Jiaren scivolò nelle ombre della sera con attenzione, tenendo lo sguardo basso. Sperava nessuno facesse caso a lei, scambiandola per una delle serve che accompagnavano i convogli dei cucinieri. Incrociò dei soldati e altri servitori, ma nessuno le badò, l'idea che fosse una sguattera o qualcosa del genere rafforzata dalla sua direzione.
Davanti a lei, rischiarati dai fuochi delle cucine da campo e dal vago chiarore degli astri, i carri erano posizionati in ordine. Sotto di loro vedeva distese le coperte di chi avrebbe riposato alla loro ombra e, tra alcuni, erano stati distesi dei teli per dare una copertura a chi non aveva trovato posto.
Erano tanti, non sapeva dove trovare suo fratello e cominciava a essere inquieta. Poi notò come pochi fossero già occupati e si fece forza. Si avviò tra quelle fila ordinate fin quando non vide un uomo venirle incontro. Aveva una chioma rossa e tratti molto diversi da quelli a cui era abituata. Si scostò, abbassando il capo, ma lui le si fermò davanti, osservandola con un sopracciglio alzato.
«Ashur è di qua, vieni.»
L'uomo si avviò e Jiaren lo fissò spiazzata, la bocca aperta per la sorpresa. «Come...»
«Zitta e tieni la testa bassa.»
Serrando le labbra decise di seguire l'uomo che la accompagnò ai margini del campo dove, sotto uno degli ultimi carri, c'era Ashur.
«Ha la febbre alta, non so se ti riconoscerà, sta delirando.»
«Chi sei? Perché curi mio... lui?»
Majion alzò lo sguardo da Ashur, che gemeva debolmente in preda alla febbre. L'unguento inizialmente leniva il dolore, ma poi nell'accelerare la guarigione e nell'evitare che le ferite si infettassero, spesso causava una febbre alta che durava anche un intero giorno. Era andato a prendere l'acqua fredda del fiume per rinfrescare il ragazzo e farlo bere il più possibile.
«Mi chiamo Majion. Il nobile Fiuren mi ha incaricato di prendermi cura di lui... anche se lo avrei fatto lo stesso.»
Jiaren si avvicinò, osservando il volto sudato di Ashur e si sentì stringere il cuore. «Lo avresti fatto lo stesso? Perché?»
«Sei piena di domande stupide.»
Jiaren lo fissò, alzando il mento con orgoglio. «Bada a come parli!»
«Altrimenti cosa? Spiegherai che sei venuta di nascosto a vedere tuo fratello? Mi farai frustare? Ci hai preso gusto?» L'uomo non riuscì a trattenere la cattiveria. Se ne pentì vedendola abbassare il capo, gli occhi pieni di lacrime.
«Non volevo succedesse questo.» mormorò la ragazza, la voce a stento udibile tanto era sottile.
«Ma è accaduto.» Majion sospirò, posando una pezza fresca sulla fronte di Ashur. «Se non te ne fa una colpa lui, però, non posso certo prendermela io.»
Jiaren alzò gli occhi dal volto di Ashur, portandoli in quelli dell'uomo, sorpresa. «Lui non... non...»
«Non.» Majion si sedette più comodamente, in modo da essere un po' più vicino alla ragazza. «Hai capito bene, non è arrabbiato con te, anzi. Era dispiaciuto che tu avessi visto.»
«Forse era meglio non vedere.»
«Forse. Però hai assistito, anche se non fino in fondo. Ti sei persa le convulsioni causate dall'erba nera, le urla vere.» Facendo una lunga pausa, Majion si sforzò di mettere da parte il rancore che provava per lei. Sapeva esattamente cosa era successo, cosa Jiaren aveva visto. Le voci giravano e lui aveva buone orecchie. «Nelle mie terre si dice che più qualcuno si mostra forte, più è grande la compassione che merita. Ci viene insegnato a non mostrare i nostri sentimenti, non per una mancanza di emozione, ma per mettere davanti a noi stessi l'altro. Non vogliamo che il nostro dolore pesi su altri, che appesantisca il loro fardello. Ashur non avrebbe mai voluto che tu sapessi cosa era diventato, ma non conosci ogni dettaglio e lo hai condannato. Lui ha sempre pensato a te con amore, non hai idea di quanto gli dispiaccia di non poterti essere d'aiuto. È quello il suo più grande dolore, non poterti stare accanto, aiutarti, averti costretto a portare un peso che era suo, un dovere e un compito a cui lui era stato educato e preparato e tu no.»
«Come sai tutto questo? Sei suo amico?»
«All'inizio non gli stavo molto simpatico, poi le cose sono cambiate e posso affermare di essere suo amico.»
Jiaren annuì, prendendo tra le sue la mano di Ashur e stringendola delicatamente. Sentì sotto le dita i calli della spada e non solo. «Lo hai conosciuto alla Casa della Fenice?»
Majion scosse il capo, valutando se dire la verità alla ragazza e in quale misura. Alla fine si strinse nelle spalle, decidendo che era inutile nasconderle aspetti che avrebbero dovuto esserle chiari. Poteva almeno farglieli conoscere in modo un po' più delicato di come aveva affrontato ciò che Ashur era per Shiin.
«Mi era stato affidato dal po'shin del Loto perché gli insegnassi l'arte della seduzione e dell'amore. Immagino che tu sappia cosa sia un bordello.» Jiaren, evitando lo sguardo del cestrix, annuì. «Il Loto è un luogo con una certa buona fama, offre... ottima cucina, ottimi intrattenimenti e riservatezza. Una casa accogliente e pulita... sentimi, sembra stia facendo pubblicità a quel posto! Comunque, quando Ashur è arrivato era completamente in balia dell'oppio e dell'erba nera. Glieli hanno somministrati per tutto il viaggio per tenerlo buono. Il po'shin è un uomo che però non ama l'uso delle droghe e ha fatto in modo che i residui e la nascente dipendenza sparissero, ma ci sono delle conseguenze. Quando è particolarmente stanco, provato, o situazioni simili, l'erba può emergere con i residui che ormai sono parte di lui. Porta a convulsioni dolorose e anche alla perdita di conoscenza. Ashur ha dovuto passare attraverso dolori non da poco, per poi trovarsi debole, solo e sperduto in una città che non aveva mai visto. Quando ha ripreso coscienza di sé mi è stato affidato come servitore e come allievo. Non era felice, te lo assicuro, ma era debole come un bambino e i residui della droga erano ancora forti, bastava davvero poco perché avesse una crisi. Era davvero un bambino viziato, pieno dei vostri precetti di onore e stupidaggini simili.»
«Non sono stupidaggini.» Jiaren l'interruppe. «Sono le leggi che danno la misura dell'onore.»
«Serve a tanto, il vostro onore, quando vi ci nascondete per fingere che il marcio non esista.» Majion sbuffò, scuotendo il capo. «Era proprio così, come te, tutto convinto dei precetti del guerriero. Ha dovuto affogare nel nero dell'anima degli uomini per capire cosa sia il vero onore, la vera lealtà.»
«E quale sarebbe?» Jiaren chiese, assottigliando lo sguardo, cercando di non arrabbiarsi con quell'uomo.
«Questo dovresti averlo capito guardando come vive, ragazza. Piega il capo perché deve, quello che è non lo può negare o ignorare, ma non tradisce chi ama. Pensi che non sapesse cosa gli sarebbe successo quando ti ha rincorso? Ma per lui la famiglia viene prima della sua vita, in quello che può ti starà al fianco. Ma è solo uno schiavo, ora, ricordalo. Compralo da Shiin, se vuoi ridargli una parvenza di vita onorevole.»
Un accenno di sorriso, amaro e triste, si disegnò sul volto della ragazza. «Non so se gli farei un favore. Dovrei trattarlo come l'ultimo degli schiavi, tutti saprebbero chi è in realtà e in molti covano risentimento per l'indegno figlio di Taone. I soldati che credevano in lui, i servitori, tutti danno la colpa della malattia di mio padre a lui, anche della caduta della nostra casata. Avrebbe la peggiore delle vite e sarebbe molto breve.»
A quello Majion non aveva pensato. Jiaren aveva ragione, quel posto sarebbe stato probabilmente in breve tempo la tomba dell'amico. Annuì, portando lo sguardo su Ashur.
Continuava a dormire, la febbre che lo calava in un mondo di confusione e sofferenza. Probabilmente la schiena gli faceva ancora decisamente male, senza contare i dolori causati dalla febbre. Lo vide agitarsi e le palpebre si alzarono lentamente, fissando i volti di Majion e della sorella con aria confusa. Si inumidì le labbra e sussurrò: «Acqua.»
Majion gli portò una mano dietro le spalle, attento a non sfiorare le ferite coperte dalle bende, e lo aiutò ad alzarsi. Il bordo della tazza arrivò alle labbra di Ashur che iniziò a bere avidamente, troppo debilitato anche solo per reggere da solo quel peso esiguo.
«Ora basta, non tutta assieme, un po' per volta.»
Ashur annuì. «Jiaren...?» chiese, confuso, guardando il volto pallido della ragazza, che si avvicinò. «Sono felice.» un accenno di sorriso rafforzò quelle parole e Jiaren protese la mano fino a sfiorare le guance roventi del fratello.
«È colpa mia. Scusa io... io non dovevo reagire così.»
Ashur la guardò, gli occhi erano lucidi di febbre eppure in essi, tra la debolezza e la confusione, c'era una scintilla d'acciaio. «Lo è davvero, Ji?»
La ragazza annuì e Ashur scosse la testa, debolmente. «Non c'è una colpa, non c'è un merito. È successo, io ho scelto di seguirti, tu di scappare. Nessuna colpa.»
Le lacrime presero a scorrere copiose sul viso di Jiaren, mentre si avvicinava a posare un bacio sull'altra guancia del fratello, sussurrandogli all'orecchio parole che Ashur non pensava avrebbe mai più sentito. «Ti voglio bene. Ora ho capito tante cose e io... io... scusami, Ashur.»
La ragazza subito dopo si alzò, sistemandosi meglio la sciarpa sul capo in modo che mettesse in ombra il volto e si allontanò con un cenno di saluto.
«Cosa ti ha detto per lasciarti senza parole?» Majion chiese, aiutando l'altro a stendersi.
«Mi ha chiesto ancora scusa.»
«E?»
Ci volle un po', ma alla fine Ashur, con un piccolo sorriso sulle labbra, rispose. «Che mi vuole bene.»
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L'ultima moneta
FantasyAshur ha compiuto il peccato peggiore possibile: ha avuto paura. Davanti alla Dea dai mille e nessun nome è fuggito, portando il disonore sulla sua famiglia. Ora ciò che lo aspetta è solo l'esilio, mentre suo padre, il generale delle mille fiere, gl...