-30- Nokraal

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«Spiegami.»
La voce di Ashur raggiunse l'hilm'een, che distolse lo sguardo dalla schiena di Shiin che si stava allontanando lungo il sentiero.
«Il potere di Shiin nasce dalle paure, dal lato oscuro che ogni anima cela. Lo porta alla luce, facendo sì che conquisti, trasformi o uccida la persona che è mira del suo potere. Il dono del tuo sangue è incontrollabile da te solo e il legame si è formato con lui. A quanto mi avete raccontato in questo viaggio la prima persona per cui hai ucciso è stata lui. Questo ha dato inizio al legame, ha forgiato il controllo che lui ha sulla tua forma nera. Solo che il dono di Shiin ha interferito. Le sue paure, il suo lato oscuro, sono stati resi più forti e fatti emergere attraverso di esso, unendosi a quella ragnatela di magia che gli permette di controllarti quando combatti e la tua anima dorme.»
«Mi stai dicendo che è una specie di vittima?»
Il tono del giovane era tagliente, duro, mentre camminava accanto all'altro lungo quei sentieri orlati da corolle candide, verso la casa che era stata assegnata loro.
«Sì, Ashur. La sua crudeltà non è certo nata al di fuori dalla sua anima, ma è stata resa in gran parte incontrollabile dal legame. Tutti abbiamo dentro noi l'ombra, una forza oscura, un'ossessione, e lui vi ha ceduto a causa di ciò.»
«Poteva sforzarsi un po' di più e resistere.» Ashur voltò il capo, in lotta con se stesso. Inizialmente Shiin era diverso, aveva in un certo senso la sua ammirazione ed era arrivato molto vicino ad avere da parte sua una specie di affetto, ma poi tutto era cambiato. Il suo comportamento era mutato e la crudeltà dei suoi gesti era diventata fonte d'odio.
La mano di Majion si posò sulla sua spalla e il cestrix lo osservò, sorridendogli appena, cercando il modo di aiutare Ashur. «Se non dipendeva da lui, beh...» prese un profondo respiro, «hai visto con che faccia si è allontanato, no? Forse anche lui aveva capito che qualcosa non andava. Magari non era particolarmente orgoglioso di quello che faceva, ma non poteva farne a meno. Almeno, è così che funziona?»
Aderyn annuì. «Sì, porta alla luce i desideri e i pensieri, le emozioni più oscure e in un certo senso è forzato ad assecondarle, almeno nei tuoi riguardi. Nel tempo potrebbe estendersi a tutto ciò che lo tocca, trasformandolo senza via di ritorno in un'altra persona.»
«Ora quindi puoi fare qualcosa?»
«Sì, ed è relativamente facile, ancora. Ci vuole il mio dono, però.»
Majion si sporse verso l'hilm'een, osservandolo. «Devi piantargli una freccia addosso?»
L'altro rise, scuotendo il capo. «Nut è una dea lunare, amico mio. La sua luce illumina la notte, mostrando i volti dei mostri nelle ombre per quel che sono, così che si possano affrontare.»
Apparentemente poco convinto, il rosso annuì.
I tre procedettero fino a raggiungere la casa, dove un pasto abbondante li attendeva. Era ormai pomeriggio, l'incontro con l'Oracolo aveva occupato quasi tutto il giorno. Il tempo era passato in modo strano, scorrendo senza che se ne avvedessero realmente.
Shiin era nella stanza centrale della casa, seduto su dei cuscini. Li guardò avvicinarsi con aria distaccata: aveva avuto il tempo necessario a calmarsi. Era stato in lotta con se stesso per molto tempo, dilaniato tra la consapevolezza della scorrettezza del suo atteggiamento e quel morboso attaccamento che lo accecava: quando si trattava di Ashur perdeva di vista ogni buon senso. Scordava gli insegnamenti, ogni cosa.
«Quando puoi purificare il legame?»
Aderyn sorrise appena, annuendo mentre si sedeva vicino al dyku. «Quando vuoi. Non sarà facile, per te. Sei pronto a guardare dentro la tua anima e vederla nuda d'ogni illusione?»
Il cenno si assenso di Shiin fu lento e deciso. «Iniziamo adesso.»
Aderyn annuì, indicando ad Ashur di sedersi con lui e il dyku. Come i tre vertici di un triangolo si guardavano e Aderyn estrasse un lungo pugnale, afferrando la mano di Ashur e poi di Shiin, incidendo i loro pollici e facendo scorrere il sangue. Tese un pezzo di stoffa e lo usò sulle dita di entrambi, il rosso che fioriva e germogliava come una rosa su quella tela bianca. La voce dell'hilm'een iniziò a innalzare un canto privo di parole o, almeno, quello era ciò che pareva agli altri.
Majion, in un angolo, osservava attentamente la scena e man mano che quel canto si alzava e abbassava, tracciando complicati intrecci sonori e innalzandosi fino a riempire la stanza con la forza di un uragano, il volto di Shiin si contraeva. Era paura, disgusto, il viso di un uomo che vedeva ciò che mai avrebbe voluto contemplare e poi, quando la voce dell'eletto di Nut raggiunse una potenza tale che Majion avrebbe giurato di sentire la casa stessa vibrare, gli occhi di Shiin divennero completamente bianchi.
Ashur gridò, cadendo in avanti, ansimando, stringendosi la mano all'altezza del cuore.
Di colpo Aderyn si zittì e una calma che fece scorrere i brividi sulla pelle del cestrix pervase la stanza.
Una luce sembrò irradiarsi per un attimo dalle mani dell'uomo mentre stringeva tra le mani la stoffa macchiata di sangue; con un movimento rapido si alzò, andando a una delle lanterne accese e bruciando su quella piccola fiamma la tela che ne venne divorata completamente, in modo innaturale.
Con l'ultimo sbuffo di fumo nero un gemito uscì dalle labbra di Shiin che cadde in avanti, svenuto.
Ashur fissò l'uomo, per un istante aveva visto la sua anima, i suoi pensieri, la sua lotta.
Aveva intravisto i segreti di Shiin, ciò che nessuno dovrebbe conoscere di un'altra persona. L'aveva amato, il dyku, a modo suo lo amava ancora e non solo, dentro quello spirito l'onore e la lealtà erano alberi dalle radici profonde, eppure come qualunque radice affondavano nell'oscurità. Aveva sentito dubbi, rimorsi, aveva visto immagini di Shiin e del fratello, il dolore di un figlio che non era mai all'altezza di ciò che ci aspettava da lui.
Aveva rivisto parte di ciò che era in lui e aveva capito. Deglutì, incapace di perdonarlo, incapace, però, di odiarlo.
Ciò che aveva fatto era comunque parte di lui, era ciò che Shiin era, nonostante tutto.
Un uomo che lo considerava ancora una sua proprietà, che non era capace di vedere oltre ciò che gli avevano insegnato come giusto e sbagliato, un condottiero che avrebbe obbedito ciecamente a qualunque ordine.
«Aiutami.»
Le parole di Ashur riscossero Majion, che si affrettò ad avvicinarsi al giovane, aiutandolo a portare Shiin sul letto. Il respiro era leggero, rapido, il viso pallido.
«Sta lottando con se stesso, è nei sogni che ogni velo si alza, mostrandoci senza pietà ciò che siamo.» Aderyn si sedette accanto all'uomo, passando la mano lungo il viso sudato in una carezza. «Ci vorrà un po', ma ho fiducia in lui.»
Majion alzò un sopracciglio, mentre un dubbio prendeva sempre più forza in lui. «Non è che potrebbe non svegliarsi?»
«Ad alcuni succede, ma a lui non accadrà.»
«E perché ne sei così certo?»
L'hilm'een puntò il suo sguardo chiaro in quello del cestrix, studiandolo. «Per via di ciò che è. Così come Ashur, io e te siamo prescelti, lo è anche lui. Ha la forza di affogare nell'oceano oscuro della sua anima e da lì rinascere. Ha un compito, come ognuno di noi, ed è legato a esso a doppio filo.»
«Io non sono stato scelto da nessuno, Aderyn.» Majion sbottò, scuotendo il capo. «Io sono qua solo perché non parlavi la nostra lingua, ricordi?»
«Se lo dici tu, amico mio, sarà così.» Il sorriso appena accennato dell'eletto si venò di stanchezza.
«Tu sai qualcosa che non sappiamo?» Ashur disse, in tono all'apparenza pacato, eppure in lui si intuiva una forza che avrebbe potuto piegare una montagna.
«So ciò che vedo, giovane leone. Tra le nostre anime c'è un legame e i gesti degli uomini, per quanto appaiano casuali, quando riguardano noi sono sempre tirati da un fato superiore. Come marionette seguiamo un percorso anche se a modo nostro, calcando passi già fatti in una guerra già combattuta. Come sai non è la prima volta che questo accade, non è la prima volta che questa battaglia avviene e non sarà neppure l'ultima. Finché ci saranno ordine e caos, luce e tenebre, bene e male, finché ci saranno gli opposti, ci sarà vita. Fino a quando ci saranno ci dovrà però essere equilibrio e quello che noi facciamo fa sì che esso si stabilizzi, perduri per un periodo. È così che ciò che dall'incontro degli opposti nasce, continua a esistere. La vita come noi la conosciamo è la figlia sia della luce che delle tenebre; in noi esistono entrambe e, senza di esse, non ci sarebbe un futuro. Ecco perché questa guerra non finirà mai.»
«E ogni volta pochi fortunati soffriranno per il bene di molti.»
«Esattamente, Ashur.» Aderyn sospirò al tono ironico dell'altro. «Non è forse sempre stato così? Pochi per molti, i grandi cuori battono come i tamburi della terra, risuonando poi nelle loro gesta nelle anime delle moltitudini. Il cuore di un uomo diventa il cuore di ogni uomo, di ogni essere vivente.»
Ashur sospirò, scuotendo appena il capo. «E ne vale la pena?»
«Dovresti saperlo già visto che sei qua, mio giovane amico. Hai già scelto.»
La mano di Majion si strinse sulla spalla del giovane Leone, consolante, mentre sospirava piano, annuendo verso Aderyn.
«A volte vorrei non essere io.»
Aderyn rise, scuotendo piano il capo. «Solo a volte? Non c'è momento in cui io non vorrei cambiare i passi della mia vita, le mie scelte. Ma poi penso a come sarebbe il tutto se rinnegassi le decisioni che ho preso e capisco, ancora una volta, che questa è l'unica strada che potrei accettare. Posso far sì che il mio popolo viva nella luce, in pace, e non posso dimenticare i visi di ognuno di loro. Di ogni giovane strega, di ogni uomo e donna, di ogni cacciatrice. Sapere che potrebbero vivere in un lungo periodo oscuro di dolore e disperazione mi dà la forza di confermare, ogni volta, la strada che ho scelto.»
Ashur annuì, lo capiva. Quando aveva dubbi, quando aveva paura, pensava a Jiaren. Pensava a chi amava, a quello che li avrebbe aspettati se si fosse arreso.
Un gemito li distrasse, le palpebre di Shiin tremolarono e infine si aprirono e lo sguardo, per un attimo smarrito, si fissò su Ashur.
Si studiarono, senza dire nulla, eppure qualcosa era cambiato nel modo in cui gli occhi del dyku lo guardavano e infine l'uomo sorrise, un piccolo incresparsi delle labbra.
«Non vorrei mai rifarlo.»
«Non credo ce ne sarebbe bisogno.» L'hilm'een annuì, guardando dalle finestre le ombre, che indicavano l'iniziale declino del sole verso ovest. «Dite che ci ospiteranno un'altra notte?»
«Ho il dubbio di no,» con un cenno Ashur indicò un gruppo di sacerdotesse dal volto mascherato risalire il sentiero verso di loro, «credo ci daranno l'addio tra poco.»
«Questo posto, nonostante tutto, mi piace.» Majion sospirò, guardandosi attorno. «Ha un'aria di quiete e placidità che ti entra dentro.»
«Credo sia tutta apparenza.»
Ashur si diresse alla stanza attigua, iniziando a cambiarsi e indossando i suoi vestiti. Presto tutti lo imitarono e quando il passo calmo delle sacerdotesse le portò alla soglia della casa, erano pronti per partire.
Non furono detti addii, furono semplicemente scortati ai grandi cancelli da cui erano entrati. Lì gli strani animali che li avevano portati su li attendevano, assicurarono le poche cose alle loro groppe e montarono in sella.
«Seguite il sentiero e tornerete alla fattoria, potrete fermarvi lì quanto vorrete, ripagheremo abbondantemente la famiglia di Fenlao per avervi ospitato.» L'anziana sacerdotessa guardò il cielo su cui gruppi di nubi, come animali al pascolo, vagavano placide. «Riposatevi, il viaggio che vi attende sarà duro.»

L'ultima monetaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora