White lips, pale face

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Ora che siamo solo dei bersagli di ciò che oramai chiamiamo sbagli,
Ogni carezza è un ostacolo che aspetto ormai da un secolo,
È un amore tra parentesi

(Questa è una delle canzoni che mi ha dato l'idea per questa storia. Sono troppo felice che la maggior parte ha votato per lui. Quanto posso amare Michele?)

Il rumore del ferro della sua forchetta tintinnava contro la ceramica bianca del piatto vuoto.
Le piaceva il rumore sinfonico che produceva quel contatto, era come tornare a sentire suo padre pizzicare con le unghie il vetro della clessidra per far scorrere più velocemente la sabbia.
Gli occhi verdi di Alison si spostarono sulla mensola dove quest'ultima sarebbe dovuta stare, ma un enorme vuoto ne aveva preso il posto.
Come quello che aveva dentro di sé, sin nel profondo della sua ossa.

Se ne stava a fissare la superficie lucida del piatto, mentre aspettava il suo quotidiano pasto che le sarebbe dovuto spettare.
Ma non ci sarebbe stato, come il giorno prima, quello prima ancora e andando avanti così per circa una settimana.
Tutto ciò che era riuscita ad ingurgitare in quei giorni era qualche merendina acquistata dalle macchinette con i risparmi da parte per il viaggio a Londra.
In realtà, era sempre riusciuta a darne solo qualche morso: Daniele l'aspettava ogni giorno alla biforcazione del corridoio per poterle prendere anche quella misera fonte di energia.
E non con delle buone maniere.

Toccò la costola illividita ancora dolorante, ricordando la vans grigia spingersi contro le sue ossa.

"Sei talmente brutta che tuo padre è scappato da te" le aveva detto ridendo.

Chiuse gli occhi, riassaporando amaramente ogni secondo che aveva passato facendosi percuotere e schernire dal bullo di turno.
Faceva male ancora ora, più ciò che aveva detto che i numerosi colpi che le aveva inflitto. Forse era vero ciò che dicevano, forse era davvero così terribile.

Un altro sapore altrettanto amaro la riportò alla realtà, accorgendosi di star passando la lingua sul metallo sui denti.
Su questa si era formato un piccolo taglietto da cui sgorgava un liquido scarlatto, incentivando l'amarezza che percepivano le papille gustative.
Voleva togliere quella tortura dagli spazi tra i suoi denti.
Voleva cambiare e non sapeva come.

Tutto, voleva dimostrare a sè stessa e tutti gli altri che non era solo la ragazza debole che tutti potevano prendere in giro.
Non era solo la ragazza sfigata con l'apparecchio.
Non era solo la ragazza con la sorella malata, la madre alcolista e il padre fuggitivo.
Lei era la ragazza che se avesse potuto sarebbe andata alla ricerca di suo padre a piedi, lei era anche la ragazza che amava sorridere, la ragazza che sfogava la sua rabbia disegnando. Poteva essere molto di più se solo avesse voluto.

Si alzò dalla sedia, come se si fosse ricordata qualcosa e cominciò a vagare per il salone guardandosi attorno.
Si fermò quando fu davanti ad un muro preciso, sui cui una volta c'era stato un suo vecchio disegno.

"Ogni cosa ha il suo colore" le aveva detto suo padre "Sai qual'è il colore più brutto? Il bianco."

Ecco come si sentiva e come vedeva il mondo in quel momento: bianco.
Il cielo pieno di nuvole era bianco, i fogli su cui disegnava erano bianchi, lei stava gradualmente diventando bianca dentro.
Le mura si erano fatte improvvisamente spoglie, erano tornate bianche anche loro.

"Non è nemmeno considerabile un colore. È trasparente, è inesistente, è semplicemente il niente. E non hai idea di quanto sia brutto il niente."

Ice Heart || Lorenzo OstuniDove le storie prendono vita. Scoprilo ora