Nobody and nothing

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So baby pull me closer in the backseat of your Rover,
that I know you can't afford,
bite that tatoo on your shoulder

Il cancello della scuola.
Se lo ricordava diverso da come ora le appariva.
La vernice più scura, la rugine quasi inesistente, lo strato uniforme.
Doveva essere stato riverniciato e lei nemmeno ci aveva fatto caso.

In quei pochi mesi erano successe talmente tante cose che aveva smesso di soffermarsi troppo sui dettagli.
Lei stessa era cambiata. Inevitabilmente.
Le piccole cose non la ossessionavano più, aveva altro a cui pensare.
Talmente tante che piano piano la consumavano dentro e fuori.

Il vento sollevava un rumore sordo tra i rami spogliati dalle loro foglie, cadute ai piedi degli alberi.
Un tappeto colorato che si disfava man mano che le persone ci passavano sopra noncuranti.

Sfregò il naso rosso sul bordo del cappotto nero, soffiando per scaldarsi con il suo stesso respiro.
Rimase a guardare il cortile quasi vuoto popolarsi di minuti in minuto, da quando pochi ragazzi erano ammucchiati nelle loro giacche lunghe e le sciarpe che coprivano i loro volti, a quando una grossa macchia di zaini aveva dominato quello spazio ristretto.

Non cercò nessuno con lo sguardo quella mattina.
Perché non voleva vedere nessuno quella mattina.

Era una mattina grigia, di quelle che la rendevano più insensibile del solito, e la sua voglia di tornare a scuola era inferiore a zero.

Le passarono davanti agli occhi Giada e le sue amiche, sempre unite nella loro ipocrita amicizia, tenuta in piedi da un po' di colla per unghie finte.
Ignorò i loro soliti commenti di scherno, che non la toccavano più.
Le passavano addosso come trattori, poi lei si rialzava come se fosse stata di gomma, di un ghiaccio che non si spezza.

Il suo timore era uno ed aveva un nome.
Un nome che le era ormai anche difficile da pronunciare.
Era diventato un nome fra tanti, ma unico nel suo genere.

Uno di quelli che non cerchi, eppure è sempre presente. Ed è impossibile da ignorare.
Rimane lì, fermo, tra le cicatrici, senza riuscire a rimarginarsi.

Ed esattamente per questo principio, quando si staccò dal muro per entrare a scuola, non si girò a guardarsi attorno.
Non vide mai il sorriso di Lorenzo spegnersi fievole alla sola vista dei suoi capelli. Non notò i suoi occhi incupirsi.
Non sentì mai Cecilia formare un "Ah." con le labbra scure.

Ciò che vide invece, fu il suo banco pulito ed intatto, esattamente come lo aveva lasciato.
E nella sua mente apparve l'idea di essere costretta a mettersi vicino a lui.

Il suo sguardo scattò in fretta nella classe, sui bianchi che venivano velocemente occupati dai suoi compagni di classe.
Guardò in fondo all'aula ed incontró una catasta di capelli ricci scombinati.
Le ricadevano sulla fronte in una massa informe, nascondendo gli occhi scuri, protetti da degli spessi occhiali rotondi. Se ne stava al suo banco, seguendo con lo sguardo le persone che entravano dalla porta con sguardo curioso.
Rebecca.
Era una ragazza piuttosto tranquilla, di quelle che se ne stanno sulle loro e non infastidiscono. Di lei non sapeva nulla, ma le bastava.
La raggiunse suscitando un enorme punto interrogativo sulla sua espressione.

-Hey, posso sedermi qui?-

-Qui? Vicino a me?-

Spalancò gli occhi, stupita.

-No. Qui vicino a Melania. Certo che voglio sedermi vicino a te.-

Portò le dita sul ponte degli occhiali, per poterli risollevare sul naso piccolo. Erano troppo grandi per lei e la forma rotonda nascondeva i suoi occhi.

Ice Heart || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora