38.

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Holland🌹





Quella stessa sera, quando ero tornata prima a casa, ed avevo subito disattivato la sveglia. Dovevo trovare una soluzione, non avevo mai avuto la testa così piena di pensieri come quella volta. Chiusi gli occhi, imprecando mentalmente per aver acconsentito a quella uscita. Non era colpa di Arden, ma mia. Addossarle colpe di cui lei non faceva parte sarebbe stato da ipocriti. Una volta essermi disfatta delle scarpe scomode, mi buttai a peso molto sul divano, portandomi vicina la famosa coperta miracolosa. Di raggiungere la camera da letto non se ne parlava, ero troppo spossata per compiere un simile sforzo. In poco tempo – senza che me ne accorgessi – caddi in un sonno profondo, privo di qualsiasi visione leggiadra. Il giorno dopo un senso di responsabilità mi costrinse a cambiarmi e prendere il telefono, prima che potessi mandare tutto all'aria. Composi il numero di Cindy, la mia manager di fiducia. Quando portai l'oggetto freddo alla guancia, sperai che non facesse troppe domande, altrimenti mi sarei persa di nuovo. Gli attimi che seguirono prima che accettasse la chiamata furono estenuanti.

«Pronto, Holland.»

«Ehi, ciao»la salutai, sul vago, cercando anche di non usare un tono grave«potresti farmi un favore?»

Se volevo fare chiarezza, dovevo munirmi di quel poco coraggio che avevo. Dylan sarebbe tornato la sera, sul tardi. Avevo cercato con la forza del pensiero di fermare il tempo, o almeno di rallentarlo. Ma quando il rumore delle chiavi venne riprodotto per tutto l'appartamento, il cuore si fermò. Quella consapevolezza mi fece venire la pelle d'oca. Mai mi ero ritrovata in una situazione simile. A volte pensavo che Dylan meritasse di meglio. Balzai in piedi, sistemandomi frettolosamente i capelli, accertandomi di essere presentabile. Tante domande mi frullavano per la testa, ma solo una mi tormentò per molto: provava gli stessi sentimenti per me, o era cambiato qualcosa? A volte mi davo della stupida da sola. Solo io potevo farmi venire questi dubbi quando il proprio ragazzo stava facendo il suo ingresso con un enorme borsone coricato sulla spalla. I capelli indomabili a contornargli il viso, le labbra pressate in una linea dura a causa dello sforzo. Sorrisi talmente tanto da non ricordare più quand'era stata l'ultima volta. Nonostante ciò, mi era mancato da morire. Finalmente alzò lo sguardo su di me, ricambiando quel gesto semplicissimo con la stessa intensità.

«Sei qui.»fu tutto ciò che riuscii a dire. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma il suo corpo aveva altro in mente. Vidi la sua espressione cambiare in un lampo.

Ora aveva un tono serio, come quando il predatore trova la sua preda indifesa. Buttò in malo modo il borsone a terra e a grandi passi mi fu davanti. Alzai una mano d'istinto, sulla difensiva. Pochi secondi dopo forzò le labbra sulle mie, in un bacio rude ma comunque pieno di passione. Gli circondai i fianchi con le gambe, saltandogli addosso per aggrapparmi a lui e ricambiare il bacio consentendogli di avere l'accesso con la lingua nella mia bocca. Il contatto m'infuocò le viscere, come sempre quando lui si trovava a meno di un metro lontano da me. Dylan sciolse il contatto solo per riprendere l'aria, nel frattempo mi rivolse sguardi languidi.

«Come fai ad essere così leggera?»

Passai le dita tra i suoi folti capelli castani all'apparenza comuni. Ma per me non lo erano affatto. Come pensavo non avevano perso la propria morbidezza. Dopo aver giocato per un po' con il suo labbro, mi coricò sul tavolo lì vicino. Ora la mia altezza era quasi pari alla sua e i miei occhi lo stavano ammirando, recuperando il poco tempo che avevano perduto nel cercarsi. Gli lasciai piccoli baci sul mento, provocandogli una risata diversa dalle altre. Più genuina. Tentò di sfuggire alla mia presa (soffriva molto il solletico), ma io non glielo lasciai fare. Prima che compisse la sua fuga, incastrai le mani sul suo collo liscio.

Ridemmo ancora, spensierati. Come non lo eravamo mai stati. Ad un tratto però, il silenzio ci sorpassò, munendosi di armi letali. Dylan sapeva che non ero brava a dire le bugie. Infatti stava per dire qualcosa che mi avrebbe scombussolato. Appoggiò la mani ai lati del tavolo, in modo da piegare i gomiti per avere una vista migliore.«Che succede?»inclinò la testa, cercando di essere delicato.

«Penso...»

Le sue mani tornarono a scorrere su di me, pronte per confortarmi. Si trattava di un gesto automatico: ignorava il motivo del mio turbamento, ma nonostante questo era pronto per consolarmi in ogni caso.

Tutta quell'apprensione mi faceva venire voglia di piangere. I suoi teneri occhi nocciola mi scrutarono, cercando di capire. Abbassai il capo, non sapendo da dove partire. Cosa avrebbe fatto un'altra al mio posto?

«Ehi, lo sai che puoi dirmi tutto.»mi sussurrò lui piano, temendo una rottura imminente.

«Non so come la prenderai.»

A quel punto il suo viso divenne una maschera di dubbio, completamente in balia delle mie parole prive di senso.

«Anch'io devo dirti qualcosa.»dichiarò tutto d'un fiato, sbrigativo.«Solo, possiamo farlo dopo?»

Corse in cucina, sparendo dalla mia visuale. Proprio in quel frangente ne approfittai per sistemare il borsone in camera. Una volta buttato sul baule ai piedi del letto, iniziai a svuotarlo, contando mentalmente quali capi dovessero andare direttamente in lavatrice. In fatto di ordine, nessuno mi batteva. Non potevo dire lo stesso di Dylan. Quando avrebbe imparato a piegare un jeans per bene, sarebbe scoppiata l'apocalisse. Scossi il capo, ridendo tra me e me. Una volta aver preso l'ultima maglietta, un solo oggetto riempii il mio campo visivo. In realtà era abbastanza insolito che una cosa simile si trovasse lì. Misi tutto il resto da parte, concentrandomi sul piccolo cofanetto rosso cremisi, ora stretto tra le mie mani. Avevo quasi paura ad aprirlo, ma la curiosità era stata da sempre il mio peggior nemico.

«Piccola, hai visto il mio dopo barba?»

Il suono delle sue parole mi appariva lontano. Ero chiusa in una bolla inespugnabile. Avevo la pelle d'oca sulle braccia, e fuori l'aria era più che primaverile. Si trattava di un brivido, ma uno di quelli autentici. Avevo perso l'uso della parola, e i miei battiti avevano velocizzato il suo andamento per colpa di un piccolo anello dal diamante più bello che avessi mai visto.

UNTHINKABLE ― o'brodenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora