18.

590 47 6
                                    

Stabilire con quale precisione marcò la linea non fu cosa da poco. Ma cercò di fare del suo meglio. Anzi, adottò proprio quella tecnica per definire il tutto. Per sua sfortuna non passò la notte tranquilla; i pensieri concentrati su un unico fattore comune. Questa volta non lasciò perdere. Quegli occhi color nocciola erano sempre più ricorrenti nei suoi sogni. Quella specie di maledizione sembrava non lasciarle via di fuga. Come un fiume in piena travolge ogni cosa al suo passaggio. Aspro, persuasivo, incalzante. Non badando minimamente alla calma sottostante, la rossa si avviò spedita per il campo di lacrosse respirando a pieno l'aria gelida e piena di ricordi che il vasto campo verde le regalava. Sentiva chiaramente ogni battito che quel posto aveva gelosamente conservato per lei.

Con un insolito senso d'oppressione, si affrettò a lasciarsi quel posto alle spalle. Poi un lampo invase la sua testa: più tardi avrebbe chiamato Crystal per farsi raccontare i dettagli più piccanti del suo primo giorno di lavoro. Se lo meritava. Osservò distrattamente il suo orologio posto al polso sinistro. 5:02. Nonostante avesse fatto le ore piccole, non si sentiva per niente stanca. Un fatto decisamente anormale, dato che praticamente adorava restare a letto tutto il giorno. Ogni giorno. Aprì piano la porta della scuola, ma non comprese fino in fondo il perché di quell'azione così prudente. Non c'era traccia di nessuno. I fari spenti dalla sera prima, per un momento si sorprese di ciò. Ma non poteva essere altrimenti. Fece un passo alla volta, temeva anche come il più piccolo passo potesse scatenare un rumore abbastanza forte da svegliare tutto lo staff. Era l'ultima cosa che voleva al momento.

«Anche tu mattiniera.»

Trasalì all'istante, il respiro mozzato in gola. Lo sguardo corse dietro alla sua spalle, esattamente dove proveniva la voce. La paura viva più che mai. Captò chiaramente il suo cuore fermarsi per un millesimo di secondo. Ma si riprese quasi del tutto quando nell'ombra apparse la fonte dei suoi guai. Il sangue fluì meno freneticamente di prima, ora più rilassato.

«Mi hai spaventata.»lo disse urlando, ma ovviamente era troppo furiosa per accorgersene in tempo.

Ma questa volta non si sarebbe data per vinta. Ma cosa più importante, come aveva fatto a trovarla? Non avrebbe mai smesso di sorprenderla. Doveva rassegnarsi. Dylan piegò le labbra all'insù, formando le solite fossette.«Perdonami, non volevo.»

Era inutile arrabbiarsi. Sarebbe stato un vero fallimento. Non riusciva ad avercela con lui. Holland aveva smesso definitivamente di farlo. Sospirò, rassegnata. Non sarebbe mai cambiato. Ma in questo caso l'avrebbe preferito a mille altri casi. Scosse la testa, in modo repentino. Cercando di trattenere una risata. Non era proprio il momento.«Ti perdono.»incrociò le braccia sotto al seno, assumendo una postura indecifrabile.

Ma Dylan non ne fu convinto. Perciò verificò di persona il suo stato. Holland non fu in grado di resistergli. Infatti sembrò essersi tramutata in una statua. Il suo sguardo correva al suo, in un modo assai frenetico. Sembrava in attesa. Ora solo pochi centimetri li separavano, e Dylan non fu in grado di descrivere a parole la bellezza struggente di quell'essere celestiale che aveva davanti agli occhi. Prese delicatamente tra le dita una ciocca ramata, testandone lo spessore e aguzzando l'olfatto per accogliere il suo dolce profumo.

Holland sembrò interdetta, indecisa sul da farsi.«Cosa fai?»

Era tutto troppo nuovo per lei. Semplicemente troppo. Sembrava che il mondo ce l'avesse con lei. Giurò vendetta contro di esso se fosse stato ancora opera della sua immaginazione. Ma la sua pelle stava davvero fremendo sotto al suo tocco, le guance violacee. Non poteva essere irreale. Non poteva. Sarebbe andato contro natura. Notò gli occhi di Dylan saettare da una parte all'altra, in guardia. Poi tornò a concentrarsi su di lei, in completa devozione. Dimenticando dove si trovassero. Rifiutare gli inviti del diavolo in persona avrebbe costituito l'avverarsi di un peccato più grande del non accettarlo. Era evidente come il sole quanto Holland fosse diventata dipendente. E ogni volta avrebbe aumentato le dosi, se ce ne fosse stato il bisogno. Non badò nemmeno alla differenza d'età. Non ci badò affatto.

«Non hai messo il rossetto oggi.»sviò il discorso, attorcigliando il dito delicatamente intorno a una ciocca.

Indugiò a lungo.«Ehm no.»si ritrovò a confermare la sua tesi, anche se la risposta era palese.

A giudicare dal suo sguardo famelico, non ci aveva messo molto per arrivarci. Dylan respirò piano, tentando di giocarsi le ultime carte al meglio. Quello sguardo pronto. Non preannunciava niente di buono. E Holland si preparò al peggio.

«Benissimo.»

Non ebbe nemmeno il tempo di ribattere, poiché la spinse con impeto contro il freddo metallico degli armadietti. Il fiato corto, il corpo intrappolato da quello di lui. Ogni via di fuga smontata sul nascere. Solo da quell'angolazione Holland si rese conto di quanto fosse minuta in suo confronto. Si sentiva così piccola. Una sensazione confortante. Senza nessun preavviso e senza nessun segno, Dylan rase al suolo il campo di battaglia. Con un'unica mossa le afferrò per il retro delle cosce e la sollevò da terra, portando i visi alla stessa altezza. Holland portò istintivamente le gambe a legarsi al suo bacino robusto, le braccia incastrate dietro al collo. Le labbra già serrate le une sulle altre, questa volta, mosse da qualcosa di disperato e profondo.

Non si sarebbe mai abituata a così tante emozioni. Baciare Dylan ogni volta era come trovarsi di nuovo, inevitabilmente alla prima volta. Fuori da quella discoteca. Sentiva di esserlo ogni volta che quegli occhi insani si posavano su di lei. E Holland poteva soltanto arrendersi. Arrendersi e accettare le conseguenze. Perché ad ogni scelta corrispondeva un prezzo. Questo lo sapeva benissimo. Ma non ci badò affatto. Ora non faceva altro che pensare a quelle mani sulla sua pelle. Mille brividi invasero la sua spina dorsale, trasportandola in un mondo lontano. Nascosto da occhi indiscreti. Com'era giusto che fosse. Un nuovo fuoco l'avvolse, la sua bocca aveva sete. Dylan lo notò presto, troppo impegnato a venerare quell'angelo del peccato. Holland non lo credeva possibile. Faceva ancora fatica ad accettarlo. Ed ogni volta era più sconvolta della volta precedente. Respirò a fatica. Gli arti bloccati da quel calore troppo forte. La foga di quelle bocche non avevano doppi fini. Ormai incapaci di fermarsi.

A un certo punto la rossa prese a mordicchiargli teneramente il labbro inferiore, provocando un suono gutturale da parte di lui. Musica per le sue orecchie. Sorrise, soddisfatta. Provocargli piacere era di certo il suo hobby preferito. Non si sarebbe mai stancata di farlo. Piano piano avrebbe scoperto ogni suo punto debole, giocando con esso.

«Così peggiorerai le cose.»sussurrò Dylan, una volta staccatosi dal suo viso.

«Era proprio a quello a cui miravo.»

Allontanarsi da lui le faceva uno strano effetto. Non era abituata. Non in quelle circostanze.

Voleva di più. Rise per i suoi tentativi d'intimidirla. Fiato sprecato. Non aveva paura di lui, bensì del potere che riusciva ad esercitare su di lei. Su quello era terrorizzata. Ma per la millesima volta i suoi pensieri vennero interrotti. Con ogni mezzo. E il suo mezzo sorriso sexy non faceva altro che complicarle la vita. E, senza alcuna difesa, si ritrovò ancora a perdersi in lui. Non poteva credere che tutto quello stesse capitando davvero. Sbatté gli occhi, disorientata. Il cuore che galoppava al suo seguito per cercare di accettarlo. Senza rendersene conto, si ritrovò a sorridere sulle sue labbra morbide e calde. Il resto poteva aspettare. Anzi, non c'era niente d'aspettare. Tutto quello che aveva sempre desiderato l'aveva sempre avuto.

UNTHINKABLE ― o'brodenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora