Alla fine di quell'inverno straordinariamente mite, anche per il dolce clima della costa, un'inaspettata ondata di freddo fece capolino, imbiancando in una notte tutta la città. Ashur e Majion si risvegliarono a causa del gelo della stanza e osservarono dalla finestra quella coperta candida che attutiva ogni suono.
«Ci vorrebbe un tè caldo.» mormorò Ashur, il fiato che si condensava in una nuvoletta. «Fa un freddo infernale in questa stanza.»
Il ragazzo si era stretto contro l'amico, entrambi imbacuccati e avvolti nella trapunta. Il cestrix sospirò.
«Sono anni che non vedo qua la neve, però hai ragione, fa davvero troppo freddo. Andiamo, nella sala comune c'è sempre il camino acceso, lì dovrebbe fare decisamente più caldo.»
«Non credo che uscirò dalle coperte.»
«Allora muori congelato, visto che ho tutte le intenzioni di portarmi via la mia trapunta.» Ashur fece un'espressione indignata, facendo sogghignare l'altro. «Forza, ragazzo. Non vorrai rinunciare all'occasione di rivedere Tìnqui e di farti ammirare da tutti! Ieri notte le sue urla indignate hanno svegliato anche i morti. Mi chiedo cosa ci trovi Fiuren in lei; bella quanto vuoi, magari pure brava, ma è davvero una bambolina viziata.»
Ashur si strinse nelle spalle, affondando il naso sotto la trapunta. «Quella non mi piace.» mormorò contro la spalla di Majion. La notte precedente avevano parlato per ore e il cestrix aveva fischiato, ammirato, quando Ashur gli aveva confessato che aveva salvato la vita a Shiin e che nonostante le insistenze del dyku, non voleva dirgli nulla del suo passato. Aveva visto la curiosità negli occhi verdi dell'amico, ma non gli erano state fatte domande.
«Dubito che piaccia a qualcuno oltre Fiuren.» Majion si mosse, scoprendo il ragazzo che rabbrividì, ma che l'imitò. «Ma non darle addosso.»
«Anche Shiin mi ha detto qualcosa di simile.»
Majion mise la trapunta sulle spalle di entrambi e guidò il ragazzo verso la stanza in cui passava in gran parte il suo tempo da quando era arrivato alla Casa della Fenice. All'interno c'erano un uomo, una donna e tre ragazze tra i quindici e i diciassette anni. Erano tutti raccolti attorno al camino, dove un uomo che dimostrava una quarantina danni, dal viso segnato da una cicatrice ma non per quello meno avvenente nella sua particolarità, stava suonando un flauto.
Era una melodia semplice, una canzone da pastori che Ashur aveva già sentito.
Nonostante tutti si voltassero a guardali entrare nessuno parlò, attendendo la fine della musica. Majion e il ragazzo si sedettero su un basso divanetto vicino al camino, avvolti nella trapunta. Lì faceva decisamente meno freddo e ben presto Ashur si rilassò. L'uomo continuò a suonare un pezzo dopo l'altro, pur esibendosi con melodie semplici le interpretava con una passione vibrante che coinvolgeva chiunque ascoltasse. Così anche Ashur si trovò a rannicchiarsi nella coperta, lasciando che la musica lo trasportasse, placando la sua agitazione.
Se si trovava lì era perché Shiin voleva sapere del suo passato, chi era. O, meglio, chi era stato.
Non voleva dirglielo e si rendeva conto che non era solo l'orgoglio a renderlo così cocciuto. Temeva che sapere che lui era il figlio esiliato e disonorato di Taone del Leone potesse in qualche modo portare danno al clan. La sua famiglia veniva ancora prima di tutto, voleva proteggerli. Temeva di poter essere usato, anche se non sapeva bene come. Non faceva più parte del Leone, potevano ucciderlo davanti alle sue porte e i suoi genitori non avrebbero versato una lacrima, perché non avevano più un figlio chiamato Ashur. Eppure qualcosa, in lui, lo avvisava, gli intimava la cautela e il silenzio, ma ora che dimorava in quella casa avrebbe potuto sottrarsi ancora per quanto alla verità?
Sentì il braccio di Majion circondargli le spalle e si sentì rassicurato. Averlo ritrovato gli aveva scaldato a tal punto il cuore che aveva recuperato tutto il coraggio che aveva perso quando aveva messo piede lì. Non era più solo. Quando l'aveva visto aveva pianto, asciugandosi in fretta gli occhi, a disagio per quello sfogo emotivo. Quando il loro abbraccio si era sciolto aveva visto l'identica sua gioia negli occhi dell'altro, sospettosamente umidi.
La musica del flauto terminò e, dopo un istante di silenzio, tutti si complimentarono con il musicista chiedendo altri brani.
«Avete anche Majion che suona per voi, ora. Io sono stanco, chiedete a lui!»
«Qilin, non sono certo alla tua altezza, non essere modesto.» il cestrix sorrise guardando l'uomo riporre in una custodia lo strumento. «E poi ora non ho voglia di suonare.»
«Non l'avrei neppure io con un così bel ragazzo rannicchiato contro il mio petto. È lui la causa delle urla di Tìnqui?»
A quelle parole Ashur era arrossito, lanciando un'occhiata risentita all'uomo e cercando di scostarsi da Majion. Non si era reso conto di essersi rannicchiato a quel modo contro l'altro mentre ascoltava il flauto.
«Già, vero.» la donna sorrise al giovane e si sporse verso di lui, osservandolo. «Che occhi magnifici! Non ho mai visto iridi di quel colore, sembrano rubini. Io comunque sono Tielei e lui è mio fratello Meliei.»
«Io sono Ashur.» disse guardando i due. Erano effettivamente molto simili l'uno all'altra, stesso viso delicato e appuntito, stessi occhi nerissimi.
«Tìnqui comincerà a sentirsi agitata, prima il padrone ha portato te, Majion, e ora lui. Si sentirà decisamente minacciata!» nascondendo un sorriso divertito e soddisfatto dietro la mano, Tielei scambiò un'occhiata con il fratello.
«Non mi ha comprato lui.» il mormorio di Ashur zittì tutti.
«Allora chi?» chiese il musicista, sinceramente spiazzato.
«Shiin.»
Una delle tre ragazze si mise a ridere e il giovane la guardò, perplesso. «Scusami, non ridevo di te.» le labbra della ragazza si piegarono in un sorriso di scuse. «Ma giusto l'altro giorno ci chiedevamo come mai il giovane padrone si recasse così spesso al Loto. Vieni anche tu da lì, immagino.» Ashur annuì e lei proseguì. «Majion è antipatico, lui sapeva e non ha mai detto nulla, affermando che non erano affari nostri. Ma a quanto pare ora non ha più motivo per tacere.»
«E sentiamo, cosa vorresti sapere?» Majion sbuffò in direzione dalla ragazza che sembrava la portavoce del gruppetto, però non fece in tempo a dire nulla: Tìnqui entrò nella stanza, zittendo tutti con la sua presenza.
«Non c'è nulla da sapere, in realtà.» la donna avanzò con un passo elegante e felino, avvolta in un pesante e semplice vestito che sulla sua persona appariva elegante quanto un abito di corte. Si fermò davanti ai due, squadrandoli con superiorità e poi proseguì, sedendosi dove fino a pochi attimi prima c'era il flautista. «Il giovane padrone ha portato qua uno schiavo da un bordello, probabilmente dopo che è arrivato qua Majion pensava fosse una buona idea. Ma presto si renderà conto che una puttana da taverna non è degna di queste mura.»
Ashur socchiuse gli occhi, rabbioso, trattenendo a fatica la risposta che gli era salita alle labbra.
«Ma Tìnqui,» esordì Tielei con titubanza «non credo che dovresti dire queste cose.»
La favorita sbuffò, mentre una serva delle cucine entrava portando un vassoio carico. Una grossa teiera fumante e dei piatti coperti emanavano un profumo invitante e lo stomaco del ragazzo brontolò. Per un attimo si dimenticò di Tìnqui, ma la risposta della donna lo fece girar verso di lei di scatto.
«E perché? Non sto dicendo altro che la verità, può avere gli occhi più belli del mondo, ma è solo uno schiavo trovato in un bordello qualunque.»
Ashur parlò, inaspettatamente calmo, mentre fissava con astio la donna. «Tu invece immagino arrivi da una grande Casa. Ieri sera ho intravisto il tatuaggio oltre il collo della tua veste, non mi sembra tu sia qualcosa più di me.»
La donna arrossì di rabbia. «Tu, piccolo animale, taci!»
«Te la sei cercata, Tìnqui. Ashur risponde poco, ma eviterei di farlo arrabbiare, è pur sempre qua come unico concubino di Shiin e questo lo rende automaticamente un tuo pari, no?» Majion disse con un sorriso insolente mentre versava del tè in una tazza. «Insomma, se tu sei la preferita del padrone, mentre lui lo è del padroncino, ricordalo.»
«Una cosa a cui non avevo pensato.» Shiin era apparso sulla porta, con un mezzo sorriso sul volto. «Ashur, vieni con me.» ordinò lanciando un'occhiata di ammonimeto alla preferita del padre.
Il ragazzo guardò il cibo con rammarico prima di alzarsi dal divanetto. Si erano tutti zittiti e avevano chinato il capo davanti al dyku della Casa, anche Tìnqui. Ashur uscì, rabbrividendo nel freddo del corridoio e guardò Shiin, attendendo. Il suo nuovo padrone gli fece cenno di seguirlo e lo accompagnò fino al piccolo cortile interno che si vedeva dalla sala dove si trovava fino a pochi minuti prima. Il fiato del giovane si condensava in nuvolette bianche e qualche brivido iniziava a percorrergli la schiena. Indossava dei sandali di paglia intrecciata, ma non bastavano certo a separarlo dal gelo della neve, anche se era stata in gran parte spalata, liberando la piccola corte.
Shiin prese dal muro una spada da allenamento in legno, porgendogliela.
«Prendila.» Ashur non ubbidì subito, sentendo una stretta allo stomaco e temendo quello che l'altro voleva da lui, ma alla fine strinse le dita attorno all'elsa, sentendo il peso ancora familiare dell'arma da allenamento. «Visto che ieri è stata solo fortuna, vediamo fin dove arriva. Se continua a darti una mano veloce e salda.»
Si spostarono verso il centro del piccolo cortile e il dyku lo studiò. Aveva guidato e tutt'ora comandava i soldati della Fenice, conosceva gli uomini e, ancor di più, i soldati. Ogni forma di arte marziale gli era conosciuta, almeno in parte. Non era un maestro di ogni arma, ma il suo ruolo gli imponeva di conoscerne però il maggior numero possibile e con quell'esperienza, di uomini e armi, veniva la capacità di valutare. Il modo in cui Ashur stringeva l'elsa, la posa delle spalle e delle gambe, anche se cercava disperatamente di non mettersi in posizione, all'occhio allenato del dyku ogni accenno di movimento del ragazzo parlava chiaro. Con una mossa repentina Shiin attaccò. Ashur si obbligò a rimanere immobile mentre i colpi della spada di legno gli piovevano addosso. Non erano particolarmente violenti o veloci: il dyku sembrava semplicemente voler saggiare le sue reazioni e, dopo poco tempo, si fermò.
«Mi deludi, la impugni nel modo giusto senza neanche pensare, ma anche se il tuo braccio freme non reagisci. Credi non abbia capito che la sai usare, che la tua è abilità?»
«Padrone, non sono degno di queste vostre parole, non ho certo tale capacità in me.»
«Ashur, odio le menzogne.» la voce di Shiin era tagliente, adirata. Mosse il polso e la punta dell'arma si fermò sulla gola dello schiavo, che rimase immobile. Il legno premette leggermente contro la pelle. «Sei cocciuto. Potrei riempirti di lividi, punirti, perfino frustarti, ma non otterrei assolutamente nulla, vero?» senza attendere la risposta, la punta dell'arma si spostò e, indicando la finestra da cui si vedevano i volti degli altri concubini, assiepati contro il vetro per seguire la scena, proseguì. «Però, se non sbaglio, il rosso ti sta particolarmente simpatico. Se iniziassi a punire lui? Pagherebbe lui ogni tua bugia. Che ne dici?»
Gli occhi del ragazzo si spalancarono e il viso si fece terreo.
«No!» Ashur fece un passo avanti, sconvolto: quello non l'aveva preventivato. Majion non doveva sopportare altre sofferenze a causa sua.
«Allora battiti seriamente.» Shiin riportò l'arma in posizione con un movimento fluido, lo sguardo duro che osservava con freddezza lo schiavo. Il nobile sapeva, però, di aver vinto.
Ashur non si mosse, non guardò verso la finestra, ma la sua mano si strinse più saldamente all'elsa. Arrivò il primo colpo, ma lui si limitò a scansarlo.
Il freddo era sparito, tutto era scomparso, come quando era nel cortile degli allenamenti nella Casa del Leone esisteva solo il presente e il movimento delle armi. Continuò a schivare i colpi: erano lenti, Shiin lo stava solo testando. L'arma di legno era ancora abbandonata lungo il suo fianco, come se non sapesse che farsene, eppure nessuno dei colpi del dyku lo sfiorava più. Poi il ritmo iniziò ad aumentare e Ashur ricevette un colpo al costato che gli tolse il fiato e il mondo, per un istante, sembrò avvolto da una luce rossa. Non si rese conto di sorridere, di quella sottile linea appena inarcata, inquietante, in cui si erano curvate le sue labbra. Percependo il cambiamento nello schiavo, Shiin cominciò a incalzarlo sempre più e d'improvviso non era più un lento testare le capacità dell'altro.
Ashur aveva afferrato con entrambe le mani l'elsa della katana d'addestramento e aveva iniziato a replicare, colpo su colpo, all'avversario. Non era più il suo padrone: in quel momento era solo un nemico. Agì, iniziando a combattere con una serietà che pareva venata di follia, gli occhi accesi, come braci. Gli anni di addestramento presero il sopravvento e il suo sangue cantò e ribollì, mentre dal tetto della casa un volo di corvi e il loro gracchiare, per un solo istante, attirò la sua attenzione. Il sorriso di Ashur divenne sempre più grande mentre iniziava a incalzare Shiin, il suono delle due spade d'addestramento che si scontravano era sonoro, quasi un rintocco, nel silenzio del cortile.
Il dyku era silenzioso, concentrato, combattevano con una serietà inaspettata. La bravura dell'altro lo colpiva, era ammirevole ed era evidentemente il frutto di un insegnamento iniziato nella più tenera età. Non poteva fare a meno di apprezzare l'eleganza e la fluidità dei movimenti, pur trovandosi a doversi impegnare al massimo delle sue capacità per tenere testa al suo schiavo. Shiin doveva ammettere che era troppo tempo che non duellava con così tanta soddisfazione. Eppure gli occhi di rubino di Ashur erano distanti, freddi e al contempo brucianti, pieni di quel genere di ardore che aveva visto solo poche volte sul campo di battaglia, e solo in chi veniva toccato per un istante dalla dea. Nessuno dei due parlava, il fiato si condensava in spesse nuvolette bianche e la neve pareva attutire anche il suono del loro respiro, alzandosi attorno ai loro piedi come morbida e gelida seta.
Colpo dopo colpo, i due avversari si affrontavano senza emettere un suono, concentrati.
Ashur era aggraziato, abile, e Shiin si rese conto che era anche letale. In quel momento non vedeva in lui il suo padrone, ma solo un avversario e, se avesse avuto tra le mani una lama vera, il dyku avrebbe temuto per la sua vita.
«Fermati.» Ordinò con tutta la sua autorità Shiin, bloccando con un sonoro schiocco il colpo di Ashur, che lo guardò per un istante smarrito al suono della sua voce. Dopo un istante sbatté le palpebre, tornando completamente presente, il respiro accelerato e gli occhi che si posarono in uno sfoggio di ubbidienza verso il suolo.
Shiin si avvicinò e gli prese l'arma senza incontrare resistenza, poi gli posò la mano sul viso, in una breve carezza. «Sei una continua fonte di bellezza, Ashur.» mormorò all'orecchio del suo schiavo, affondando poi la mano nella chioma scura, imprigionandola tra le dita e costringendo a quel modo il giovane ad alzare il capo.
Posò le labbra su quelle del suo servo, sentendo il prepotente desiderio di farlo suo, anche lì, in mezzo alla neve, controllandolo a stento. Gli aveva acceso il desiderio nel sangue, ma non era quello lo scopo di tutto ciò che aveva fatto.
«Chi eri, Ashur?» gli domandò poi, labbra su labbra, in un tono caldo e pieno di lussuria a stento dominata. «So chi sei ora, ma cos'eri prima di essere Ashur del Loto? Chi ti ha messo la spada in mano da bambino?» Ashur non rispose, guardando però verso la finestra dove scorse il viso di Majion.
«Padrone, sono un senza nome, non ho un passato, mi è stato tolto. Non chiedetemi di perdere l'ultimo brandello di onore che posso conservare infrangendo quel tabù, vi supplico.»
«Eri un nobile, vero?» Shiin insistette, posando dopo quella domanda le sue labbra ancora una volta su quelle del ragazzo, forzandole ad aprirsi ed esplorando la sua bocca. La sua lingua danzò, incontrandosi con quella del suo schiavo e, solo a fatica, interruppe il bacio stringendo per un attimo, tra i denti, il labbro inferiore di Ashur. «Dimmi almeno questo e, almeno per ora, mi riterrò soddisfatto.»
Quando Ashur rispose, il mormorio fu a stento udibile, colmo di angoscia. «Sì, io... io lo ero.»
Shiin annuì, abbandonando la presa sulla chioma del giovane e avviandosi al coperto. «Torna dentro, hai risposto a molte domande, che tu te ne renda conto o no. Anche se ora ne ho anche più di prima. Per ora mi ritengo soddisfatto e non torcerò un capello al tuo amico.»
Ashur si morse il labbro e chinò il capo, senza sapere se quello che provava era umiliazione, rabbia o gratitudine.
Seguì Shiin, maledicendosi: non aveva avuto intenzione di combattere con tutta la sua abilità ma, a un certo punto, l'unica cosa che aveva avuto importanza era l'avversario, il loro duello. Non era più il suo padrone, era un nemico e basta. Solo il tono di comando che Shiin aveva usato nell'ordinagli di fermarsi era stato capace di risvegliarlo da quella smania. Era un distacco feroce, bramoso di lotta che non aveva mai provato prima. Il mondo pareva essersi trasformato, tinto di sangue e urla feroci di mille guerrieri, eppure non ne era stato spaventato, ma esaltato.
Si costrinse a chinare ancora di più il capo, prima di parlare.
«Grazie, padrone.»
Ashur si inchinò leggermente, sentendo nuovamente il freddo e rabbrividendo. Shiin si avviò e lui fece i passi che lo separavano dalla stanza comune di quella zona riservata ai concubini. Posando la mano sulla porta sentì chiaramente la voce di Majion: «Cosa è che avevi detto, Tìnqui? Che lui era solo una puttana? Fossi in te terrei quella bocca chiusa e gli occhi ben aperti, mi pare che tu sia un po' troppo rapida a dare giudizi.»
«Su di te non ho certo sbagliato.» La voce di Tìnqui era piccata. Trattenendo un sospiro Ashur fece scorrere il pannello, chiudendolo alle proprie spalle e andando accanto al camino dove era posata la teiera ancora fumante.
«La sai usare la katana!» la voce ammirata di Meliei fece sorridere con una punta di amarezza il ragazzo, che si voltò a guardarlo.
«Così pare.» si limitò a dire, indicando i piatti con il riso. «Ce n'è anche per me?»
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L'ultima moneta
FantasyAshur ha compiuto il peccato peggiore possibile: ha avuto paura. Davanti alla Dea dai mille e nessun nome è fuggito, portando il disonore sulla sua famiglia. Ora ciò che lo aspetta è solo l'esilio, mentre suo padre, il generale delle mille fiere, gl...