Not enough

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I am tired to this place,
I hope people change,
I need time to replace what I gave away

Mosse le gambe tra l'odore delle lenzuola appena lavate, tese le braccia sopra la testa per stiracchiarsi.

Richiuse le palpebre quando la luce fievole del sole mattutino ci sbattè contro prepotentemente.
La sua bocca si aprì per sbadigliare, sollevando un mugolio gutturale nel silenzio. Si rotolò nel letto, si stese sul fianco col braccio abbandonato attorno al cuscino.
I suoi occhi si aprirono cauti, verso il comodino, in cerca dell'orologio digitale che ogni mattina gli dava motivo per dire: "altri cinque minuti". Ma non c'era.

Aggrottò le sopracciglia, confuso, ed emise uno sbuffo. Portò i pugni sugli occhi per eliminare la leggera sonnolenza.
Buttò le braccia sul materasso, lungo i fianchi, fissò il soffitto bianco per qualche secondo.
Si sollevò sulla schiena lentamente, ancora stanco e inspiegabilmente atterrito.

Si guardò attorno ed il viola delle pareti investì gli occhi verdi. I mobili non li riconosceva e tutte quelle foto lo ritraevano solo a tratti.

Fece scorrere una mano sulla fronte, massaggiò lievemente col pollice per frenare il mal di testa.
Lasciò un sospiro dalle labbra secche, le pareti asciutte della gola si appiccicavano fastidiosamente tra loro. Aveva bisogno di bere.

Scostò le coperte dal suo corpo pigramente, i piedi penzolarono dal bordo del letto, toccando il pavimento freddo. Rabbrividì.

Si alzò con uno scatto, poi tese ancora le braccia per eliminare la spossatezza nei suoi muscoli doloranti.

Una mano finì tra i capelli per scostare le ciocche dei capelli disordinati sulla testa.
Cercò di ricordare perché si trovasse in quel posto, ma nessuna idea sfiorava la sua mente.

Decise di cercare la risposta.
Cominciò a muoversi, camminò lungo i corridoi, corridoi che si accorse di conoscere. Si spostava senza sbattere da nessuna parte, ricordava la posizione delle stanze e degli oggetti.

La casa era vagamente familiare, ricordava di aver percorso quel pavimento più volte.

La sua mente aveva registrato la posizione della porta della cucina, ne fu davanti. Era difficile dimenticare i gesti istintivi, il corpo li ricordava.

-Buongiorno, Michele.-

Oltre la fessura della porta della cucina, una cascata di capelli biondi era china sui fornelli, le dita sulle manovelle per accenderli. Udì un lieve ticchettio, poi il rumore di una fiamma che divampa.

Si chiese come avesse fatto a capire che fosse lui senza guardarlo. Faceva così rumore?
Non riusciva a capirlo, era in un stato troppo confusionale.

-Ho male alla testa.-

Mormorò, portandosi una mano sul punto dolente.

-Io alla schiena. Indovina chi non ha potuto fare niente con Lorenzo e ha dormito sul divano, solo perché due cretini hanno deciso di ubriacarsi?-

Si girò verso di lui, prese tra le mani il bordo della cucina e le nascose dietro il pigiama bianco. Guardò Michele ed in quei occhi rossi cerchiati da ombre nere, vide del fastidio intenso.

Poi ricordò.
Natale. Alison. Alcool.
Flash della sera prima attraversarono la sua mente troppo velocemente, poi sparirono senza dargli abbastanza risposte.

Aggrottò le sopracciglia, si posò con le mani sul bordo della sedia. Fu come essere spinto di sorpresa e perdere l'equilibrio.

-Dov'è Alison?- Fu tutto ciò che riuscì a dire.

Ice Heart || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora