12.

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Incredibilmente fasullo. Era così che poteva descrivere tutto ciò. Credeva che non esistesse niente di peggio. Era ridicolo, ma il piano era quello. Era strano, se non tutto assolutamente inappropriato. Cercò di concentrarsi, eliminando qualsiasi forma di distrazione. Ripassò ancora una volta. Ogni sequenza aveva una caratteristica propria. Fece un passo in avanti, pentendosi sul più bello. Le telecamere fecero il resto. Venne catapultato nel bosco, completamente sperduto. Davanti a lui solo il nulla, proprio come nei suoi incubi. Era la prima scena che si ritrovava a girare da solo. Doveva procurare tensione per far rimanere il pubblico a bocca aperta.

Le dita presero ad accarezzare la rigida parete legnosa, lo sguardo perso in chissà quale parte del mondo. Contò i respiri, lo schema che aveva creato in quei giorni prese vita nella sua testa. Era un maniaco dell'ordine. Tutto ciò che faceva doveva essere prima studiato per poi metterlo in atto. Indietreggiò di poco, mettendo a fuoco la vastità dell'albero. Avrebbe avuto più o meno la bellezza di cent'anni. Là sopra, tra i grovigli dei rami secchi, vi trovò una ragazza esile, munita di capelli biondo fragola. Come previsto. Tremava. Questo gli provocò solo rammarico. Strinse i denti, visualizzando ancora l'avvenimento che l'aveva coinvolto pochi giorni prima. Ma non era finita lì. Doveva andare più in fondo. Doveva farlo.

La luce del sole venne nascosta dalle foglie degli altri alberi circostanti. Questo le conferì più vitalità. Sembrava come se Holland appartenesse a quello spazio dimenticato da Dio. Era incantevole. Come la natura accoglieva la sua creatrice, adesso Holland poteva sentirsi la padrona del mondo.

«Non dovevi cercarmi.»

Solo in quel momento si accorse di quanto tempo era passato, la bocca aperta per lo spettacolo e la testa andata a puttane. Doveva essere sempre così? Era come se il mondo aspettasse solo questo. Come se fossero gli unici esseri umani rimasti. Dylan corrugò le sopracciglia, in segno di disappunto.

«Sono l'unico.»

La vide in difficoltà, spaventata. O era diventata davvero brava negli ultimi tempi, oppure qualcosa in lei non andava. Ma aveva smesso di sottovalutarla. Ricordava bene, come se fosse ieri, le prime scene che registrarono insieme. Un vero manicomio. A volte arrivava in ritardo, scatenando la furia di Jeff e colleghi, o a volte, nei casi più gravi Holland abbandonava la postazione perchè non riusciva a esibirsi rientrando nei suoi standard quotidiani. Doveva essere tutto impeccabile. Ma la ragazzina forte e testarda di prima non esisteva più. Ora, al suo posto, c'era solo una giovane donna indipendente e pronta ad affrontare il mondo. Piena di sogni e ambizioni. Perchè lei era un diamante: troppo impulsiva e troppo, troppo fragile.

Continuò a parlarle, come se fosse l'azione più normale di sempre, come respirare.«Vieni da me, ti sto aspettando.»allargò le braccia, alludendo alla speranza. Nei suoi occhi la perdizione. Strinse le mani su i rami dove vi era aggrappata saldamente. Forse erano pochi metri a separarli, ma per Dylan sembravano anni luce. Strinse i denti, cercando di immaginare l'esito finale. Holland lo guardò dal basso, domandandosi cosa gli passava nella mente, la bocca storta per lo sforzo in cui si stava immergendo. Prese un lungo respiro, il cuore non poteva sopportare quel simile accanimento. La verità era che non sapeva come si sentiva. Dopo quello che Dylan aveva fatto per lei, era troppo difficile ragionarci su. Era inutile avere tutte le carte in tavola se non si sa come usarle. Il destino non poteva ridere di più. Disprezzava se stessa. Perse lo sguardo nel vuoto, abbandonandosi nella caducità.

«Salta.»

Era pazzo. Ma lei lo sapeva. Guardò in basso, sorprendendosi di quanto fosse alto il suo posto segreto. Per un attimo esitò. I cameramen inquadrarono lei, il tempo sospeso su un filo sottile, Dylan in attesa. Come se stesse aspettando il passaggio di una vita. Sarebbe stata in grado di farlo?Dubitò seriamente se lasciarsi andare. Ai suoi occhi, sembrava impossibile.

«Perchè sei qui?»deglutì osservando ancora la sua figura sotto di lei.

Ma Crystal non avrebbe reagito così. Avrebbe lottato con le unghie e con i denti per sconfiggere le proprie paure. Aveva sempre desiderato essere come lei. Non si era mai sminuita tanto in vita sua. E quella forse era l'occasione giusta. Il petto le faceva male, non ce l'avrebbe mai fatta. La banshee dentro di lei non la stava aiutando affatto. Stupida, stupida, stupida. Il vento le mosse i capelli, un particolare che non sfuggì di certo agli occhi attenti di Dylan. Si posizionò verso la sua traiettoria, in modo che capisse quanto preoccupato fosse.«Ti prendo io.»

Non sapeva se ce l'avrebbe fatta. La negatività crebbe in lei minuto dopo minuto. Opprimente. Stava rovinando tutto. Per colpa sua stava mettendo in gioco la sua stessa carriera. Non riusciva ad accettarlo. E sopratutto doveva dimostrargli che niente e nessuno poteva competere con lei.

Si sporse in avanti, valutando la distanza che li divideva.«Non ce la farò mai.»

«Ce la farai.»

Neanche il tempo di finire, che Dylan fu già pronto. La stava aspettando. Stava aspettando solo lei. Solo lei. Holland non aveva più dubbi, chiuse gli occhi e con un unica e irripetibile mossa, saltò. Durò tutto un secondo. Un secondo troppo lungo, a parer suo. Le soffici braccia di Dylan l'accolsero in tempo, come aveva predetto. Non si sarebbe mai sbagliato. Poi il rumore di un ciak arrestò il resto. E tutto si mosse di nuovo. Effettivamente passò parecchio tempo, perché Holland non se ne accorse, ma stava talmente bene in quelle braccia che separarsene sarebbe stata una vera tortura. Dylan non si mosse, troppo preso da lei. Il fruscio degli alberi accompagnò quel momento sublime. Le mani di lui ferme sulla sua schiena, gli occhi incastrati gli uni negli altri.

Poi Dylan si avvicinò al suo orecchio, furtivo.«Te l'avevo detto.»

Il solito calcolatore. L'avrebbe salvata sempre. Come Stiles era abituato a salvare la sua Lydia.

UNTHINKABLE ― o'brodenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora