Capitolo 35

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Il ritorno a casa non è proprio come me lo aspettavo, anzi, non me lo aspettavo proprio.

Con mio padre non ho scambiato nemmeno una parola durante il tragitto nella sua auto e non appena arriviamo a casa mi barrico in camera mia a piangere disperata.

È come se mi sentissi incredibilmente svuotata. Inutile. Come se la mia vita fosse cambiata di colpo e non riconoscessi neanche più me stessa.

Non mi ci vedo più in questa casa, tra queste pareti raffinate, il marmo elegante, le tende lussuose e le lenzuola di seta... Sembrano non fare più parte di me.

J è rinchiuso in prigione e io mi sento esattamente come lui: con una prigione intorno al cuore.

Resto inerme e vegetale sul mio letto a pensare come poter ricongiungermi con lui. A trovare un modo per scagionarlo e farlo uscire da persona innocente.

Ma io da sola come posso fare?
Mi serve l'aiuto di qualcuno che conta, un avvocato con le palle, qualcuno che mi stia a sentire e che faccia quello che dico... ma chi? Di chi mi posso fidare?

La porta si spalanca improvvisamente e mia madre in lacrime piomba in camera mia buttandosi su di me per abbracciarmi forte.

«Amore mio, ho pregato così tanto affinché tornassi a casa sana e salva. Come stai? Ti hanno fatto del male?»
Singhiozza contenta di vedermi e mi abbraccia così forte che quasi temo che mi stritoli le ossa.

Papà rimane sulla soglia della mia camera e lo guardo di tralice mentre mia madre disfa l'abbraccio per controllarmi preoccupata, temendo che abbia qualche ferita o ematoma.

«Oh piccola mia, sei ancora terrorizzata...» continua lei prendendomi il viso tra le mani.

«No, mamma. Non sono terrorizzata» mormoro girandomi su di un lato, voltandomi di spalle.

Posa una mano sulla mia schiena e resta per un attimo in silenzio non capendo la mia reazione.
«Cos'hai, Elinor? C'è qualcosa che devi dirci?» Insiste con un tono amorevole e preoccupato al contempo.

«Penso che sia lei a dover dire qualcosa... ma ad un buon psicologo però» interviene mio padre.
Non riesco a capire il suo astio verso di me così improvviso.

Mia madre non risponde e io mi volto a guardarli «Psicologo? Io sto bene! Non sono pazza!»vSbotto nervosa.

«No, tesoro. Non stiamo dicendo che sei pazza...» continua mia madre accarezzandomi il viso «Sei solamente scossa. Ed è normale dato che hai vissuto un'esperienza traumatica... Noi vogliamo aiutarti a superare e a dimenticare»

«Ma io non devo superare proprio nulla. Non è stata un'esperienza traumatica e non sono per niente scossa! Sono solamente arrabbiata perché Jack non merita di stare in carcere!» Mi impunto scontrosa.

«Ci risiamo...» sbuffa mio padre alzando gli occhi al cielo.

Mia madre stenta a crederci «Ma quel criminale ti ha sequestrata!» Alza il tono di voce, ma non mi intimidisce per niente.

Eppure dovrei essere contenta di stare a casa, di aver rivisto i miei genitori, di essere sana e salva... ma non lo sono!
Mio padre sembra odiarmi e mia madre non riesce a capire che J è la mia priorità adesso!
Non sa quanto io sia cambiata e quanto J ha bisogno di essere salvato e amato.

«Non mi ha sequestrata!» Ribadisco nello stesso tono «Jack non è come pensate... lui è...»

«Ti ha tenuta rinchiusa in un bunker!» Mi interrompe «Quel posto era orribile, Elinor... e quel ragazzo è un criminale. La polizia ci ha dimostrato tutti i suoi reati e mi sono sentita morire nel pensare che tu eri sua prigioniera» e riprende a guardarmi scoprendomi le braccia e le gambe.

Rapita - parte 1 [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora