29 - L'Oracolo

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A quelle parole si voltarono verso l'origine delle stesse, vedendo avanzare da un piccolo sentiero ombreggiato da glicini in fiore una donna, era vestita di rosso e priva di maschera. Il volto non era più giovane, eppure non si poteva definire vecchio.
«Smontate, siate i benvenuti in questo luogo di pace e conoscenza, dove le benedizioni del cielo si manifestano.»
Le tre sacerdotesse mascherate che li avevano accompagnati si inchinarono alla donna, prendendo poi le redini degli animali appena i quattro smontarono, portandoli via.
Nonostante l'aspetto delicato, quasi fragile di quella sacerdotessa, qualcosa fece scorrere un brivido lungo la schiena di Ashur: non avrebbe mai dovuto sottovalutare quella donna, in nessuna circostanza. Lanciando uno sguardo ai suoi compagni di viaggio si rese conto, dai loro sguardi, che avevano avuto simili impressioni a loro volta.
«Grazie delle vostre parole di benvenuto.» Shiin fece un passo avanti, inchinandosi leggermente alla donna. «Siete voi l'Oracolo?»
La donna scosse appena il capo, facendo loro cenno di seguirla. «No, io sono Kèmentari, la guardiana del tempio. Sono la vostra guida.»
Una risata infantile, gioiosa, interruppe la donna che guardò verso degli arbusti in fiore, una macchia di un giallo acceso accanto a un laghetto su cui si innalzava un ponticello di legno. La risata si ripeté, allegra, e un gatto rosso e bianco schizzò fuori correndo verso di loro mentre un uomo comparve, inseguendo il felino. Immediatamente tutti si bloccarono davanti all'aspetto di quell'essere, mentre la sacerdotessa gli si avvicinava, posandogli la mano sul braccio. «Lascia stare il gatto, abbiamo ospiti. Sono qua per te, non vuoi salutarli?»
Il volto bianco, con un lato coperto da minuscole scaglie argentee, si deformò in un sorriso che era sia mostruoso che infantile. Deglutendo, Ashur si trovò a guardare l'essere più strano su cui avesse mai posato gli occhi; gli sembrava l'unione di due corpi distinti. Uno era di un uomo avvenente, anche se pallido, con occhi di un grigio chiarissimo e lineamenti delicati, l'altra metà rispecchiava la prima, ricoperta però di scaglie argentee e la mano, che spuntava dall'ampia manica, era artigliata, simile a quella di un rettile. La chioma candida era sciolta, ricadeva sul volto, e l'iride inumana dalla pupilla verticale brillava come argento al sole.
«Voglio giocare!» La voce era petulante come quella di un bambino pronto a fare i capricci, le mani strette a pugno. «Mi hai detto che potevo giocare!»
«Certo che puoi, ma non essere maleducato; hanno fatto un lungo viaggio per te, non vuoi neanche salutarli?»
Al tono conciliante l'Oracolo strinse gli occhi, scuotendo il capo. «No! Dopo vogliono sapere le cose e vanno via!»
Ashur si trovò a sorridere, inaspettatamente quell'atteggiamento gli ricordò moltissimo i capricci di Jiaren, quando era piccola. Il battibecco tra la sacerdotessa e l'Oracolo proseguì e, improvvisamente, quell'aspetto mostruoso cessò di avere importanza per Ashur: ora vedeva solo un bambino sotto quella pelle.
«Non importa se non vuole salutare... lasciate che giochi, non credo sia un problema, per ora.» La sacerdotessa si voltò verso di lui con uno sguardo che il giovane non riuscì a decifrare. Ashur guardò poi l'Oracolo, sorridendogli. «A me non dà fastidio se giochi e sono sicuro non ne dà neppure a loro,» con un gesto del capo Ashur indico i suoi compagni, che annuirono «il gatto è andato di là, secondo me se vai subito lo ritrovi.»
Un sorriso allegro e birichino si mostrò su quel volto e l'Oracolo annuì, ma, per un solo istante, quegli occhi lo fissarono immensamente tristi, spostandosi da lui a Shiin, soffermandosi su Aderyn, per poi tornare infantili e gioiosi. Lo guardarono allontanarsi di corsa e la guardiana sospirò, guardando con aperta riconoscenza Ashur.
«Grazie per averlo trattato come un bambino e non come un mostro, la vostra gentilezza è stata apprezzata.»
In imbarazzo, il giovane si strinse nelle spalle.
«Quindi lui è l'Oracolo?» La domanda di Shiin aveva un tono incerto. «Credevo, non so... che fosse diverso.»
La donna annuì, indicando con un gesto di continuare a seguirla riprese a camminare. «Il peso della vista concessa dagli dei è troppo per la mente di un mortale, nobile Shiin. Quel fardello che grava l'Oracolo di vita in vita rende l'eterna fanciullezza l'unico rifugio concesso da quel peso. Vedere tutta quella sofferenza, altrimenti, annichilirebbe la sua volontà. In passato, nei tempi antichi quando il popolo del Padre Drago era ancora giovane e la montagna sacra aveva da poco innalzato il suo vertice al cielo, il corpo che ospitava l'anima prescelta non sopravviveva che pochi anni. Le antiche cronache narrano di come questo dono, questa maledizione in realtà, sia stata la punizione per aver voluto squarciare il velo. In quel tempo esso era sottile, all'uomo era vietato scrutare attraverso di esso eppure quell'anima osò, spinta si dice dalla disperazione, accettando la punizione in cambio della salvezza di coloro che amava. Non ci sono giunti i dettagli e, anche quando l'Oracolo è lucido e ricorda ognuna delle sue vite, non ne parla.»
Attraversando quei giardini in cui primavera e estate si incontravano, tra i profumi dei più svariati boccioli, Aderyn scosse il capo, affiancandosi alla donna.
«Crudele destino.» Mormorò, colpito. «Posso capire perché preferisca rimanere bambino.»
«Credo che, più di una scelta, sia una decisione obbligata per poter sopravvivere. L'esperienza della morte non credo sia molto piacevole, avendola attraversata già innumerevoli volte la sua anima non la teme, ma neppure la apprezza. Ogni volta che l'ultimo respiro esce da lui un nuovo corpo lo attende, fino a quando il suo dono non sarà più necessario. La condanna del Padre Drago è stata crudele, ma necessaria a suo modo. Squarciare il velo è una tentazione a cui è difficile resistere e lui ne è il guardiano. Permette qualche scorcio agli spiriti che ne hanno il diritto, ma vieta agli umani di poterlo fare rendendo però possibile ascoltare le sue parole in cambio di un prezzo.»
«Credevo fosse qui per essere un punto di incontro nella guerra tra i demoni e gli dei...»
Alle parole di Shiin, entrando sotto un pergolato e sedendosi su una delle sedie attorno a un tavolo di legno laccato di rosso, la donna sospirò. «Ciò fa parte dei suoi compiti, uno dei motivi che nelle cronache si dice abbiano spinto l'anima dell'oracolo a forzare il velo era una delle prime guerre. Pare che uno dei prescelti fosse la donna che amava e che lui volesse aiutarla, ignorando le regole. Voleva dirle cosa fare per vincere, così da essere certo di non perderla. L'amore era tale che i rischi e i pericoli non lo spaventarono, ma ciò cambiò gli equilibri e, per evitare che il creato giungesse al collasso, lo stesso aiuto andò fornito a coloro che erano stati scelti dalla parte avversa. Ma sedetevi, presto ci serviranno il tè.»
Come evocate dalle sue parole comparvero delle bambine di una decina d'anni, vestite come le sacerdotesse, ma prive di maschera, che silenziosamente e con i visi concentrati servirono a tutti loro la bevanda calda e dall'aroma intenso.
Con la tazza tra le mani, Majion bevve un piccolo sorso. Era rimasto in silenzio, cercando in qualche modo di capire. Si sentiva dispiaciuto per l'Oracolo, ma l'idea che la stessa anima, da migliaia di anni, continuasse a incarnarsi per quell'unico scopo, punita per un atto d'amore, era terrificante. Come si poteva vivere a quel modo? Non si stupiva certo della mente infantile che palesava, provando una grandissima pena per quella persona maledetta dagli dei.
«Come mai il suo aspetto è...» le parole del rosso gli morirono in gola.
«Il dono è strettamente legato alla presenza del Padre Drago, ed essa si manifesta in lui a quel modo. Di incarnazione in incarnazione le caratteristiche fisiche mutate variano, ma è come se in lui vivesse un drago.»
Majion annuì, tenendo gli occhi nel liquido che fumava nella tazza di delicata porcellana.
La sacerdotessa emise un piccolo verso di apprezzamento dopo aver bevuto un lungo sorso di tè, per poi posare la tazza e riprendere a parlare. «Voi siete qua per sapere.»
Ashur annuì. «Mi hanno detto che dovrò chiedere, pagare un prezzo...»
«Sì, ma ognuno di voi dovrà vederlo, non solo tu. Sarete poi voi a decidere se vorrete porre domande, sapendo di dover poi affrontare ciò che una richiesta implica.» La donna si passò una mano sul viso stanco, cercando di celare ciò che provava. Vedeva i volti di quegli uomini, del giovane prescelto di Obacha, tacendo ciò che custodiva nell'anima e che le era vietato rivelare. L'Oracolo, il cui nome era scomparso nelle nebbie del tempo e della memoria, aveva avuto uno sprazzo di coscienza pochi giorni prima e l'aveva trovato gemente e urlante, invocando a fasi alterne la fine del suo tormento, la pietà del Padre Drago. Urlava il suo dolore, la sua rabbia e disperazione, le emozioni che esplodevano da quell'anima tormentata da troppo tempo per averne una chiara stima. L'aveva guardata, piangendo, lacrime di sangue dall'occhio di drago che macchiavano le scaglie d'argento. "Perché?", le aveva chiesto, urlando con voce mostruosa, "Perché sono io a dover, ancora una volta, vedere solo sangue, dolore e tormento? Il futuro riserva mai gioie per qualcuno? Dimmi, Kèmentari, esiste ancora la felicità e la letizia in questo mondo? Esiste ancora il sorriso? Vivo perché non posso morire, ma ciò che vedo è solo oscuro e terrificante, il male è ovunque e solo quello mi è concesso di contemplare".
Non aveva avuto risposte da dargli, non per lunghi attimi. Poi era corsa da lui, abbracciandolo, stringendo a sé quel corpo che univa la morbidezza dell'uomo alla cornea forza di un drago, baciando sulla fronte l'essere che nel suo cuore era un figlio, preso tra le braccia appena nato decadi prima.
"Tu sei la mia gioia, tu sei la mia luce!", aveva detto, disperata e commossa. "Il bene è ovunque, così come gioia e pace, ed è per questo che lottiamo, perché il mondo che nelle tue visioni sei costretto a contemplare non si avveri!"
"Soffrirà. Soffriranno. Vedo l'anima che urla nei supplizi, nel dolore, la carne aprirsi, la memoria svanire. Eppure di lui solo un uomo avrà pietà, solo uno, ed essa non lo potrà fermare..."
La voce dell'uomo del nord, di quello dalla lunga chioma rossa, interruppe i suoi ricordi.
«Quando parleremo con l'Oracolo?»
Lei annuì appena, portando lo sguardo al cielo oltre il pergolato, ammirando il tramonto tra le nubi.
«Domani, dopo che vi sarete riposati e rifocillati. Non siete prigionieri, ma vi chiedo di non uscire dalle stanze che vi saranno assegnate, per il bene del tempio e vostro.» Con quelle parole, da dietro le porte dell'edificio accanto al pergolato, comparve una sacerdotessa mascherata. «Seguite lei, vi porterà ai vostri alloggi. Troverete degli abiti, domani quando incontrerete l'Oracolo indossateli.»
Si alzarono, seguendo lungo i corridoi di legno la sacerdotessa silenziosa. Attraversarono i passaggi esterni di quel complesso insieme di edifici, fino ad arrivare a una casa separata dalle altre, a ridosso del muro che circondava il terreno del tempio. Era di legno, le porte scorrevoli dai pannelli dipinti di fiori viola e azzurri erano aperte.
«I vostri bagagli sono all'interno, la cena vi verrà portata tra poco.» La donna accennò a un inchino e si allontanò.
Lasciarono le scarpe all'esterno, entrando in quella piccola casa piena del profumo delicato di incenso e cera, illuminata da lampade che spandevano una luce delicata e dorata.
«Sei pronto?»
Alla domanda di Aderyn, Ashur si strinse nelle spalle, esplorando la piccola casa. Una stanza con quattro stretti letti, una sala e una piacevole sorpresa: una grande vasca piena di fumante acqua termale era sul retro.
L'Hilm'een l'aveva seguito, osservando a sua volta la costruzione e infine, a disagio sotto lo sguardo dell'altro, Ashur gli rispose.
«Non credo si possa essere pronti.»
«Sei sicuro di volerlo fare? Tu sai che c'è un prezzo...»
Il giovane rimase in silenzio e dando le spalle all'altro si spogliò, sciacquandosi con dell'acqua attinta dalla vasca in un secchio prima di entrarvi. Era grande, si poteva nuotare volendo, ma lui rimase semplicemente in ammollo, ignorando l'altro.
Non era pronto, no, non si poteva mai esserlo per qualcosa del genere, giusto?
Sospirò, guardando l'uomo imitarlo ed entrare a sua volta.
«Quando scelsi di diventare hilm'een sapevo che c'era un prezzo, tutto lo ha, ma pensavo di essere pronto a pagarlo.» Aderyn si fermò, osservando gli occhi scarlatti del giovane, immoti, pieni di pensieri celati. «Sapevo che sarei vissuto più di quelli che amavo, ma volevo questa vita. Volevo... desideravo, questo. Per tante ragioni, che allora mi sembravano migliori di quelle che dovevano spingermi a rimanere solo un uomo. Pensavo tante cose, ero quasi orgoglioso perché rinunciando a essere ciò che ero nato, facevo in modo di aiutare tutti.»
«Non capisco.» Ashur inclinò il capo, osservando l'uomo accanto a lui. Era diverso, strano, almeno sotto certi aspetti. Aveva molte cicatrici, il corpo era sottile e flessuoso, agile, ma lui sapeva quanto fosse anche forte.
«Non ho potuto condividere gli anni di chi amavo; pensavo di poterlo fare, ma il futuro che mi aspettava non era quello. Nut mi scelse, cambiando tutto, sconvolgendo ogni mio progetto... è un rimpianto che non cesserò mai di provare, un rimorso. Non poter dire addio, non aver vissuto assieme i loro anni, mentre io proseguivo, immutato dal tempo, elogiato, solo.» Lo sguardo di Aderyn sembrò afferrare l'anima di Ashur, ridotto al silenzio. «So che non puoi rifiutare, in verità so che quando si è scelti non puoi dire davvero no... non se hai in te della luce, dell'onore, il senso del dovere e la concezione di un bene più grande di quello personale. Tu hai sofferto, Ashur del Leone, prescelto di Obacha, sangue di Corvo... tu sai. Eppure prosegui. Puoi ancora, nonostante tutto, dare le spalle a tutto questo. Pensaci.»
«E chi farà la mia parte? Tu?» Il tono del giovane era triste, eppure non si percepiva debolezza in esso. «Ho accettato, Aderyn... ma non per i motivi che hai detto, ma per altri, molto più egoistici. Proteggere chi amo, tutto lì. Non voglio che chi mi ha aiutato soffra quando posso fare in modo che viva in un mondo migliore.»
Il sorriso dell'hilm'een era misterioso, sul volto avvenente. «Fingerò che sia tutto lì, visto che tu stesso sei il primo a raccontarti queste storie. Tu però conosci la verità.»
Il giovane non rispose, limitandosi ad affondare la testa sott'acqua, osservando dalle grandi finestre il cielo scuro e coperto di nubi sempre più fitte. Fuori dai confini del tempio nevicava, una tormenta probabilmente, eppure lì il tepore di una notte primaverile scaldava l'aria, donando loro il frinire di alcuni grilli e il suono dell'acqua che gorgogliava nei corsi studiati ad arte, che si arrotolavano come spire di un serpente tra gli edifici. Solcati qua e là da arcuati ponticelli di legno si aprivano in laghetti e scivolavano in delicate cascatelle tra le rocce e piccoli salti, in una specie di melodico sussurro liquido.
Alla fine arrivò un pasto abbondante e raffinato, ricco di pesce e di carne, con verdure fresche e riso che profumava come quelli delle più pregiate qualità. Mangiarono parlando di frivolezze, scambiandosi alcuni pareri sul luogo e la sua magia, mentre Ashur raccontava di aver visto spiriti timidi e dall'aspetto benevolo, nascosti dietro le ombre delle piante o degli edifici. Ognuno di loro cercava di evitare il pensiero dell'Oracolo, del suo aspetto e la sua storia.

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