-35- Vincoli di potere

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  «Oh, grazie.» Majion prese la nota, piegando il foglio senza guardarlo, e si avviò, seguito da Aderyn. Appena furono a distanza, il Cestrix si voltò verso l'amico.
«Potremmo essere nei guai.»
«Perché?» Aderyn inclinò appena il capo, i capelli lasciati sciolti a nascondere le orecchie scivolarono in avanti, luminosi.
«Io non so leggere. E vabbè, neanche scrivere, ma non è questo il punto...» sbuffò. «Dovevo accettare quando Ashur mi ha proposto di insegnarmi, maledizione!»
«E il punto è?»
«Siamo in una biblioteca. Le cose si imparano leggendo... io non ci avevo pensato. Tu non sai leggere, vero?»
«Sì, che so leggere» Aderyn fece una leggera pausa. «Nella mia lingua, però.»
«Vedi? Siamo nei guai.»
Svoltarono dove era stato loro detto, proseguendo per l'ampio corridoio scavato nella pietra pieno di tendaggi e finestre che davano all'esterno. Erano grandi, la parete della montagna era bucata da esse a quel livello, come una mela con dentro i vermi.
«Qua sanno leggere tutti, basta chiedere qualcuno che legga per noi, no?»
«Aderyn, sei sicuro che ci possiamo fidare?»
«No» scosse il capo l'hilm'een, stringendosi nelle spalle. «Se però vuoi prima imparare a leggere, fai. Io immagino che non abbiamo poi tutta sta fretta, no?»
Il tono dell'eletto era ironico e Majion gli lanciò un'occhiataccia, mentre arrivavano alla fine del corridoio che dava in una grandissima stanza rotonda, simile a una mezza sfera, in cui un sacerdote vestito di verde con gli orli della veste blu scuro stava spiegando.
«...è quindi nella conoscenza che troviamo lo scopo della ricerca. Essa non è fine a se stessa, non serve accumularla per tenerla celata, essa è un dono che si moltiplica con la condivisione. È per questo che il nostro ordine vi manda a cuor leggero nel mondo, Wenli, per imparare, sì, ma soprattutto per insegnare. Non solo a chi può pagare con l'oro, anche solo a chi può darvi in cambio unicamente il suo ascolto attento e il suo desiderio di apprendere. Se esso sarà abbastanza forte, lo potrete poi indirizzare al tempio, dove potrebbe trovare la sua vera vocazione. In quest'era oscura, bambina, la conoscenza è la fiamma che può illuminare le menti, portando il suo contributo a pace e rinascita.»
In silenzio, i due uomini guardarono il sacerdote finire il discorso che stava facendo davanti a un gruppo di accoliti vestiti di bianco, senza osare interrompere.
Guardando una ragazzina di neanche tredici anni con un piccolo sorriso, il sacerdote riprese.
«Perché chi arriva qua veste il bianco, Wenli?»
«Siamo vestiti di bianco per ricordarci che siamo pagine vuote di un libro, che vanno riempite, maestro Gho» recitò, annuendo, come se quelle parole avessero assunto un nuovo significato per lei.
Il sacerdote annui, approvando e, voltandosi verso i visitatori, si avvicinò a loro, facendo cenno ai giovani novizi di attendere.
«Ditemi, signori, cosa desiderate?»
Majion tese la nota con un piccolo inchino e, dopo averla letta, lo sguardo un po' miope dell'uomo si posò di nuovo su di loro, stavolta curioso.
«Sono io il Bibliotecario, desiderate quindi cercare qualcosa nel tempio della conoscenza. L'intera montagna custodisce il sapere millenario dell'ordine, mi servirebbe sapere qualcosa su ciò che cercate per potervi indirizzare e vorrei vedere il permesso imperiale.»
«Certamente.» Majion estrasse dalla tunica il lasciapassare pieno di sigilli e il sacerdote lo studiò, annuendo, per poi darlo nuovamente al Cestrix.
«Scusate, ma solo con quel permesso avete accesso a ogni sezione, ci sono conoscenze che sono... meno pericolose di altre e alcune che è meglio conservare per chi è pronto ad apprenderle. Ditemi, quindi, cosa cercate?»
«Stiamo cercando un luogo, descritto da... da degli spiriti.» Majion sorrise, il tono pieno di rispetto. «Abbiamo delle descrizioni.»
«Competenza geografica, quindi. Ma anche occulto...» si grattò la barbetta striata d'argento. «Una bella sfida. Vi farò accompagnare nella prima delle sezioni che ho in mente, man mano che le passate vi farò accompagnare nelle altre.»
«C'è solo un problema, maestro Bibliotecario.»
«Basta Bibliotecario, o maestro. Quale sarebbe il problema?»
Majion scambiò un'occhiata con Aderyn improvvisamente imbarazzato come mai lo era stato prima dalla propria ignoranza. «Vede, nessuno di noi due sa leggere.»
Per un lungo istante il sacerdote sembrò non capire poi sbatté le palpebre. «Oh» disse a mezza voce. «Scusate, ma capite che è estremamente raro, per me, sentire queste parole. Sono perfettamente consapevole che fuori da Lungfe, non solo il tempio ma l'intera area d'appartenenza, non sia raro, ma ecco, è strano. Comunque non è un problema, ho in mente una novizia che sarà certamente lieta di aiutarvi. La sua lettura è attenta e veloce.»
«Vi siamo grati.» Aderyn accennò un inchino e guardò il sacerdote voltarsi verso i novizi, chiamando a sé una ragazza che era rimasta in fondo alla fila. Dimostrava circa sedici anni e la sua veste candida era bordata d'azzurro.
«Shioren, ora sei al servizio di questi signori. Hanno l'accesso a tutte le sezioni, a qualunque conoscenza. Non hanno limiti e tu sarai i loro occhi.»
La ragazza si inchinò, la lunga treccia scura scivolò in avanti e, quando si rialzò, gli occhi nocciola e pieni di acume si posarono sui due, studiandoli.
«Da dove volete che inizi, maestro Gho?»
«Inizia dal basso, la sezione d'acqua. Se parlando con loro hai idee su altre sezioni portali, io propongo di iniziare da lì.»
«Come desiderate, Maestro.» La giovane posò di nuovo gli occhi su Aderyn e Majion, indicando loro il corridoio. «Se volete seguirmi, sarò a vostra disposizione. Dovremo scendere un po', ma nulla di preoccupante. Spero non abbiate paura dei luoghi chiusi, privi di finestre, tutta la biblioteca è dentro la montagna.»
Seguendo la ragazza, i due scossero il capo e Aderyn si trovò a sorridere. Lui, di certo, si trovava a proprio agio lì.
Camminarono, svoltando parecchie volte e scendendo diverse scalinate. Inizialmente erano passaggi ampi, ma man mano che scendevano si facevano più stretti, senza mai essere claustrofobici. Erano scavati nella roccia, resi lisci dall'opera dell'uomo e del tempo, illuminati da fiamme create dalla magia. In ampolle appese a catene che scendevano dal soffitto spiritelli erano vincolati da incantesimi e Aderyn alzò spesso lo sguardo su di loro.
Vedeva quelle creature legate dalla magia di quel popolo che non parlava con loro, ma che li imprigionava, vincolando la loro volontà e facendoli soffrire. Desiderava poter fare qualcosa, ma non era il suo compito in quel momento.
Magari, nel tempo, anche loro avrebbero imparato a chiedere e non a comandare, pensò, soprattutto se continuavano ad avere rapporti con loro. Soprattutto se avessero vinto quella guerra.
Sospirò, sfiorando la roccia in cui sentiva l'energia di quella terra scorrere, silenzioso.
Attraversarono sale all'apparenza immense, colonne altissime che sorreggevano soffitti quasi invisibili nella lontananza, piene di scaffali su cui libri posavano e tra cui novizi, sacerdoti e visitatori giravano.
Le superarono, scendendo sempre più in basso, mentre l'energia del luogo cambiava.
Era una zona protetta da spiriti potenti, antichi, e l'hilm'een, silenziosamente, li salutò con rispetto. Meritavano almeno quel riconoscimento: erano creature che nella sua terra sarebbero state venerate, rispettate, a cui sarebbe stato chiesto consiglio e che nessuno si sarebbe mai sognato di trattare a quel modo.
Un fremito di indignazione lo attraversò e si trattenne a stento mentre i suoi occhi si socchiudevano, celando la rabbia.
«Seguitemi.» Shioren indicò un passaggio che sembrava terminare bruscamente e sorrise alla perplessità negli occhi dei due uomini. «Come vi ha detto il maestro Gho, ci sono sezioni che non sono libere, quella dell'acqua è una di esse.»
Si avvicinarono alla ragazza e sotto i loro piedi iniziò a prendere vita un elaborato disegno di luce dalle sfumature dorate. Dal centro di quello spazio iniziò ad ampliarsi, diramarsi, facendosi sempre più complicato e intrecciandosi si ripeteva di sezione in sezione, fino a creare un enorme fiore di linee speculari con loro al suo centro. Solo a quel punto la ragazza, sorridendo, fece un simbolo nell'aria che prese vita. Simile a tre onde parallele, tremolò per un attimo per poi scomparire mentre sotto di loro il pavimento spariva, e loro fluttuarono verso il basso.
Davanti ai loro occhi c'era un'immensa zona di cui, anche dall'alto, non vedevano i confini. Scaffali, enormi gallerie dai soffitti a volta tappezzati di libri, zone simili a isole fluttuanti che ospitavano, posati su mandala di luce, tavoli e sedie. Sfere luminose giravano pigre tra le scaffalature, e il tutto era collegato dall'acqua. Corridoi in cui sacerdoti e rarissimi novizi giravano in piedi su strette e affusolate barchette dipinte di colori vivaci, piene di simboli magici.
Qua e là, sacerdoti completamente vestiti di verde sembravano galleggiare nell'aria senza sforzo, leggendo volumi enormi collegati da sottili catene agli scaffali o seduti in una delle zone aeree conversavano a bassa voce, scrivevano o leggevano.
Majion fissava tutto quello a occhi spalancati, trovandosi a deglutire spaventato dal fatto di non posare i piedi su nulla di solido.
«Non ho mai visto così tanta magia... tutta assieme...»
«La conoscenza è anche questo, per chi vuole esplorare quel ramo, signore.»
Il Cestrix annuì e, quando posò i piedi sulla roccia una volta a terra, sospirò di sollievo. «Non sono un signore» mormorò. «Chiamami Majion.»
La ragazza annuì.
«Come desiderate, ma voi non siete un figlio del dio drago, non può essere quello il vostro vero nome.»
«No, non lo è.» Majion guardò la ragazza, le iridi smeraldine si soffermarono su di lei per un lungo momento. «Ma va bene quel nome; l'altro, in fondo, è di un uomo che non esiste.»
La mano di Aderyn si posò sulla spalla dell'amico, stringendo in un gesto rapido eppure solido.
«Come desiderate, e scusate la mia maleducazione. Come posso invece rivolgermi a voi?» guardò Aderyn, che le sorrise.
«Aderyn, giovane Shioren. Sono un figlio di Nut e suo eletto. Per ora che questo soddisfi la tua curiosità. Però mi puoi chiamare Aderyn e basta. Troppo lungo tutto.»
La ragazza sorrise, l'accento musicale dell'uomo rendeva strana la loro lingua e il sorriso che le aveva rivolto era affascinante e strano, come tutto in lui.
«Venite.»
Shioren scese con passo sicuro i gradini poco distanti che portavano a una specie di molo in miniatura, salendo su una delle barche più grandi; e non appena i due uomini furono a bordo la piccola imbarcazione si mosse.
«Descrivetemi ciò di cui avete bisogno, vi assicuro che non dirò nulla a nessuno.»
Aderyn e Majion si guardarono e l'hilm'een prese parola. «Gli spiriti mi hanno donato la visione del luogo che cerco. Ci sono sette montagne poste a cerchio, sette vette nere con un lago vulcanico al loro centro, come una ciotola scheggiata lo circondano e si specchiano in esso.»
«Ben poco su cui lavorare, ma forse più di quello che mi sembra...» La barchetta iniziò a muoversi mentre Shioren, l'aria assorta, si mangiucchiava l'unghia del pollice. «Una caldera, una zona lavica. Da quello che mi dici una zona antica e montuosa. La cosa restringe abbastanza il campo, potrebbe essere una delle zone a nord dove ci sono le isole senza tempo. Sono affioramenti lavici inospitali se non per alcuni animali, direi che l'ideale è cercare nei diari e nelle raccolte di viaggio.»
«E perché si trovano in una sezione protetta? Non credo abbiano nulla di pericoloso...» Majion, perplesso e aggrappato ai bordi della barca su cui era seduto, chiese alla giovane novizia che gli sorrise.
«Diciamo che questa sezione ha a suo vantaggio un piccolo trucco. Ci sono libri apparentemente innocui, che però possono portare a conoscenze particolari, e se nella sezione di quei libri si vogliono consultare anche quelli che sono presenti qua dallo scaffale che si trova in questa sezione si può accedere. È come se allungassi la man attraverso i piani, senza doverlo andare a cercare.»
«Questa cosa è decisamente comoda!»
«Credo sia soprattutto per questo che il maestro Gho ha deciso di farci iniziare da qua. Se la conoscenza è in un volume protetto abbiamo la possibilità di vederlo, ma se non lo è possiamo lo stesso consultarlo.»
«Quindi tu sai usare la magia?»
«In minuscola parte, so sfruttare ciò che è qua, ma non ne padroneggio l'arte.»
Shioren sorrise a Majion, che si guardava attorno affascinato. «Ma i libri con quest'acqua non si rovinano?»
La ragazza rise, scuotendo il capo.
«Sembra acqua, e vi consiglio di non cercare di berla, ma in realtà è...» mentre cercava le parole adatte Aderyn, che non aveva distolto lo sguardo dalla superficie liquida, intervenne.
«È l'energia della terra stessa che mantiene questo luogo. Spiriti vincolati a essa, legati, costretti contro la loro natura in un compito infinito e doloroso, ecco cosa vedi come acqua, amico mio. Come tutta la magia dei figli del dio drago non chiede, impone e pretende, vincola, lega, schiavizza. Basta saper ascoltare, chiedere.» La pietà e la rabbia vibravano nel tono dell'hilm'een.
«Voi vedete? Conoscete la magia?» Shioren si morse il labbro.
«Conosco ciò che vedo, ciò che il mio popolo, i miei popoli, sanno. Gli spiriti sono capricciosi, certo, ma sono saggi e se trattati nel modo giusto, con rispetto, sono figli del creato esattamente come noi e ci aiutano» Aderyn inciampò nelle parole. Esprimersi era molto più facile ora, ma rimaneva una lingua non sua e certi concetti erano complessi da comunicare. «Arroganza, ecco cosa ha portato i figli del dio drago a fare questo. Basterebbe chiedere...»
L'hilm'een allungò una mano, afferrando uno dei piccoli globi di vetro che vincolavano uno spirito e lo guardò, parlando nella sua lingua.
Majion l'aveva già sentita, eppure non riuscì a capirla: sembrava più articolata e complessa di quella usata dalla regina. Era un canto, più che parole, musica vocalizzata, se esisteva una cosa simile.
Sotto gli occhi di Shioren e Majion, la sfera di vetro si crepò e con un suono sordo divenne polvere. La luce per un attimo vibrò, si stiracchiò, poi iniziò a svolazzare sopra la spalla di Aderyn rimanendo lì, di sua spontanea volontà.
«Ma... ma cosa...?»
La giovane novizia allungò la mano, fermandosi prima di toccare lo spirito: lei ne vedeva la vera figura, certo, doveva volerlo e sforzarsi per attivare quella vista particolare, ma le forme di quella specie di libellula fatta di luce sembravano accarezzare con affetto la figura di quell'uomo dall'aspetto strano, di quel figlio della dea Nut che aveva con apparente semplicità rotto un incantesimo dei maestri del tempio.
«Basta parlare, chiedere. Se si è gentili anche loro lo sono.»
«Insegnami!» Shioren fissò Aderyn che, però, scosse il capo.
«Non ora, un giorno. Se tutto andrà bene vieni nelle terre di Nut e cercami, allora ti insegnerò ciò che so, anche se è ben poco.»
«Lo farò.»
Majion guardò i due, sospirando, e attirò la loro attenzione con un leggero colpo di tosse.
«Se avete finito, cercavamo un libro, ricordate?»
«Oh... certo!» Arrossendo la novizia riprese il controllo della barca che nel mentre si era fermata. «Siamo quasi al posto giusto.»
Navigarono, se così si poteva dire, su quella superficie attraverso volte e gallerie, oltrepassando maestri fluttuanti e altre piccole barche, fino ad arrivare a una serie di scaffali che si incastravano in un passaggio laterale. Lì la giovane iniziò a cercare, mentre ai due non rimaneva altro da fare che aspettare.
Alcuni libri avevano illustrazioni e disegni e i due li sfogliarono, una volta scartati da Shioren, per passare il tempo. A volte la novizia allungava la mano nel vuoto e con un piccolo brillio un volume le compariva in mano.
Non la disturbarono, annoiandosi mentre la ricerca continuava, interrompendosi solo per mangiare fino a che, quando Aderyn dichiarò essere il tramonto, non se ne andarono accordandosi con Shioren per il giorno seguente. Una volta fuori dal tempio l'hilm'een invece di dirigersi verso la locanda che li ospitava fermò Majion, indicandogli il fiume.
«Risaliamo un po' il suo corso, ho bisogno di muovermi un po'.»
«Anche io.» Si avviarono e il rosso continuò a parlare. «Credi troveremo quello che cerchiamo?»
«Sì, la risposta è qua.»
«Mi piacerebbe avere la tua sicurezza.»
«Ci potrebbe volere un po', ma è qua.» Aderyn si incamminò verso un sentiero che costeggiava la riva, risalendo il corso del fiume. «Quando abbiamo iniziato a cercare qualcosa mi ha come calmato, sembrava il tocco di Nut, ma così lontano dalla mia terra non sono neppure più certo di saperlo riconoscere.»
«Posso capire quanto ti manchi.»
«Sì.» Aderyn fissò Majion, al suo fianco. «Sì, tu puoi capire.»
Il modo in cui Aderyn lo stava fissando fece sentire a disagio il rosso.
Proseguirono in silenzio per qualche tempo mentre gli ultimi bagliore del sole svanivano.
«Meglio tornare.»
L'hilm'een annui. «Tu non vedi come me, per te sarà buio, non ci avevo pensato.»
Quando arrivarono ai confini della cittadina, Aderyn mise una mano sulla spalla di Majion. «Posso farti una domanda, penso però che potrebbe non piacerti.»
«Posso sempre non risponderti. Dimmi.»
«Perché sei rimasto qua? Io ho capito un po' credo. Intendo come funzionano le cose nelle terre del drago. Perché non hai provato a tornare alla tua casa?»
Majion scosse il capo, camminando di fianco all'altro con aria tranquilla. «Perché era impossibile. Ho pensato a tanti modi, ma il tempo passava e nessuno di essi era realizzabile. E poi mi vergognerei, ora, a tornare alla mia terra. Ci tornerei da straniero, non è più mia, ho fatto cose che nessun uomo del mio clan avrebbe fatto. Ho... perso più della mia libertà quando mi hanno fatto schiavo.»
In un mormorio, la voce di Majion si spense.
«Ci torneresti?»
«Sì, la vorrei rivedere, ma sarei lo stesso uno straniero.»
«La terra non ci dimentica, amico mio. Lei ricorda i suoi figli, sempre.»
Il cestrix annuì, silenzioso, il ricordo del mare freddo dove pescava da bambino era prezioso, ma sbiadito. Così come tutto quello che conservava nel cuore di quel tempo.
Entrarono nella locanda e Majion andò a recuperare i pasti per entrambi, portandoli nella stanza che dividevano, controllando poi i cavalli e i loro averi, silenzioso e cupo.
Se tutto fosse andato bene avrebbe avuto la possibilità di tornare alla sua terra, ma avrebbe avuto davvero il coraggio di tornare alla sua casa, cercare sua sorella, sua madre, gli amici di un tempo? Cosa avrebbe mai potuto dire loro, con quel tatuaggio che gli deturpava la schiena, simbolo incancellabile di quello che era. Così tanti anni da schiavo, avrebbe saputo vivere da uomo libero? Cosa mai avrebbe fatto?
Quando infine si coricò, il sonno faticò ad arrivare nonostante la stanchezza. Troppi pensieri in testa, troppe cose che sembravano ingarbugliarsi nella sua mente: immagini, emozioni, speranze, aspettative.
Trovare Ashur, salvarlo, vincere qualunque cosa dovessero vincere, per poi essere liberi. E vivi, soprattutto vivi.
Si rigirò nel letto fino a quando finalmente non si addormentò, sognando la sua terra: i verdi pascoli estivi, in alto sui monti, che si specchiavano nelle acque della baia, i suoni degli animali che con sua sorella accudiva, il profumo dell'erba.
Tutto era così vivido che nel sonno pianse, rivivendo i colori, i suoni, i sapori e gli odori della sua casa.
Erano anni che non la sognava più a quel modo; rivide il volto della madre, il suo sorriso, poi quello di Beith. Sua sorella era come la ricordava, un piccolo folletto pieno di energie.
Poi qualcosa cambiò, non era più estate.
La neve cadeva in spessi fiocchi su quella terra che precedeva la spiaggia, il suono delle onde che si infrangevano era ipnotico e le acque erano grigie, plumbee quanto il cielo.
"Mael" La voce era dolce, musicale, pronunciava il suo nome con affetto, con la cadenza della sua lingua, come non lo sentiva da troppo tempo.
Si guardò attorno, scorgendo in un turbine di fitta neve una figura di spalle.
"Sei arrivato, Mael."
Era arrivato? Confuso, nel sogno si avvicinò alla figura che gli dava le spalle, indistinta tra la neve. Era una donna con una chioma ramata che scendeva in onde morbide fino alla vita, coperta da un manto di piume di civetta.
"Sei a casa. Bentornato, figlio mio."
"Questo è solo un sogno. Non sono a casa, mi sveglierò nella locanda."
"Mi sei mancato, figlio mio. Mi sei stato strappato dalle mani e non ho potuto fare nulla per te. Non ho potuto proteggerti, ma era necessario. Nulla avviene per caso e ciò che sei diventato in questa terra straniera ti ha reso forte."

La risata di Majion, nel sogno, divenne incontenibile.
"Il sogno più stupido che abbia mai fatto. Hai una bella voce, dolce e malinconica, magari da sveglio ricorderò a chi apparteneva."
Lentamente, tra la neve, la donna si voltò rivelando un volto d'uccello. Gradualmente mutò, divenendo quello di una regina dai grandi occhi gialli.
"Tu sai già chi sono, Mael, tu sai chi ti sta parlando e sai che non è un sogno."
Scuotendo il capo, Majion fece un passo indietro.
No, non era possibile, semplicemente non lo era. La dea uccello, Strix, la dea che aveva rinnegato e dimenticato. La dea a cui sua sorella e lui dedicavano i primi fiori, il sangue del primo animale macellato. La dea che si ringraziava per ogni nascita e per ogni morte e che scendeva in guerra con i valorosi.
"Strix. Ma questo è un sogno..."
"Sono da te in questa terra che è parte del sogno, figlio mio. Ho dovuto attendere tu fossi pronto, forgiato, adatto ad accogliermi e ascoltarmi. Ora sei pronto."
"Pronto? Stai scherzando, spero. Non so combattere come Aderyn o Ashur, cosa vuoi che faccia, eh? No. Non sono pronto e non voglio fare niente. Non hai fatto nulla, tu, per me. Mi hai lasciato andare."
"Dovevo."
"Dovevi?! Comoda come scusa!"
Majion deglutì, sentiva le emozioni salirgli in gola, stringendola. "Perché, Strix? Perché io?"
"Perché tu ne avevi la forza, Mael, figlio mio. Tu, e solo tu, puoi: tu sei l'unico con il giusto tipo di coraggio."
"Coraggioso, io?"
Majion rise mentre, tra la neve, Strix avanzava verso di lui, coperta da quel candido manto di piume.
"Sì, il coraggio della gentilezza" si interruppe, alzando una mano e posandola sulla guancia di Majion, coperta di lacrime che non sapeva di versare. "Sei stato in grado di mantenere il tuo cuore gentile e compassionevole, la forma più grande di coraggio. Sei pronto, figlio mio, sei tu che io ho scelto per portare la mia forza. Sarà la tua gentilezza a guidarla."
"E se non volessi?"
"Non vuoi?"
la dea accennò un sorriso, che le sfiorò benevolo le labbra.
"Non lo so" tentennò. "Non penso sia un affare accettare..."
La dea rise, e quel sorriso pieno di labbra rosse e carnose affascinò Majion.
"Non è un affare, ma tu vuoi aiutare Ashur, vero?"
"Colpo basso."
Le parole uscirono fredde e gelide dalle sue labbra, come la neve che cadeva tutt'intorno a loro.
La dea sorrise di nuovo, le iridi dorate luminose e antiche si soffermarono in quelle di lui, affondando nella sua anima . "Eppure quello è il tuo desiderio, o sbaglio?"
"Siamo ai ricatti? Se non accetto di essere il tuo eletto non potrò aiutarlo?"
"Non lo so, magari potrai lo stesso."
"Non voglio accettare. Non così, non adesso."
Majion scosse la testa, i pugni stretti. No, non a quel modo. Cosa doveva fare, era una scelta che non era una scelta. Un obbligo.
"Allora quando sarai pronto, figlio mio, chiamami."
La dea sembrò perdere consistenza e Majion allungò la mano, come per afferrarla. "E se non lo facessi?"
Gli occhi gialli della Dea si socchiusero in un'espressione mesta. "Ci sono grandi possibilità che sia il Caos a vincere, che i demoni suoi figli non si ritirino da questo mondo e che nel tempo arrivino ovunque."
"Ovunque...?"
"Sì."
Annuì rigidamente, il viso dalla bellezza fiera che si alzava per un istante verso il cielo, per poi tornare all'altezza dell'uomo.
Majion sospirò. Ora capiva davvero perché Ashur aveva accettato. Era una specie di ricatto morale a cui non ti potevi davvero sottrarre. Poteva rifiutare, ma poi avrebbe dovuto convivere con il rimorso. Non aveva fatto qualcosa quando poteva. Non aveva aiutato Ashur. A cosa servivano belle parole e canzoni d'amore, se una volta arrivati al dunque si tirava indietro?
"Credo me ne pentirò, ma del resto non ho davvero scelta... accetto." Dopotutto, pensò, poteva essere tutto solo un sogno.
La dea sorrise e, sporgendosi verso Majion, lo baciò: un tocco lieve, che sapeva di neve e d'estate, di fuoco e di terra.
Di colpo, l'uomo aprì gli occhi.
Con una mano catturò qualcosa posato sul suo viso: era una candida piuma di civetta, lunga e tondeggiate, screziata di nero. Majion la fissò, stranito, scuotendo appena il capo, incredulo.
No, non era stato un sogno.  

L'ultima monetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora