-24- La regina delle Streghe

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  L'alba era sorta, luminosa promessa di una giornata calda e limpida si era innalzata da dietro l'orizzonte lontano. L'imperatrice era desta già da prima che i timidi contorni infuocati facessero capolino, in quel momento di quiete e grigiore che precedeva quel quotidiano miracolo aveva iniziato a prepararsi. Non sapeva cosa potersi davvero attendere da quell'incontro, il popolo eletto di Nut era pieno di misteri, antico e selvaggio. Eppure non era certo retrogrado: avevano una grandissima padronanza della magia, anche se completamente diversa dalla loro; non comandavano, agivano in simbiosi con essa. Sembravano creature imparentate all'energia che fluiva nei canali spirituali della terra e del cielo.
Nel corso degli anni qualche informazione su di loro, basata sull'osservazione, era stata comunque raccolta. Era un fatto inevitabile, del resto, che il popolo del drago cercasse di conoscere quello che vedeva come un nemico ancestrale. La differenza linguistica e l'incapacità inspiegabile di riuscire a comunicare era da sempre una delle più grandi motivazioni dii sfiducia. Negli anni gli studiosi che aveva messo al lavoro su quell'aspetto avevano solo confermato che sembrava una specie di incantesimo divino, come se in qualche modo il padre celeste, o Nut stessa, avessero posto quella limitazione. Aveva chiesto a Henshi, ma l'unica risposta che aveva ottenuto era stato un lungo sospiro, unito all'affermazione che gli dei, a volte, erano litigiosi come bambini.
Doveva quindi fare solo affidamento su quello schiavo straniero, quel Majion, che era proprietà di Fiuren.
Shandyan sospirò, lasciando che le sue ancelle guerriere l'aiutassero, lavandola con acqua profumata e pettinandole la lunga chioma, fermando la ciocca candida in un ricciolo fermato da un semplice diadema d'oro.
Quello sarebbe stato l'unico vero sfoggio di regalità, l'armatura era stata pulita e lucidata, le incisioni e gli sbalzi brillavano, ma non si sarebbe presentata in abiti di seta e gioielli. Era una guerriera, un generale, un'imperatrice in guerra.
«Mia signora, è tempo.»
Henshi aveva parlato in tono quieto, finendo di drappeggiare il mantello scarlatto con i draghi dorati sulla spalla dell'imperatrice.
«Andiamo, dunque. I nobili convocati sono presenti?»
«Lo sono tutti quelli di cui ha richiesto la presenza.» La donna drago aveva intuito la domanda celata in quelle parole, aveva quindi rassicurato Shandyan: Ashur e Majion erano nel gruppo in attesa al limitare del campo.
Si mossero, con l'imperatrice c'erano solo Henshi, armata d'arco, e un'altra dama guerriera, con tra le mani una lunga lancia. Attraversarono l'accampamento, mentre la sovrana distribuiva parole di conforto fermandosi, ogni tanto, a complimentarsi con qualche soldato, incredulo di essere stato notato dalla sua signora.
Il sole salì nel cielo, concludendo il suo sorgere, mentre lei raggiungeva il gruppo di nobili prescelti che l'attendeva. Tra di loro c'erano il signore e il dyku della Fenice, Sujiang, e altri nobili tra i più favorevoli a un accordo. Portare con sé persone contrarie a quella possibile alleanza non era stato neanche preso in considerazione, per alta che fosse la loro posizione a corte avrebbero messo una situazione già difficile e fragile in equilibrio critico.
Osservò la quindicina di persona lì riunite, cercando di non far capire l'occhio di riguardo che stava tenendo per i due schiavi. Ashur era pallido, si reggeva in piedi solo perché l'altro lo aiutava, sorreggendolo. Vedeva un certo tremore nei suoi arti e linee di dolore marcargli il volto.
"Quanto alto è il prezzo che si paga, quando nel proprio corpo si ospita un potere divino?", si chiese, reprimendo un brivido. Era certa che il giovane stesse pagando a caro prezzo l'averli salvati.
Un servitore venne avanti, portando i cavalli e le tre donne salirono in sella, guidando il gruppo verso il luogo stabilito per l'incontro. In quella zona libera da cadaveri, a metà strada tra i due accampamenti, sul versante della montagna, arrivarono assieme alla delegazione delle streghe.
La sovrana dell'eletto popolo di Nut si fece avanti, portava un palco di corna di cervo sul capo e il suo viso era dipinto con una larga linea rossa sugli occhi. I lunghi capelli biondi erano intrecciati a piume candide e monili d'oro e pietre preziose; era bellissima e il suo aspetto era feroce. Scese dalla groppa di un grosso felino e fece un passo avanti, imitata dal suo seguito.
Shandyan, osservando l'assortimento di animali che quelle donne e rari uomini cavalcavano, la imitò.
Un idioma musicale e dal timbro dolce uscì dalle labbra della regina e con un'occhiata a Majion, Shandyan capì che l'uomo capiva.
«Tu comprendi la loro lingua parlata, giusto?»
Lo schiavo si passò la lingua sulle labbra, era impallidito. «È estremamente simile alla mia. Non capisco esattamente ogni parola, ma posso dare il significato del discorso, mia signora.»
«Cosa ha detto?»
«Ha salutato, dichiarandovi vostra pari, e ha detto il suo nome.» Majion fece una pausa, era atterrito da come quella lingua avesse una musicalità identica alla sua. Non capiva come fosse possibile, ma non era quello il momento per distrarsi. «Dice di chiamarsi Mabd la dorata, e di voler conoscere la sovrana del popolo dei draghi.»
Shandyan fece un passo avanti, guardando Majion disse: «Traduci al tuo meglio, da te può dipendere la pace, ricordalo.» Majion annuì e la donna guardò l'altra sovrana, a una decina di passi di distanza, notando gli occhi per la prima volta. Erano dorati, dalle pupille verticali e sembravano quelli di un gatto.
«Regina Mabd, io sono Shandyan, imperatrice del regno del drago.» Attese la traduzione e proseguì. «Ieri abbiamo assistito entrambe a un evento fuori da ogni attesa: i demoni hanno assalito le nostre truppe, decimando entrambe le nostre genti. Abbiamo un nemico comune e sono qua, oggi, per offrire una tregua e sperare nella pace tra i nostri popoli. So che eravate già stati attaccati da questi esseri, fuggivate da loro.»
Majion finì di parlare e Mabd annuì, osservando la donna davanti a lei, i lineamenti perfetti e volitivi. Con voce pacata, probabilmente cercando di farsi comprendere dall'uomo che stava traducendo le sue parole, rispose.
«Mia signora, la regina Mabd dice che i demoni sono comparsi quasi un anno fa e hanno costretto il suo popolo a muoversi verso il confine. Dice che è contenta di poter comunicare con noi, anche se dice che parlo in modo strano.» Majion si morse il labbro. «Accetta la tregua, e vuole sapere chi è che sul campo di battaglia ha sterminato i demoni. Dice che ha sentito il potere di un dio e che pensa che anche noi abbiamo un eletto.»
Shandyan spalancò appena gli occhi, riflettendo.
«Dille che Ashur è un eletto, indicaglielo, e chiedile chi è il loro eletto e perché non ha potuto agire come il nostro. In modo educato, mi raccomando.»
Majion annuì, nel tradurre indicò Ashur, poco lontano da lì, che si reggeva alla sella di Shiin con una mano per non scivolare a terra.
Il giovane non riusciva a prestare attenzione a quell'evento, sapeva che era importante, ma quello che aveva fatto oltre ad averlo sfinito aveva risvegliato in lui l'erba nera con una potenza che non aveva mai sperimentato. Tremava, era preda di spasmi e fitte di dolore lo attraversavano senza preavviso. Aveva sentito pronunciare il suo nome, alzò quindi lo sguardo incontrando quello della regina delle streghe, che sembrò riempirsi di pietà.
Tornò immediatamente ad abbassare il capo, trattenendo una smorfia di dolore.
Majion ascoltò attentamente quello che la donna gli diceva, inquieto anche per l'aspetto che aveva quel popolo. Molti di loro avevano le pupille verticali, cavalcavano animali come orsi e grossi felini, c'era anche un maestoso cervo, un enorme cinghiale e un animale che sembrava un rettile.
Dalle file delle streghe si fece avanti un uomo, aveva una chioma chiara, quasi lunare, e si mise al fianco della sovrana. Aveva un arco a tracolla ed era vestito come uno qualunque degli arcieri che componevano le fila delle streghe. Parlò, aveva una voce musicale, profonda, eppure il suo volto era quasi androgino, senza nessun accenno di barba.
«Mia signora, lui è Aderyn, il prescelto di Nut, la loro dea.» Shandyan annuì e Majion proseguì. «I suoi poteri a quanto ho capito sono diversi da quelli di Ashur, non può combatterli a quel modo, ma non ho ben chiara la risposta, purtroppo. Non capisco alcune delle parole che ha usato, ma credo che ogni eletto manifesti doni diversi, da quello che ho compreso...»
«Non ti preoccupare, immaginavo che non avremmo capito tutto gli uni degli altri in questo incontro.»
Ashur si fece forza, imponendosi di guardare quell'uomo. Un altro eletto, di un dio diverso, doveva vedere e capire. Si sforò e attorno all'uomo vide come un alone luminoso, simile a quello lunare. «È un cacciatore, i poteri di Nut sono quelli di un cacciatore, per lui.» si trovò a mormorare e Shiin, in piedi accanto a lui, lo fissò.
«Cosa vedi?»
Con odio malcelato guardò il suo padrone. Serrò le labbra, guardandolo con aria di sfida, rimanendo in silenzio. Il dyku sospirò, chinandosi verso il suo schiavo. «Ashur, non essere stupido. Ti ho dato un ordine, dimmi quello che vedi.»
Qualcosa in Ashur si agitò e, nonostante non volesse, si sentì obbligato a rispondere. Vide come dei fili che lo legavano a Shiin e mosse la mano per toccarli, senza trovare nulla. Rabbioso, incapace però di tacere, parlo: «Un alone di luce. Sembra come quello che nelle notti estive più calde avvolge la luna piena, e ho... capito, anche se non so come, che la sua dea gli ha dato i poteri di un cacciatore. Non so cosa voglia dire, però.»
Shiin annuì tra sé, portando lo sguardo sulle due sovrane che si parlavano grazie a Majion. Si rendeva conto di essere testimone di un evento che poteva segnare una svolta nella storia, una possibilità di una pace che avrebbe reso sicuri quei confini per la prima volta da quando avevano memoria, eppure non riusciva a concentrarsi solo su quello che avveniva davanti ai suoi occhi.
Aveva visto chiaramente l'odio di Ashur, e non per la prima volta. Da quando lo aveva punito non era emersa la paura, l'ubbidienza cieca, no, quello che era avvenuto era il contrario e si chiedeva per quanto, ancora, il giovane gli avrebbe ubbidito.
La chiacchierata con Kaidao gli aveva aperto gli occhi, il fratello maggiore aveva visto giusto: quel ragazzo aveva smosso in lui dubbi latenti che non avrebbero dovuto essere stuzzicati. Scoprire la sua storia, quella dignità che nulla aveva spezzato, la sua forza interiore e scoprire il senso dell'onore che lo muoveva, in modo diverso dal suo, ma sotto certi aspetti ben più nobile, aveva instillato il dubbio nella sua anima. Era stato troppo stupido, cieco e vigliacco per capirlo subito. Aveva dovuto ascoltare le parole di Kaidao per aprire gli occhi e capire cosa in realtà avvenisse in lui.
Lo scambio tra Shandyan e Mabd continuava e le due donne parlarono per lunghe ore, in piedi, arrivando a un compromesso che era un accordo unico da che si aveva memoria.
Si erano promesse il totale e completo aiuto per estirpare quella minaccia e l'indomani Shandyan si sarebbe recata al campo della regina Mabd per terminare i loro accordi.
Alla protesta dei nobili la loro sovrana si era voltata, guardandoli severamente. «Miei nobili signori, ci vuole fiducia, per averne in cambio. Ho dichiarato la regina Mabd la dorata mia alleata, e così lei ha fatto con me. Domani mi recherò da lei e il giorno seguente lei da noi, per far sì che la fiducia venga provata e i piani discussi nei minimi dettagli. Non accetterò nessuna mossa che mini questa alleanza da parte di nessuno.»
Alcuni chinarono subito la testa, ma alcuni colli furono più rigidi: non tutti i nobili, pur a favore della pace, apprezzavano quel rischio. Non avevano però scelta e anche i più restii, infine, accettarono. I due gruppi si separarono e l'imperatrice segnalò a Fiuren di affiancarla nel tragitto fino alla sua tenda.
«Il vostro schiavo, Majion, è stato estremamente utile. Gli eruditi presenti grazie a lui sono riusciti ad afferrare i rudimenti della lingua e a escogitare un piano per comunicare con il popolo di Nut.»
«Siete fin troppo gentile, mia signora.» Fiuren accennò un sorriso, osservando il cestrix alla fine del gruppo che aiutava Ashur. «Essere utili ai vostri voleri è un onore.»
«A tal proposito desidero discutere con voi, una volta alla mia tenda entrate assieme a me.»
«Come desiderate.»
Shandyan rimase in silenzio, cercando di domare l'irritazione che le causava quell'uomo.
I nobili si congedarono e Fiuren, assieme a Shiin, Majion e Ashur, rimasero lì. Il dyku aveva obbedito al cenno del padre, che gli aveva comunicato di attendere. L'imperatrice entrò con le sue dame e dopo un paio di minuti Henshi uscì, guardando il signore della Fenice.
«Entrate, che il vostro dyku e i due schiavi vi accompagnino.»
A quelle parole Ashur quasi imprecò. Era sfinito, tremava e sudava, se non fosse stato per l'amico sarebbe stato incapace di andare da qualunque parte. Voleva solo essere lasciato in pace, a riprendersi in un angolo tranquillo, invece chinò il capo e mordendosi la lingua entrò. Si lasciò cadere sulle ginocchia, prostrandosi davanti alla sovrana e rimanendo in quella posizione, come Majion, e attese, chiedendosi cosa doveva sentire per essere ammesso alla tenda dell'imperatrice.
Non aspettò a lungo e quelle parole, le prime dette, lo fecero sobbalzare.
«Voglio acquistare da voi Ashur e Majion, nobile Fiuren. Il loro ruolo è fondamentale nel compito che mi prefiggo di compiere e ho bisogno che siano miei.»
«Non credo di poterveli vendere, mia signora.» Il sorriso dell'uomo era diventato mellifluo e Shiin, a un passo dietro il suo signore, un ginocchio posato a terra, spalancò gli occhi, incredulo. Il padre continuò a parlare e lui ascoltò, chiedendosi se fosse impazzito. «Non credo mi possiate offrire nulla di abbastanza prezioso da spingermi a vendere degli schiavi di simile valore.»
«Nobile Fiuren, non visto chiedendo una normale compravendita, il ragazzo ha un ruolo centrale nella salvezza del nostro popolo, almeno lui se non volete vendermi il cestrix.»
«Ne sono perfettamente a conoscenza, mia signora. È per questo che ritengo che non abbia un valore quantificabile. Come voi ben sapete la legge mi tutela, se non voglio venderlo, non mi potete legittimamente costringere. Neanche l'imperatrice è al di sopra della legge, lo ripetete spesso, se non erro.»
Shandyan sentì l'impulso di schiaffeggiare quell'uomo, voleva qualcosa, ne era certa. Qualcosa che non avrebbe potuto avere, altrimenti. «Non c'è assolutamente nulla, quindi, che vi spingerebbe a venderlo?»
«Non Ashur. Non lo venderei mai, ma potrebbe essere un prezioso e apprezzato dono di nozze.»
«Spiegatevi.»
Al tono tagliente della donna, lui sorrise, sentendo la vittoria in mano. «Potreste unirvi in matrimonio a mio figlio maggiore, Kaidao. Uniremmo le nostre stirpi e Ashur vi verrebbe dato come dono di nozze, mentre Majion lo donerei a mio figlio. In questo modo sarebbero entrambi sotto la vostra mano, esattamente come desiderate.»
«Padre...» Shiin, pallido, non riuscì a trattenere le parole. «Vi prego, mio signore, ripensateci.» Mormorò, guardando prima l'imperatrice poi il suo signore. Kaidao aveva ragione, il loro genitore aveva piani pericolosi, molto pericolosi.
Shandyan alzò la mano e Fiuren trattenne la risposta che stava per dare al proprio dyku.
«Voi non capite, siamo in una situazione ben più pericola di una guerra, non posso attendere i tempi necessari a un matrimonio imperiale per poter salvaguardare il mio popolo. Non avete nessun senso del dovere nei confronti dei vostri sudditi, almeno, se non per tutte le gente del regno? O pensate che questi demoni non toccheranno mai le terre del triunvirato?»
«Mia signora, pensate fin troppo male, di me. Basterebbe un contratto o una promessa siglati dal vostro sigillo, a quel punto potrei cedervi Ashur e Majion come gesto di buona fede e fiducia. Voi non verreste mai meno alla parola data, o mi sbaglio?»
«Sposare un membro del triunvirato, perché ciò sarà vostro figlio, vuol dire legittimare sotto ogni aspetto la sua esistenza. All'apparenza sarebbe riportare in grembo al trono, ma in realtà consoliderebbe la scissione, dandogli a tutti gli effetti una libertà decisionale altrimenti inarrivabile. Senza contare che così sarebbe automaticamente vostro figlio a detenere il potere assoluto sul triunvirato, mentre divide il trono del drago celeste con me.» Shandyan parlava con gelida calma, fissando negli occhi l'uomo in piedi davanti a lei. Vedeva il pallore del figlio, era evidente che non solo non approvava, ma che non era a conoscenza di nulla. Quel nobile era uno spietato arrivista. «Senza contare gli equilibri politici, si sposterebbero praticamente nelle mani della vostra famiglia. La vostra sete di potere è tale da far rischiare una guerra civile.»
«Temete le ombre, non ci sarà nessuna guerra civile. Saranno tutti troppo lieti per il vostro splendido matrimonio per causare problemi.»
Shandyan guardò i due schiavi prostrati al suolo, serrando furiosa le labbra. Sapeva di non avere una vera scelta, se avesse infranto la legge, requisendo i due senza un motivo legale, avrebbe creato un precedente e ogni nobile si sarebbe ritenuto al di sopra delle legge come lei. In passato alcuni sovrani avevano fatto un simile errore e ne era sempre scaturita l'anarchia, fiorendo in guerre intestine nel peggiore dei casi.
La stava tenendo in scacco, al momento poteva solo accettare, non c'era tempo per trovare un'altra via.
«Nobile Fiuren, accetto la vostra gentile proposta, portatemi al più presto il contratto, lo farò vedere ai miei notai e poi procederemo. Nel mentre mi ritengo la proprietaria di questi due schiavi.»
«Certamente, mia signora, preparerò anche i documenti relativi a loro due.»
«Siete congedato.» Il gruppo si mosse e Shandyan parlò di nuovo. «Solo voi, Fiuren. Desidero parlare con il dyku, e i due schiavi andranno a prendere le loro cose quando avrò finito.»
Alzando un sopracciglio, irritato, Fiuren si inchinò, lasciando la tenda.
Shiin, pallido, non osava guardare la sua sovrana.
«Approvate ciò che sta accadendo?»
Quasi sussultando, il dyku alzò lo sguardo. «Non sta a me approvare o disapprovare il comportamento del mio signore.»
«Quanta lealtà.» disse seccamente a donna, trattenendosi dal dire altro. Prese un profondo respiro e proseguì. «Vi spiegherò quello che mi aspetto da voi, Shiin della Fenice. Ashur dovrà recarsi dall'oracolo e lì scoprire come agire per evitare il dilagare del caos. Anche l'eletto di Nut, probabilmente, si dovrà unire e quindi Majion dovrà andare con lui. Voi li accompagnerete. Non conosco il motivo, ma siete collegato ad Ashur: un'energia che non capisco vi lega e mi è stato consigliato di non separarvi. Accettate questo compito?»
A bocca aperta, spostò lo sguardo su Ashur ancora prostrato con la fronte a terra.
«Accetto, mia signora. Penso che il popolo debba essere protetto e io, io... io credo che troverete Kaidao molto diverso da nostro padre.»
Il sorriso di Shandyan lo colse di sorpresa. «Lo spero, è ciò che mi dà fiducia.»
«Sono onorato delle vostre parole.»
«Ora andate, voglio parlare con Ashur.»
Il dyku si inchinò, uscì, e l'imperatrice prese un profondo sospiro. «Henshi, aiuta quel povero ragazzo, tra un po' sviene.»
La donna drago, con un cenno a un'altra ancella, si avvicinò ad Ashur. Era pallido e debole, ma perfettamente cosciente. Majion si mosse, aiutando le due nonne a metterlo seduto su una panca, sorreggendolo. Non gli interessava se quella donna era l'imperatrice, se agendo senza ordini le disobbediva, vedere Ashur in quelle condizioni gli straziava il cuore. Era rimasto in bilico, sveniva e si riprendeva a tratti, agitandosi e gridando per il dolore, in preda alle convulsioni causate dall'erba nera, mentre le ferite fisiche si rimarginavano a una velocità spaventosa.
Il poco sonno di cui aveva goduto era probabilmente pieno di incubi e non poteva dargli torto. Non aveva notizie di Jiaren, ma immaginava stesse bene: se fosse stata gravemente ferita o altro si sarebbe saputo. Quando Ashur gli aveva chiesto di lei, la prima domanda che aveva fatto, lo aveva rassicurato e il ragazzo solo a quel punto gli aveva permesso di prendersi cura di lui.
Come un bambino era incapace di fare qualunque cosa da solo, troppo debole, in preda a tremori e convulsioni continue.
«Questo è il prezzo del potere della dea?» La domanda dell'imperatrice era posta in tono dolce, eppure Majion sentì un'irrazionale irritazione salirgli nel petto. Ashur si bagnò le labbra per parlare, ma lui rispose per primo.
«No so quale sia il prezzo di quel potere, ma questo è l'effetto dell'erba nera. Quella che danno agli schiavi che non collaborano, per costringerli a ubbidire.» Il tono di Majion era calmo, eppure in esso si percepiva chiaramente il risentimento.
L'imperatrice annuì lentamente, avvicinandosi e sedendosi dall'altra parte, sulla panca. «Quella droga dovrebbe essere bandita, ma il potere del triunvirato, che vive soprattutto sul commercio degli schiavi, ha sempre impedito che la legge fosse approvata.» Con un gesto quasi materno prese la mano di Ashur. «Sono dispiaciuta del peso che devi portare sulle tue spalle, Ashur. Ma posso almeno dirti che, se posso, soddisferò ciò che chiedi in cambio del tuo sacrificio.»
Ashur alzò gli occhi, incrociando quelli dell'imperatrice. Nonostante tutto il dolore e la sofferenza erano lucidi, attenti, le iridi rosse brillavano di determinazione.
«Proteggete Jiaren, guidatela, proteggete il clan del Leone. Le sue genti. Fate in modo che mia sorella sia felice.»
La sorpresa comparve negli occhi della donna. «Non volete la libertà? Tornare a occupare il vostro posto?»
La risata di Ashur fu breve, amara e spezzata. «Sono stato dimenticato, mio padre mi ha esiliato, bandito e cancellato. Anche se tornassi non sarei amato, sarei imposto, anche se sapessero la verità, se sapessero che non ho mai davvero fallito la prova, non sarebbe abbastanza. Non agli occhi di chi mi ha visto cacciato con in mano la moneta dell'esule. Non a chi verrebbe a sapere cosa... cosa sono diventato.»
«Sarete il salvatore del regno, Ashur.»
«No. Ai loro occhi dopo l'iniziale gioia tornerei a essere lo schiavo dei bordelli del porto, un concubino. Mi sono piegato a quello che dovevo fare per sopravvivere, io so che... che ho fatto l'unica scelta possibile. Però io sono cambiato, loro non hanno ragione per mutare il loro punto di vista e non mi accetterebbero mai come onorevole signore. Certo, vorrei la libertà, ma mi accontenterei di sapere mia sorella felice e il clan al sicuro.»
«Fiuren avrebbe da imparare molto, sull'onore, da voi. Anzi, molti dei nobili alla tavola del consiglio, a essere sincera. Farò quello che mi chiedete e vi darò anche la libertà.»
«Vorrei però chiedere una cosa, ancora, se mi è possibile.» Shandyan annuì e Ashur proseguì. «La mia libertà alla fine non è quello che mi preme davvero, quello che vi chiedo è di donarla a Majion, in modo che possa tornare alle sue terre, assieme a un po' di denaro necessario a rifarsi una vita.»
A quelle parole il cestrix spalancò la bocca, senza parole.
«Siete molto legato a quest'uomo?»
Ashur sorrise, faticava a parlare e guardò l'amico per un lungo istante. «Sì. È lui che mi ha fatto capire la vera essenza dell'onore e del coraggio. Se volete ricompensare qualcuno, che sia lui.»
«Sarà fatto.» L'imperatrice guardò Henshi. «Falli accompagnare dove Ashur possa riposare.»
La donna drago fece una piccola riverenza, mentre Shandyan si alzava, andando verso il tavolo con le mappe.
Un cenno di Henshi attirò l'attenzione di Majion. «Seguitemi.»
Aiutando Ashur a camminare, Majion si avviò. Percorsero un ampio tratto, fino a raggiungere una delle tende mediche dove Henshi parlottò con il guaritore. Tornò sui suoi passi e li guardò. «Mettilo nella prima branda libera che trovi e stai con lui.»
«Come ordinate.»
Senza attendere oltre Majion trovò una branda libera e adagiò lì l'amico, solo a quel punto il ragazzo si permise di lasciarsi andare, il sudore che lo ricopriva per lo sforzo sostenuto fino a quel momento. Bevve avidamente l'acqua che l'altro gli porgeva, lasciandosi poi cadere sulle coperte, ansimante.
«Per ogni dio, Ashur, cosa ti devo dire?»
La voce del rosso era spezzata dalla commozione.
Ashur sorrise, trattenendo un gemito di dolore. «Che mi vai a prendere qualcosa da mangiare.»
«Sei un idiota.»
«Me lo dici così spesso che deve essere vero, ormai.»
Majion sorrise, alzandosi, sentendo l'anima colma di una gioia e una gratitudine senza fine. Ashur si era ricordato davvero di lui, nel momento in cui aveva potuto dargli ciò che più desiderava, si era ricordato anche di lui.  

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