《Your reason to be》

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POV Ethan.
Sento le lacrime sfiorarmi il viso mentre cerco di tirarla fuori dalla macchina. L'auto è del tutto capovolta e quasi non riesco ad aprire la portiera.
Non ce la faccio a smettere di tremare e non va bene.
Non posso esserle di aiuto se non ho il controllo,quindi cerco di respirare il più normale possibile.
Ma quando la vedo muoversi debolmente il mio cuore inizia a battere all'impazzata.

"Jennifer! Mi senti?"chiedo in preda al panico.
"Ethan..."mormora cercando di tirarsi su in qualche modo.
"Dammi la mano,Jenn...cerca di non fare movimenti bruschi"le dico provando a rimanere più calmo possibile,almeno fuori. Dentro sto morendo.
Prendo la sua piccola mano nella mia e adesso che lei si muove un poco riesco a farla uscire dal finestrino in frantumi.
Appena sento i suoi lamenti di dolore vedo tutte le ferite sulle sue braccia e sulle gambe.
Frammenti di vetro fra i capelli e il viso arrossato e tagliato in fronte.
"Cosa...dove eri?"mi chiede premendosi una mano sulla testa. Vorrei urlarle contro.
Come diamine le viene in testa di preoccuparsi di me quando lei ha appena rischiato la vita.

"Ti porto in ospedale"le dico ignorando la sua domanda e le sue lamentele.

"Non vengo da nessuna parte! Ora mi dici dove eri!"scatta lei allontanandomi da lei barcollando quando le mie braccia la lasciano.
Sento che potrei impazzire in questo momento, scoppiare a piangere davanti a lei. Inginocchiarmi e implorarla di perdonarmi e di lasciarmi portarla dove potranno curarla.

"Jennifer! Non c'è tempo,hai bisogno di aiuto!"impreco alzando la voce.
Com'è possibile che nessuno sia passato da questa strada e abbia visto l'incidente per poi chiamare l'ambulanza.

"Non ho bisogno del tuo aiuto..."parla senza guardarmi in faccia mentre cerca di camminare senza cadere.
"Jenn...".

"NO! Ethan! Non sai...non sai come mi sono sentita! Dio,ti odio!"urla prima di inciampare nei suoi stessi piedi.
Fortunatamente sono abbastanza vicino da prenderla prima che cada a terra.
La vedo fra le mie braccia svenuta.
Del sangue che le scorre sul viso.
Non aspetto oltre.
La carico in macchina e guido il più velocemente verso l'ospedale.
Ho il fiato corto per la paura e la preoccupazione.
Non è possibile che sia già la seconda volta che sto portando Jennifer in un ospedale.
Questa volta però è diverso.
Primo perché probabilmente avrà riportato ferite più gravi dell'altra volta.
Secondo,sono io la causa del suo incidente.
A pensarci mi viene una forte tentazione di andare contro un camion,forse così non la metterò più in pericolo.
L'unica cosa che mi ferma è avere Jennifer in macchina.
Ora devo solo pensare a portarla all'ospedale.
Salto tutti i semafori,tagliando la strada a molte macchine.
Ogni tanto controllo il battito della ragazza accanto me.
È debole.
Come il suo respiro.
Tiro un urlo di frustrazione quando finalmente vedo l'insegna dell'ospedale.
Non ho idea di cosa dice il protocollo,e non mi interessa nemmeno.
Parcheggio la macchina davanti all'entrata del pronto soccorso e entro di corsa con Jennifer in braccio.
"Qualcuno mi aiuti!"urlo in mezzo alla folla.
Molte persone si girano verso di me,ma nessuno è un dottore o un'infermiera.
"Cazzo! Qualcuno la aiuti!"urlo ancora più forte.
Finalmente un ragazzo probabilmente poco più grande di me va a chiamare qualcuno.
La gente attorno a me cerca di aiutarmi a reggere Jennifer.
Sono terrorizzato e le braccia mi tremano per la fatica e la paura.
Sto per cadere a terra per la stanchezza quando vedo un camice.
Mi sforzo di andare in avanti e seguo quel dottore fino ad una barella.
"Cos'è successo?"mi chiede subito controllando il battito cardiaco.
Non riesco quasi a respirare a vederla così.
Da sdraiata posso vedere tutte le ferite e il sangue di cui e coperta.
"È capottata con la macchina...pioveva e...probabilmente ha fatto una manovra sbagliata"dico cercando di formulare frasi di senso compiuto.
"Lei era con lei nell'auto?".
"No! Ma...pensi a lei! Cazzo! La aiuti!"urlo perdendo il controllo.
"Si calmi! Signore...lei l'ha trovata sulla strada?".
Mi calmo un po' quando vedo che altro personale si sta radunando vicino a Jennifer.
Ora una dottoressa le sta controllando gli occhi.
"Non risponde alle stimolazioni"sento da lontano.
"Jennifer!"esclamo quando vedo che la stanno portando via.
Cerco di seguirli ma due uomini insieme al dottore che mi stava parlando mi fermano e mi portano in sala d'attesa.
"Risponda alla domanda,signore;dobbiamo sapere i dettagli per curarla".
Cosa diamine dovete sapere per salvarle la vita!?
"Io...si,l'ho trovata in strada nella macchina....era capottata...l'ho tirata fuori,era cosciente prima...poi è svenuta di colpo"cerco di spiegare.
"Sapete il nome?"mi chiede.
"Ovvio! Cazzo lei è la mia ragazza!"scatto quando realizzo totalmente che la ragazza che amo probabilmente sarà ora in sala operatoria.
"Come ti chiami ragazzo?".
Inspiro profondamente mentre uno degli infermieri mi fa sedere.
"Ethan Saint...lei è Jennifer Ashton"dico tenendo gli occhi chiusi.
"Ethan,senti...non puoi fare niente per lei ora,okay?".
A quelle parole sento di nuovo il dolore all'addome.
Quell'uomo mi ha appena sparato di nuovo.
"Ci pensano i medici ora ad aiutarla...puoi contattare la sua famiglia?".
È questo il paradosso.
Sono io la sua unica famiglia.
"I suoi genitori sono morti...e non ha altri parenti vicino"dico con voce sommessa.
"Dovrebbe riempire questo modulo,Ethan...con tutti i dati possibili della signorina Ashton"mi parla in modo calmo e controllato.
Annuisco prendendo la cartella che mi sta porgendo e mettendomi seduto di nuovo.
Vedo che fa per andarsene e quindi scatto in piedi e lo fermo per un braccio.
"Se la caverà?"chiedo con un filo di voce. Sono fuori di me.
La mia voce trema così come le mie gambe.
Ho la gola secca e gli occhi che mi bruciano.
I suoi occhi guardando la mia mano e poi il mio volto.
Perdo dieci anni di vita in quell'attesa snervante.
"La sua ragazza è in ottime mani,signor Ethan"mi dice mettendomi una mano sulla spalla. Non aggiunge altro e si gira per poi sparire tra la gente.
Mi lascio cadere sulla poltrona dietro di me.
Porto le mani fra i capelli e li tiro mentre stringo i denti e chiudo gli occhi.
Ho bisogno di estraniarmi.
Non sentire nulla,chiudere fuori tutto. Ma come faccio? Non ho mai saputo come fare,ecco perché mi drogavo. Era l'unica cosa che mi aiutava a non sentire il costante senso di colpa che cresceva ogni giorno nel mio petto.
Prima di lei,non avrei avuto difficoltà.
Ogni dolore,ogni problma riuscivo a tenerlo a distanza.
Ora,la breccia creata da Jennifer fa entrare tutto.
Quando ero io a rischiare la vita in ospedale non mi interessava.
Potevo anche morire,sapevo che lei era al sicuro,che l'avevo salvata.
Ma adesso,anche solo il pensiero di perderla,di non poter vedere il suo viso,il suo sorriso mi fa uscire di senno.
Non poter più sentire il suo respiro sulla mia pelle o vedere i suoi occhi seguire i disegni sulla mia pelle.
E inoltre sarei io la causa del suo incidente.
Forse non legalmente,ma io mi sento l'unico responsabile.
Sarei dovuto rimanere con lei.
Chiederle scusa,e dirle il motivo di tutta la mia rabbia improvvisa.
E invece sono scappato,come il codardo che sono.
La mia attenzione viene catturata da un altro ragazzo davanti a me.
È nella mia stessa situazione.
Lo vedo tenere stretto in pugno una collanina con una croce appesa in fondo.
Gli occhi rossi e gonfi mentre si guarda nervosamente intorno.
"Tu sei quello che è entrato con una ragazza in braccio?"mi chiede quando incrocia il mio sguardo che è fisso su di lui.
Non riesco a staccargli gli occhi di dosso.
Forse perché in lui vedo la mia stessa disperazione.
Annuisco lentamente e lui so siede accanto a me.
Non so di cosa potremmo parlare a parte di dolore e agitazione.
"Anche la mia ragazza è in sala operatoria ora..."parla con voce rotta.
I capelli spettinati sono dritti e ora che lo vedo meglio direi che ha pochi anni in più di me.
"È incinta...di due mesi".
A quelle parole mi sento sprofondare ancora di più.
"Come fai a dire che è la mia ragazza?"gli chiedo cercando di cambiare argomento vedendolo ancora più agitato a pensare al bambino.
"Si vede subito...da come la tenevi d'occhio anche quando te l'hanno tolta dalle braccia e da come hai chiesto aiuto".
È talmente palese che Jennifer è praticamente la mia vita?
"Cosa è successo?"mi chiede.
Probabilmente sta cercando di distrarsi. Anche se a me non va di ripensare all'incidente tanto quanto a lui.
"Sono andato in un bar a ubriacarmi...lei stava venendo a cercarmi...la pioggia..."parlo con frasi disconnesse ma lui capisce e mi mette una mano dietro la schiena.
"Mi chiamo Owen Reed..."mi porge la sua mano che stringo all'istante.
"Ethan...Saint"mi presento con un lieve sorriso.
All'improvviso mi ricordo che non ho ancora avvisato Anne o Clark.
Non so se è una buona idea.
Ma di sicuro so che Jennifer chiamerebbe subito le persone a noi vicine.
Chiamo Clark che è ancora insieme a Anne e gli chiedo di dirglielo con delicatezza.
Immagino solo la reazione che avrà la sua migliore amica.
Dopo un'ora che aspetto accanto a Owen,un'infermiera esce dalla sala e si avvicina al ragazzo accanto a me.
Appena è abbastanza vicina vedo la sue espressione.
Mi trattengo dall'urlare o dal correre subito incontro a Jennifer.
Owen si allontana un poco insieme all'infermiera.
Pochi secondi per distruggere una vita.
Tengo gli occhi fissi sulla figura del ragazzo ora in ginocchio a terra con il viso tra le mani.
Mi manca l'aria,è come se le pareti si stiano ristringendo,lentamente e senza modo di fermarle.
Mi alzo velocemente e mi affretto fuori dal pronto soccorso.
Non ho saputo niente di Jennifer. Dovrebbe essere un buon segno oppure no?
Come farà ora Owen?
Riuscirà ada andare avanti?
E se succedesse a me?
Appoggio le mani sulle ginocchia sentendo il sollievo dell'aria nei polmoni.
"Ethan!".
Sento la voce di Clark chiamarmi.
Non mi ero accorto che si trovasse accanto a me.
"Oddio...è troppo tardi?"chiede Anne arrivando al suo fianco.
"No...è ancora in sala operatoria"le rispondo cercando di ricompormi.
Rientriamo nell'ospedale.
Cerco Owen ma non lo vedo da nessuna parte nella sala.
Non so se ha perso tutta la sua famiglia,ma di sicuro un pezzo di lui si è rotto.
"Non ti hanno fatto sapere più niente?!"si dispera Anne continuando a camminare avanti e indetro mentre Clark e io aspettiamo seduti.
Non ho più la forza nemmeno per piangere o disperarmi.
L'unica cosa che riesco a fare è al viso di Jennifer.
La sua voce,che mi dice che tutto andrà bene.
Che mi ama e che non mi lascerà mai.
Devo immaginarmela,dato che non so se vorrà continuare a vedermi dopo quello che le ho fatto.
Stiamo aspettando da tutta la notte. Clark e Anne si alternano per chi può dormire un po' sulla spalla dell'altro.
Sono le sei del mattino.
Siamo ancora seduti su queste maledette sedie fottutamente scomode.
"Come fate a stare così calmi!"urla Anne improvvisamente.
Probabilmente non l'avevo sentita continuare a parlare mentre pensavo di nuovo a Jennifer.
Non faccio tempo a risponderle che sento un infermiera chiamare il mio nome.
Mi alzo appena la sento e,seguito da Clark e Anne,mi avvicino alla donna. Non so perché mi ricorda vagamente mia mamma.
I capelli scuri,la pelle olivastra e gli occhi costantemente tristi.
"Allora?"chiedo quando lei non stacca gli occhi dalla cartella che ha in mano.
Trattengo il respiro.
"La signorina Ashton ce la farà...ha subito un intervento alla gamba e per ora è ricoverata...".
Anne inizia a piangere sulla spalla di Clark che la stringe a sé. Io nemmeno mi accorgo di appoggiarmi al muro schiacciato quasi dal sollievo.
"Grazie..."sussurro con il poco di respiro che mi rimane.
"Uno alla volta potete vederla...si è appena svegliata dall'anestesia"mi risponde con un sorriso che stona con la sua espressione triste,ma che comunque mi consola.
Anne si precipita nel corridoio che ci ha indicato un altro infermiere,con me e Clark subito dietro. Devo vedere il suo viso. Devo assicurarmi che sia davvero viva,per far tornare stabile il mio battito cardiaco.
Anne arriva prima ed entra nella stanza.
Io e Clark rimaniamo fuori.
Non nascondo il mio fastidio al comportamento di Anne.
So quanto siano amiche ma non penso che il suo respiro e il suo flusso sanguigno dipendano da quelli di Jennifer.
"Dove sei stato?".
La stessa domanda che mi aveva fatto Jennifer al telefono.
"Ero in giro..."rispondo sul vago facendo avanti e indietro per il corridoio.
"Non hai niente da dire?"continua Clark.
Mi fermo di colpo e senza pensarci tiro un pugno al muro. Il dolore scorre per tutto il mio braccio e sento la pelle della mano rompersi.
"Non mi serve che tu mi faccia la predica! Cazzo,mi sento già di merda di mio,Clark!"scatto avvicinandomi a lui.
"E fai bene,Saint"mi risponde con voce leggermente scossa ma comunque calma.
Sa che non lo picchierei mai sul serio. È troppo importante per me questo ragazzo.
Incontro i suoi occhi azzurri imperturbabili e mi lascio scappare delle lacrime.
La mia attenzione viene improvvisamente catturata dal rumore della porta della camera che si apre.
Ne esce una Anne in lacrime ma con un mezzo sorriso in volto.
"Come sta?"chiede Clark prendendo la mano della ragazza.
"È viva...ha la gamba ingessata...l'ha rotta...inoltre il colpo alla testa ha causato un lieve trauma cranico".
La voce rotta dal pianto.
"Ma sta bene complessivamente"conclude sorridendo a Clark.
Senza aspettare che mi dica qualcosa afferro la maniglia della porta.
"Ethan!"mi ferma Anne.
Chiudo gli occhi e faccio un respiro profondo.
Sta tirando troppo la corda.
"Devo entrare Anne!"dico fermo guardandola negli occhi.
Spero che veda quanto ne ho bisogno.
Devo guardarla in viso. Anche per farmi urlare contro,anche solo per farla sfogare.
Ma devo vederla.
Anne sembra ponderare la situazione e continua a fissarmi con sguardo interrogativo. Se non si sbriga entro da solo.
"Cerca solo di non stressarla".
Non aspetto altro, apro lentamente la porta ed entro.
La luce è soffusa e devo avvicinarmi al letto per poterla vedere bene.
Sento di nuovo quella sensazione di soffocamento quando la vedo.
La gamba è totalmente immobilizzata, le braccia coperte di lividi e tagli così come il viso.
Eppure non riesco a non pensare a quanto sia bella.
Sono accanto a lei e finalmente incontro i suoi occhi.
"Hey..."sussurro alzando un angolo della bocca.
Il sollievo riempie la mia voce e solo le sue ferite mi trattengono dall'avvicinare il mio viso al mio e baciarla all'istante.
"Hey"risponde lei con tono molto meno felice.
Quando i suoi occhi lasciano i miei sono io quello che avrebbe bisogno della morfina tanto è il dolore che sento.

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