vinto, mantenendo in vita Ashur. Senza la morte del giovane non sarebbe stata possibile la creazione di un nuovo avatar e quindi una sfida, senza la sua decisione di affrontarlo lui aveva già vinto.
Sentì il sangue pulsare nelle vene, la magia caotica dare un guizzo e la controllò.
La sua volontà era d'acciaio, i demoni gli obbedivano e le forze primordiali e caotiche erano sotto il suo dominio in maniera completa e assoluta, tutto ciò che rappresentava Ashur era sconfitto: aveva vinto.
«Alzati.» A quelle parole Ashur ubbidì, muovendosi come un vecchio stanco, le spalle accasciate dal peso di una scelta che lo tormentava. «Offrirò la pace alla tua imperatrice e tu verrai con me.»
Spalancando gli occhi, il giovane si rese conto di essere impallidito.
«Non hanno bisogno di sapere chi tu sia, se non il mio servitore.» La mano di Nokraal si mosse nell'aria e in un brillio di scintille violacee tra le dita prese forma una maschera nera, che porse al giovane. «Indosserai questa, nessuno potrà vedere oltre l'illusione che crea.»
Tra le mani del giovane era leggera, liscia, sottile, eppure era un macigno. Il suo tradimento era lì, tutto lì. Aveva parlato con Obacha e la dea l'aveva scelto, ma non aveva mai davvero voluto salvare tutti, a lui interessava solo salvare chi amava, chi conosceva.
Non gli era mai davvero interessato di nessun altro, meritava ogni disprezzo, eppure tutto quello avrebbe salvato chi amava e quella era l'unica cosa che gli importasse davvero.
Lentamente portò la maschera al volto, chiudendo fuori dalla mente e dal cuore ogni senso di colpa, neppure la morte degli innocenti gli interessava.
Non gli doveva interessare.
Sentì la menzogna dei suoi stessi pensieri e si odiò ancora di più.
La maschera aderì perfettamente sul suo viso, mostrando al mondo una faccia priva di lineamenti, liscia, priva di bocca.
L'illusione lo avvolse e alzò gli occhi fino a incontrare quelli dell'eletto del caos che l'osservò per un lungo istante.
La mano coperta dal guanto d'arme di Nokraal si alzò, posandosi in una specie di carezza sul capo di Ashur: un contatto freddo che mise i brividi addosso al giovane, che percepì il potere dell'altro come una scossa spiacevole lungo la spina dorsale.
«Seguimi.»
Si incamminò, seguendolo lungo corridoi di basalto nero e marmo scuro dove, qua e là, piccole luci magiche illuminavano a stento quegli spazi cupi. Uscì sulla cima di una torre, trovandosi davanti un piccolo lago dalle acque cristalline che riflettevano il cielo e la corona di punte aguzze dei monti circostanti.
Sobbalzò quando un'aquila mostruosa, enorme, si posò sulla pietra affondando gli artigli per reggersi e osservò quella creatura con un misto di paura e meraviglia.
Gigantesca, simile a un rapace eppure diverso, di un colore simile a quello del sangue rappreso e uno sguardo fiero, pieno di forza. Occhi intelligenti, che guardarono Nokraal con odio.
«Avete chiamato, mio signore?»
Alle parole dell'aquila, un suono stridente eppure chiaramente comprensibile, Ashur capì che tipo di creatura aveva davanti.
«Portaci al campo di battaglia.»
Il demone chinò il capo, spostandosi in modo che potessero salire e solo allora Ashur notò la bardatura. Osservò l'altro montare e lo imitò, infilando le gambe nelle corregge di cuoio e stringendole.
Becconero spiccò il volo, dirigendosi verso la carneficina lontana che lo attirava, desiderando di poter prendere parte a quel banchetto di carni e terrore e poter così placare la sua fame.

L'ultima monetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora