1 - PARTE PRIMA

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~ dedica
Il libro è dedicato a qualcuno che mi ha rubato il cuore per moltissimo tempo, M. G.❣️

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Chills - PARTE PRIMA

"Non v'è rosa senza spine. Ma vi sono parecchie spine senza rose." 

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New York - Aria
Ebbene, dopo molto sforzi inizio una nuova vita.
Questi ultimi giorni sono stati i giorni più tristi della mia breve e innocua esistenza. Non posso credere che mi stia per trasferire a Los Angeles per sempre. E che faccio? Dovrei essere orgogliosa? No. Non lo sono e non lo sarò mai. I miei 16 anni vissuti qui a Brooklyn, tutti i miei amici, la mia scuola sono stati uno spreco di tempo e fatica. È difficile dover accettare che questo farà parte del passato e non più parte del mio futuro, io che sono sempre stata una ragazza semplice e tradizionale legata ai pochi cari che ho.
Sono ancora in ansia per il trasferimento e la rabbia dentro di me sale sempre di più ogni volta che qualcuno pronuncia la parola "Los Angeles" o "bagagli". Credo che potrei esplodere a momenti.
L'ultima ora felice che sono riuscita a vivere è stata ieri alle 4:53 del pomeriggio:
<<Mamma! Sono a casa!>> tolgo lo zaino dalle spalle e lo apoggio sopra al divano. Ma mia madre non risponde. Dove sarà?
<<Amy! Dov'è la mamma?>>
Nessuna risposta.
(Ma dove erano finiti tutti?)
Mi incammino verso lo studio di mia madre e di mio padre e finalmemte sento parlare. La porta è socchiusa, si può sentire tutto quello che mia madre dice al telefono con qualcuno.
<<Oh, e se non la prendono bene? >> al di là del telefono sento la voce di mio padre però non riesco a capire quello che dice.
<<Se ci trasferiamo a Los Angeles, non solo Aria e Amy ci rimangono male, ma come faccio con i miei?>> Spero di non avere sentito bene. Ci trasferiamo??
Non è possibile! Ce lo avrebbero detto subito. Magari ho sentito male.
<<Lo so che c'è mia sorella>> dice mia madre massaggiandosi le tempie.
Silenzio. <<Okay, ci trasferiamo fra due giorni. Ho parlato con il mio capo. Dobbiamo preparare tutto e... dirlo alle nostre figlie>> a quanto pare ho sentito bene.
Ho le guance rigate di lacrime. Non posso abbandonare New York, non posso! Come faccio senza le mie amiche? E senza il mio fidanzato? Senza la mia casa. Sarà un incubo. Mi faccio avanti e apro la porta.
<<Non posso crederci! Dobbiamo trasferirci!! Non potevi dircelo prima?>> urlo a squarciagola. Mia madre è impallidita.
<<Ti richiamo Richard>> mette giù il telefono e si gira verso di me. Sono arrabbiata a tal punto da poter sfondare un armadio stracolmo di dizionari.
<<Tesoro, io avrei voluto dirlo...>>
<<Tesoro un cavolo! Qui ho tutto! Non posso perdere i miei amici! Tu non sai quanti sacrifici ho fatto per averne e ora che facciamo? Ci trasferiamo?!>> mi siedo a terra e tutto quello che riesco a fare è piangere. Sembro una bimba di 6 anni che piange perché non trova piu' il suo giocattolo preferito.
Non voglio lasciare Gemma, Honey e Carmen. Voglio troppo bene alle mie migliori amiche. E poi il mio fidanzato Jack. Ci ho messo due anni di scuola per farmi notare da lui e ora che siamo riusciti a confessare che ci amiamo, mi trasferisco.
<<Lo so che è dura da affrontare...ma non è stata una mia scelta. Io e tuo padre abbiamo ricevuto entrambi dei lavori migliori, ci pagano di più e inoltre...>> mi scoppia la testa, la sua voce è come il caldo afoso in agosto. Insopportabile.
<<Basta! Non voglio più sentire niente!>> corro in camera mia e inizio a piangere di nuovo. <<Ariana! Devi accettarlo...>> urla mia madre un po' disperata. Odio quando mi chiamano con il nome completo, rende la situazione più seria di quel che vorrei non fosse, preferisco essere chiamata solamente "Aria". Questa scenata avrà sconvolto mia madre, si sentirà in colpa, ma dopotutto se l'è cercata. Poteva avvisarmi. Mi chiedo quando mai ce lo avrebbe detto se non lo avessi scoperto io.
Mi espolde il cervello, e se il mio fidanzato ora vuole lasciarmi? No!! Ci ho messo una vita per conquistarlo. Io lo amo.
Questo trasferimento mi sta facendo andare in tilt, ho l'impressione che se non prendo sonno potrei avere un esaurimento nervoso all'istante.
Dieci minuti dopo mi addormento pensando ai miei giorni migliori passati qui a New York, e a malincuore stringo forte la foto di me e le mie amiche quando avevamo sette anni. Quella foto la aveva scattata il padre di Carmen, avevamo appena mangiato il gelato ed eravamo felici e contente, spensierate.
Questa è stata la parte peggiore della mia vita e di certo non mi farà bene pensarci ancora per molto tempo. Non mi porteranno in aereo tanto facilmente, dovranno usare molto più della forza.
<<Ehm...Aria...>> mia sorella entra in camera e mi sconcentra dai miei pensieri dolorosi. Le lancio un cuscino in modo che se ne vada.
<<Smettila! Devo parlarti>> brontola sventolando le braccia verso l'alto; sicuramente l'ha convinta la mamma a parlare con me, ma non ci casco.
<<Non voglio sentire nulla dei vostri discorsetti filosofici>> sono completamente a pezzi. Ho una voce secca e gli occhi sono rossi, credo di aver pianto troppo ieri.
<<Vedi, nemmeno io voglio partire. Non voglio abbandonare i miei amici, però, dobbiamo far felici i nostri genitori.>> e quando mai lei parla di felicità? Non sa nemmeno cos'è.
<<Piantala non mi convincerai>>
<<Eccome se ti convincero'>> prende un vestito rosa dall'armadio e una forbice dalla scrivania. Ma che cosa ha in mente?
<<Se tu non vieni a Los Angeles taglio questo vestito>> eh? Una specie di ricatto? Mi ha preso per una sciocca.
<<Col cavolo che ci vengo>> avvicina la forbice al vestito. Tanto non lo taglierà, conoscendola...
<<Sei a rischio, mia cara>>
<<Amy, io non voglio venire a Los Angeles, qui ho tutta la mia vita capisci...>> no lei non mi capisce. Non lo capirà mai. Non sa cosa si prova ad essere fidanzati per la prima volta con una persona che aspetti da sempre.
<<Ma devi venire! La mamma ci ha promesso che in estate veniamo qui e forse anche nelle vacanze di Natale e di Pasqua>> Sai che roba...
<<Non mi importa, io voglio stare sempre qui>> una lacrima scende dal viso. Mi sento sempre peggio, non metto nulla sotto i denti da ieri sera. Cerco di guardare l'ora con la coda dell'occhio: le due e un quarto del pomeriggio.
<<Piuttosto vai a salutare le tue amiche invece di stare qua a non fare niente e a rimpiangerti per una sciocchezza>> il trasferimento crede sia una sciocchezza? Non ribatto nulla, perché in fin dei conti ha ragione: Devo salutare tutte le mie amiche e Jack.
<<Pensaci Aria, non fare la difficile>> sbuffo e mette nell'armadio il vestito. Avevo ragione, non avrebbe potuto romperlo. Appoggia la forbice e mi lancia un' occhiata come per dire "Ormai ci andremo a Los Angeles, arrenditi!" E se ne va.
Mi alzo dal letto e mi vesto per andare a salutare le mie amiche. Poi passerò da Jack.
<<Dove vai Aria?>> chiede mia madre dalla cucina, non rispondo ed esco di casa sbattendo la porta. Non ho voglia di fare conversazioni dolorose con i miei genitori.
Voglio essere lasciata in pace. Anche se devo ammettere che queste scenate da figlia irresponsabile non piacciono neppure a me. Continuo a farmi paranoie per tutto il tragitto finché non arrivo davanti alla casa di Carmen.
Rivolgo uno sguardo al giardino, al suo immenso giardino. Quelle volte che giocavamo ad acchiapparella all'asilo. Quelle volte che giocavamo a nascondino e io contavo sempre, purtroppo, e le altre si nascondevano così bene che a volte pensavo fossero scappate e mi avessero abbandonato. Alle medie facevamo i compiti sulla veranda, il canto degli usignoli era una specie di musichetta rilassante per ragionare meglio mentre facevamo i compiti di matematica.
Alla sera ci rivelavamo i segreti e tutte le cose successe durante il giorno, ci straiavamo sull'erba e parlavamo come se fossimo sorelle.
Al liceo, cioè, in questi tempi, Andiamo in giro: a negozi, al parco, in piscina..., e raramente veniamo a trovarci a vicenda. Forse perché sono robe da piccoli o forse perché nessuno ha più voglia di suonare al campanello degli altri a causa dei genitori ficcanaso.
Fatto sta ora ci vediamo più spesso in giro per la città: basta un messaggino "Fra cinque minuti ci vediamo al bar vicino alla scuola" e tutte ci incontriamo lì.
La nuova tecnologia, credo sia uno dei motivi per cui non suoniamo più al campanello per dire"dopo ci vediamo al parco".
Il cane di Carmen mi riporta alla realtà. Sono ferma davanti al cancello di casa sua a meditare sulla mia vita. I passanti mi avranno preso per una depressa. Infatti sto piangendo, i ricordi fanno male.
Mi avvicino alla porta di casa sua, sperando sia a casa.

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