-26- La Bestia

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Majion guidava il piccolo carro dove erano stipate le provviste e i loro bagagli. Steso in un punto libero e avvolto in una coperta c'era Ashur che dormiva. La fatica che aveva sopportato e i postumi dell'erba nera facevano sì che dormisse moltissimo, ma man mano che il tempo passava i periodi di veglia si allungavano.
Il cestrix scosse le redini per far avanzare nella luce del mattino il cavallo a un passo più vivace;il tempo si manteneva buono e le strade erano asciutte. Davanti a lui cavalcava Shiin, vestito come un mercante, e dietro di loro l'hilm'een, Aderyn, li seguiva.
Poco prima dell'alba si erano riuniti in un punto al di fuori del campo, avvolti da una leggera foschia che agli occhi di Majion non era del tutto naturale. L'uomo delle streghe era uscito da quei nastri di nebbia come se si fosse materializzato da essa stessa, tenendo per le redini un grosso castrone di un grigio cupo, pomellato di nero.
Non aveva detto poi molto, del resto solo loro due si capivano e neppure completamente: al rosso molte sfumature del linguaggio delle streghe sfuggivano anche se ne comprendeva il senso generale. Shiin non parlava, si limitava a dare ordini e al momento la situazione gli andava bene così, non aveva voglia di interagire eccessivamente con il dyku, non dopo quello che aveva fatto ad Ashur. Non aveva perdonato quella fustigazione: anche se era legalmente legittimato, vedere il modo in cui aveva sfogato la sua rabbia sull'amico lo aveva fatto infuriare. Purtroppo sia lui che Ashur erano ancora schiavi, una realtà che non sarebbe cambiata in quel viaggio, non di molto almeno.
Viaggiarono lungo vie secondarie, attraversando la campagna abbandonata e i campi lasciati incolti. Così vicino al luogo della battaglia, ai piedi dei monti, i contadini avevano cercato rifugio altrove portando lontano i pochi averi. Quelli rimasti erano barricati nelle loro case e coltivavano solo ciò che serviva loro, timorosi di ogni passante li evitavano accuratamente.
Seguirono quel percorso per giorni, senza incontrare nessuno ed evitando qualunque paese fino a che non raggiunsero le arterie più trafficate.
Si erano sempre accampati al lato della strada che percorrevano, ma quel giorno Shiin aveva deciso che potevano anche cercare una locanda, avevano tutti bisogno di una notte di riposo migliore. Non si fermarono se non poco prima del tramonto, quando arrivarono al paese di Mun'wo, segnato sulla mappa come una cittadina di piccole dimensioni. Mantenendo quell'andatura i cavalli potevano proseguire per un tempo molto lungo senza risentirne, non era certo un passo particolarmente rapido, ma al momento l'importante era arrivare dall'oracolo senza attirare l'attenzione. Quella soluzione consentiva loro di passare abbastanza inosservati pur viaggiando con una certa rapidità.
Si fingevano un piccolo mercante con il suo seguito, in viaggio verso il resto della sua carovana nell'entroterra. Aderyn, armato di una sciabola e di un arco celava il suo aspetto tenendo il cappuccio alzato il più possibile e Majion e Ashur erano i servitori. Lentamente il giovane riprendeva le forze, giorno dopo giorno i tempi di veglia si allungavano e riusciva a stare a cassetta con Majion, la febbre non era più tornata e solo una volta, in una settimana di viaggio, aveva avuto una crisi scatenata dall'erba nera.
In quell'occasione l'hilm'een aveva chiesto spiegazioni a Majion e lui aveva accennato alla loro condizione di schiavitù e a quella droga, sconvolgendo l'altro. A quanto pareva per il popolo delle streghe non esisteva la schiavitù e sapere che sia Majion che Ashur, un eletto, erano legalmente proprietà di qualcuno e che la loro vita e morte poteva essere decisa da chi li aveva comprati, lo aveva turbato.
Shiin si era mostrato estremamente infastidito dal non poter capire quella lingua, eppure sembrava non riuscire ad afferrarla nonostante si fosse sforzato di impararla. Aveva dovuto limitarsi a fissare Majion e Aderyn parlare, aiutandosi con gesti e pantomime, mentre Ashur li osservava, cogliendo vagamente il fulcro del discorso.
L'hilm'een pareva invece apprendere in fretta la lingua dell'impero del drago, afferrando velocemente i suoi suoni e cadenze. In una settimana di viaggio riusciva già a comprendere qualche semplice frase e a farsi capire usando poche parole di base e molti gesti.
Arrivarono a Mun'wo, trovandosi davanti alle mura di cinta che la circondavano, costruite da tronchi e mattoni. Al portone un paio di guardie armate di lancia stazionavano con aria annoiata. Shiin guidava il gruppo e, a un gesto di uno dei due miliziani, si fermò.
«Cosa vi porta a Mun'wo?» il tono era disattento, stanco. Non pareva molto contento di fare la guardia.
Shiin sorrise, chinandosi leggermente sulla sella. «Affari, sono un mercante.»
«Con un solo carro?»
«Gli altri mi aspettano più avanti, io ho dovuto compiere una deviazione. È un problema?»
La guardia si strinse nelle spalle, osservando attentamente Aderyn e Majion. Pareva incuriosito, ma evidentemente non abbastanza da sforzarsi più del minimo che richiedeva la sua posizione: quello che gli era stato detto era plausibile e tanto gli bastava, soprattutto una volta intraviste le monete che Shiin aveva in mano e il suo sguardo. Si avvicinò e diede una pacca sulla spalla del cavallo del dyku che gli fece scivolare in mano del denaro.
«Passate.» dichiarò, chiudendo nel pugno i soldi.
Shiin si inchinò sulla sella e il gruppo proseguì.
Majion vide il dyku puntare direttamente verso la parte più ricca del paese e lo chiamò, soffocando la voglia di chiedergli cosa gli passasse per la testa. «Padrone, vi posso parlare?»
«Cosa c'è?»
Non appena il nobile si fu affiancato al carro, trattenendo l'irritazione, parlò. «Padrone, se volete che credano che siete un modesto mercante non è saggio alloggiare in una locanda costosa. I mezzi non vi mancano, ma nessuno vi crederà e rischiamo di essere inseguiti e attaccati da chi pensa di potersi impossessare di un buon bottino. Permettetemi di consigliarvi un alloggio più modesto.»
«Che provino ad alzare le armi contro di noi!»
Majion si morse la lingua, assumendo invece il suo tono più ossequioso, continuò: «Così ogni intento di passare inosservati, però, svanirebbe...»
«È solo buon senso, padrone.» intervenne Ashur seduto accanto a Majion a cassetta. Alzò lo sguardo su Shiin, distogliendolo immediatamente. Sulle sue labbra la parola padrone era suonata come un insulto.
Stringendo le labbra il dyku trattenne le emozioni, riflettendo sulle parole del cestrix. Non aveva tutti i torti, doveva ammetterlo. «Così sia, cerchiamo una locanda modesta.»
Si mosse cambiando direzione, mentre Aderyn li guardava.
Non aveva colto lo scambio di battute, aveva solo percepito che Shiin era contrariato da ciò che Ashur e Majion avevano detto. Tra sé l'hilm'een sospirò, il viso ombreggiato dal cappuccio che si incupiva, chiedendosi come potesse un uomo possederne altri. Aveva compreso ciò che Majion, o meglio Mael, gli aveva spiegato, eppure non riusciva a capacitarsene. Entrambi quegli uomini straordinari erano l'ultimo gradino della scala sociale, poco più che animali. Come era possibile che meriti come i loro non fossero riconosciuti?
Il cestrix gli aveva mostrato il tatuaggio sulla schiena che lo marchiava come proprietà e lui aveva sfiorato quelle linee impresse sulla pelle, sentendo in esse una lieve magia.
Non aveva avuto modo di parlare con Ashur, non si capivano e per quanto si sforzasse imparare quella lingua non era semplice. Non aveva colto molto dell'altro, anche a causa della sua cupezza. Agiva e si muoveva con cautela, debole, con quegli occhi del colore del sangue accesi di un fuoco interiore che sembrava divorargli l'anima. Vedeva attorno a lui una rete di corde d'ombra che lo univano a Shiin, percepiva l'odio che provava per l'altro e una forza diversa da quella fisica animare ogni suo gesto. Traspariva dagli sguardi che gli lanciava, dal modo in cui si irrigidiva quando gli stava vicino e immaginava che quel disprezzo avesse radici profonde.
Si guardò attorno, in quella strada circondata da edifici dai tetti spioventi e piena di gente, trovando affascinante quell'architettura. Procedevano lentamente, a passo d'uomo, seguendo in parte il flusso dei passanti fino a fermarsi davanti a un cortile cintato, dall'ingresso tondeggiante, come era tipico di quelle costruzioni. Il portone di legno dipinto di un rosso brillante era aperto, invitando a entrare. Si fermarono in quel piccolo chiostro lastricato di pietra grigia e irregolare, mentre un giovane servo si affrettava a venire loro incontro. Shiin gli fece cenno di seguirlo mentre Ashur scendeva dal carro e prendeva prima le redini del cavallo del nobile, poi del suo, seguendo Majion verso un'apertura che Aderyn pensò dare su un secondo cortile e una stalla.
Lui e Shiin proseguirono, entrando in una piccola sala comune affollata e fumosa nonostante le porte aperte alla brezza serale, trovando posto in un piccolo tavolo su cui vennero velocemente posati due coppe e una brocca d'acqua fresca.
Bevvero abbondantemente, mentre Shiin parlava a una ragazza dal viso sottile e magro.
Aderyn si guardò attorno, osservando le donne e gli uomini nella locanda, rendendosi conto di come quella lingua iniziasse in realtà a risultargli famigliare nei suoni e nelle cadenze, anche se era ancora decisamente poco comprensibile. Coglieva qualche parola, ma nulla più. Sospirò, grattandosi il mento e stando attento che il cappuccio non scivolasse troppo indietro. I suoi occhi erano strani, ma nella penombra le pupille allungate si notavano molto meno e tenendo lo sguardo basso nessuno pareva farci caso. Le sue orecchie leggermente appuntite erano celate dai capelli lasciati sciolti e il suo viso senza barba poteva essere scambiato per quello di un ragazzo giovane, anche in virtù dei tratti androgini che contraddistinguevano ogni hilm'een. Nessuno era troppo interessato a lui, probabilmente lo scambiavano per un uomo del nord, non certo per un membro del popolo delle streghe.
Guardava spesso verso la porta, aspettando arrivassero gli altri due. Nel mentre avevano portato loro del riso e del pesce, probabilmente del grosso fiume poco lontano, grigliato e accompagnato da delle verdure bollite.
Iniziarono a mangiare, ma non vedendo arrivare gli altri due, perplesso, Aderyn toccò il braccio di Shiin. «Majion, Ashur... dove?»
Il nobile indicò la direzione delle cucine, aveva capito quello che l'altro voleva sapere, ma non sapeva come dirgli che gli schiavi non entravano nella sala comune. Vide Aderyn alzarsi e gli posò la mano sulla spalla, pressando leggermente e scuotendo il capo. L'hilm'een si sedette con lo sguardo perplesso e Shiin indicò la cena, cercando di far capire all'altro che avrebbero visto i due più tardi.
Finirono di mangiare e l'hilm'een, sempre più sconcertato, seguì l'altro al piano superiore in una stanza del sottotetto, dove vide i due che sistemavano i bagagli di Shiin.
Si avvicinò a Majion di qualche passo: «Non capisco,» lo apostrofò nella sua lingua «non avete mangiato?»
Majion accennò un mezzo sorriso, annuendo. «Sì, in cucina. Seguimi, ti porto nella tua stanza.»
«Voi due, dove?»
Majion, che aveva fatto un passo in avanti, si voltò per metà. «Nelle stalle, qualcuno deve badare al carro e ai cavalli.»
«Non siete animali...»
«Siamo schiavi, Aderyn. So che non capisci, ma non possiamo fare altrimenti. Ora andiamo, e non preoccuparti per noi.»
L'hilm'een scosse il capo, guardando Shiin e Ashur, senza muoversi. Non capiva quello che stava vedendo e sentiva chiaramente la tensione tra i due. Da quando erano partiti era la prima notte che si fermavano in una locanda e il modo in cui il dyku fissava il più giovane era quasi predatorio.
La mano di Majion lo afferrò e lo trascinò fuori dalla stanza, che chiuse alle loro spalle.
Aderyn si lasciò guidare fino a un'altra piccola camera, dove erano stati portati i suoi bagagli personali. A quel punto incrociò le braccia e fissò il rosso. «Cosa sta succedendo?»
«Cosa intendi?»
Aderyn assottigliò le labbra in una linea dura. «Non capisco bene. Fate cose che sono diverse da qualunque cosa io conosca, però vedo.» osservò attentamente il viso dell'altro, percepì la lotta che si celava dietro di esso. «Ashur, sento la sua rabbia.»
«Chiunque sarebbe arrabbiato al suo posto.»
«Perché deve essere schiavo di Shiin? È quello?»
Aderyn cercava di parlare lentamente, esprimendo i suoi pensieri nel modo più semplice possibile, in modo che l'altro potesse capirlo. «Voglio la verità, tutta.»
«Non ti serve, non quella verità.»
«No, viaggio con voi, sono con voi. Niente segreti.»
«Siamo schiavi, siamo... cose. Le cose si usano.»
L'hilm'een fece un passo avanti, posando la mano all'altezza del cuore dell'altro. «Dici cose che non pensi. Le tue parole non dicono quello che hai nel cuore, anche se hai imparato a dirle come se fossero vere.»
Majion scosse il capo, sospirando. «È strano parlare con qualcuno per davvero, qualcuno che non sappia, che non sia uno schiavo a sua volta...» il rosso si sedette sul bordo dello stretto letto e Aderyn lo imitò. Non capiva tutto, non davvero, l'altro gli aveva spiegato qualcosa, accennato, ma sembrava a disagio. Ora però voleva capire, non solo aveva percepito la rabbia di Ashur, ma sentiva che saperne le motivazioni era importante.
«Parlami.»
«Non è facile.» Majion si grattò il mento dove la chiara barba di un rosso dorato iniziava a essere folta. Non gli era mai successo di non radersi per così tanti giorni e non vedeva l'ora di sbarbarsi a causa del prurito. «Ashur non è un uomo qualunque. Lui è nobile.» guardò Aderyn, cercando segni di comprensione per quello che aveva appena detto.
«Come Shiin?»
«Sì. Solo che è successo qualcosa ed è stato cacciato dalla sua casa. Quando succede questo non sei più nessuno: ti tolgono il nome, la famiglia, tutto. Capisci?»
Aderyn rifletté per un istante, ma aveva capito. «Se sei mandato via, diventi schiavo?»
«No, ma lui ha incontrato... cacciatori di uomini. Gli hanno dato l'erba nera e portato lontano, alla città dove vivevo io e il mio padrone lo ha comprato.» Aderyn annuì e Majion proseguì. «Ashur è un guerriero e un nobile, ma è diventato schiavo. Non è facile, capisci che intendo?»
«Credo di sì. Da importante ad animale...»
Majion storse le labbra, ma annuì. Capiva che non intendeva essere offensivo. «Il mio padrone aveva una locanda, come questa, ma più grande e bella. Lì vendeva cibo e... sesso. Sai?» Aiutandosi con i gesti fece capire all'altro che inclinò il capo.
«Il tuo padrone faceva sesso?»
«No, noi. Noi con i clienti. Anche lui, anche io, in tanti. Ad Ashur non piace.»
«Capisco. A nessuno piace fare perché costretto.»
Majion annuì, proseguendo. «Shiin ha visto Ashur lì e lo ha comprato, per averlo sempre, perché fosse solo suo, comprendi?» l'altro annuì.
«Però Ashur non vuole?»
«Non vuole, ma deve. E adesso deve, ecco perché è arrabbiato.»
Aderyn spalancò gli occhi, capendo. «Ma... lui...» incespicò nelle parole, proferendo una sequela di frasi nella sua lingua così velocemente da essere incomprensibile per il cestrix, che lo fermò mettendogli una mano sulla bocca e scuotendo il capo. Allora Aderyn prese fiato, riformulando lentamente. «Lui ha dea dentro, è un eletto, ha salvato le vite di tutti... non ha riconoscenza per lui? Almeno quello, se non rispetto.»
«Shiin?» Majion rise amaramente. «No, Shiin è innamorato di Ashur, ma non è un amore buono. É nero. Egoista, geloso, crudele. Non capisce cosa prova, è un serpente ammaliato dal suono di un flauto che però morde chi lo suona.»
Aderyn impiegò qualche istante ad assimilare quel concetto figurato, poi annuì. «Posso fermare Shiin?»
«No, è ancora il padrone di Ashur, se fai qualcosa potrebbe arrabbiarsi e sarebbe Ashur a soffrire. Non ti preoccupare, è un ragazzo forte, manderà giù anche questa.»
«Vuoi dormire qua? Non è bello che tu stai con i cavalli.»
«Non fa freddo e c'è il fieno. Dormirò bene. Se vuoi lavarti scendi con me.»
Aderyn annuì e seguì l'altro, che lo accompagnò in una stanza sul retro e lo fece aspettare lì, portandogli un secchio dopo l'altro l'acqua calda con cui riempì la tinozza.
«Faccio da solo.» disse l'hilm'een, quando vide che Majion si apprestava a lavargli la schiena.
Il cestrix annuì e indicò la porta. «Vuoi che vado?»
Al gesto affermativo il cestrix uscì, si sarebbe dato una pulita al pozzo e la mattina si sarebbe rasato, ormai era troppo buio per farlo.

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