Durante il viaggio i pensieri della giovane erano diventati sempre più cupi, man mano che la salute fisica tornava il tormento del pensiero di Mengwe aumentava e non l'abbandonava mai, rendendola distante e taciturna.
Quando arrivarono alle porte del palazzo del Leone, quando la sua gente l'accolse felice di rivederla, nonostante tutto lieta di quella precaria pace di cui già si vociferava, spaventata dal prezzo della stessa, Jiaren sentì il suo cuore stringersi in una morsa di colpa e dolore. Guardò i volti afflitti e chiusi nel lutto di chi non aveva potuto ricongiungersi con chi aveva visto partire, i bambini piangere aggrappati alle vesti delle madri che la guardavano. Non c'era accusa su quei volti, solo la forza di chi doveva andare avanti, e il suo cuore si strinse ancora e ancora, per ogni lacrima, a ogni vedova e a ogni orfano. La colpa infine vinse ogni difesa, conquistando completamente il cuore e l'anima, attaccandola con rimorsi, rimpianti e dubbi.
Aveva davvero fatto ogni cosa possibile per riportare salvi a casa quegli uomini?
Aveva lottato con ogni brandello di forza?
Chiuse gli occhi, sentendo le lacrime pungerle le ciglia le ricacciò nella voragine della sua anima.
Fu una voce detestata e conosciuta a farle sollevare le palpebre mentre la accompagnavano, su una specie di portantina, tra i corridoi del palazzo fino alle sue stanze. Non era diretta a lei, era solo un eco tra i corridoi, un sussurro portato dal vento, era Mengwe: lui era lì.
Lui, che aveva fatto scivolare il sasso che aveva dato origine alla valanga, l'origine di ogni male.
Sorrise e nulla di gioioso avevano quelle labbra, piegate fameliche e rabbiose.
Diede ordine alle sue più fidate dame, quelle che l'avevano accompagnata in battaglia e lottato al suo fianco, di tenere d'occhio l'Odiwa e di riferirle ogni suo passo, mentre decideva di fingere una debolezza che in realtà non provava, non fino a quel punto, per prendere tempo e celare le sue vere intenzioni. Guariva con una velocità straordinaria: era quasi completamente rimessa, molte delle cicatrici erano ormai solo una sottile riga rossa, ma le sue reali condizioni dovevano rimanere celate ai più.
Durante quei giorni di finta di debolezza l'Odiwa mise in moto i meccanismi che aveva preparato fino a quel momento, la sua voce blandiva e ammaliava con una brillante patina di onestà e verità, celando al di sotto di quella superficie ingannevole un nucleo marcio e velenifero. Le macchinazioni di Mengwe arrivarono velocemente a orecchie ben attente e vennero prontamente riferite a Jiaren.
Shiori, una tra le più anziane tra le dame che l'avevano accompagnata in guerra, le stava spazzolando i capelli mentre il sussurro della sua voce, udibile solo a Jiaren, riferiva le notizie. Le note incantate di uno shamisen riempivano la stanza di una melodia che rendeva impossibile per chiunque sentire ciò che veniva detto.
«Cerca sempre nuovi alleati, facendo leva su come siate stata... lui dice sconfitta, alterando la realtà dei fatti con quella sua lingua viscida e menzognera.» La voce della donna era chiaramente irata. Jiaren era stata un'eroina, li aveva salvati. Eppure, tra chi a palazzo aveva solo visto il suo ritorno, ferita e con l'esercito del clan decimato, non la vedeva a quel modo e non prestava fede ai racconti dei soldati, credendo impossibile che una donna avesse potuto guidarli con lo stesso potere del generale delle Fornaci, del compianto Taone. Erano loro che ascoltavano volentieri il veleno sparso dall'Odiwa ritenendo Jiaren solo una ragazzina che aveva portato il clan al collasso, incapace di guidarlo. «Cerca di convincere ogni vostro nobile che siete inadatta al potere, che non sapete né combattere né guidare l'esercito, afferma che siete incapace di guidarli con la forza di un vero capo. Non tutti gli danno retta, ma chi crede alle sue menzogne, spesso per profitto personale, c'è.»
«Tieni sempre a mente i nomi dei traditori, Shiori, perché pagheranno.» Jiaren si morse le labbra, pensierosa. «La sua soluzione alla mia presunta incapacità è sempre la stessa, immagino.»
L'ancella annuì. «Che un uomo forte e capace vi prenda in moglie, che a voi piaccia o meno. E sta cercando di fare in modo di essere visto come quell'uomo, mia signora.»
Jiaren sorrise, un lampo d'ira negli occhi scarlatti sembrò insanguinarli. «Si può già iniziare a parlare di tradimento?»
«Vi consiglio di aspettare, mia signora. Tendete bene la rete, così da catturare ogni pesce. Abbiate pazienza e le maglie saran così strette che neppure i più piccoli potranno sfuggire alla cattura.»
La giovane rimase in silenzio, riflettendo, e alla fine annuì.
«Seguirò il tuo consiglio.»
Shiori finì di pettinare la sua signora, mentre le note dello shamisen variavano, annullando l'incanto che le aveva protette. Per chiunque, essere umano o spirito, quella discussione sarebbe stata inudibile, le parole inesistenti. Una malia sottile le aveva rese impercepibili; una delle magie delle donne, così venivano chiamate quel genere di incanti, aveva protetto quello scambio. Era un'arte sottile, che creava illusioni inavvertibili, celando piccoli misteri tra le lievi note di uno strumento. Una magia sottovalutata, ritenuta indegna di attenzioni e priva di vero potere o utilità perché prettamente femminile. Un piccolo sorriso increspò le labbra di Jiaren a quel pensiero: essere ritenuta inferiore poteva essere un enorme vantaggio. Aveva imparato a sue spese che nessun nemico andava sottovalutato e presto l'avrebbe imparato anche Mengwe.

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L'ultima moneta
FantasiAshur ha compiuto il peccato peggiore possibile: ha avuto paura. Davanti alla Dea dai mille e nessun nome è fuggito, portando il disonore sulla sua famiglia. Ora ciò che lo aspetta è solo l'esilio, mentre suo padre, il generale delle mille fiere, gl...