Capitolo 37

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Quattri giorni passano senza che mamma riesca a fare qualcosa per J e oggi il giudice decreterà il verdetto finale che condannerà J di essere colpevole per aver organizzato e messo in pratica il mio rapimento.

Cammino su e giù per la mia camera mangiandomi le unghia delle mani.
Sono irrequieta e agitata.

«Elinor, ci ho provato in tutti i modi» mi avverte mia madre con le mani in mano avvilita quanto me.

Non rispondo e continuo ad escogitare un modo per salvarlo e portarlo via di là.
Non è possibile che non ci sia! Io devo trovarlo a tutti i costi!

Mi sento soffocare per quanto sto soffrendo in questo momento.
J non merita assolutamente quello che gli stanno facendo e solo io posso aiutarlo.

Mi fa male la testa per quanto ci stia rimuginando e alla fine solamente una mi sembra la soluzione più appropriata.

Tiro fuori un giubbino dall'armadio ed esco di corsa dalla mia camera ignorando le urla di mia madre che mi chiede dove ho intenzione di andare.

Non l'ascolto e continuo a correre verso l'uscita pensando solamente a quello che ho in mente di fare.

Corro per la strada, tra le auto e tra i passanti.

Ho il fiatone e la gola secca. Un dolore lancinante al fianco per la troppa corsa, ma non mi fermo. Continuo a correre tenendo a mente le parole che ho intenzione di dire e desiderando di abbracciare J il più presto possibile.

So che ho poco tempo a disposizione e che devo sbrigarmi, quindi non c'è tempo di pensare che non ho fiato e che le mie gambe pulsano per quanto siano addolorate... Io non posso assolutamente fermarmi!
So che J mi sta aspettando!

E allora via fino al palazzo della corte suprema a rilasciare la mia deposizione davanti ad un giudice e davanti a J che deve sentire quanto è grande il mio amore per lui.
E non mi farò fermare da nessuno! E soprattutto non permetterò a nessuno di parlare al posto mio!

Entro nel palazzo con il cuore a mille cercando l'aula dove sta avvenendo il processo.

Apro una decina di stanze con la guardia alle calcagna che mi ordina di fermarmi.

Se ne aggiungono delle altre, ma non mi lascio intimidire.

Continuo a cercare J senza sosta fin quando una guardia non mi bracca proprio davanti alle maestose porte dell'aula giusta.

«Lasciatemi stare!» Mi dimeno tirando calci.

«Lei non può stare qui!" Mi intima stringendo la presa.

«Sì che posso! Stanno condannando la persona sbagliata!" Urlo «Lasciatemi andare, vi prego!»

«No. Dobbiamo portarla fuori di qui se non vuole una denuncia penale» cerca di allontanarmi dalla porta, ma mi impunto cercando di piantare bene i piedi a terra e limitare i suoi sforzi di farmi trascinare via.

«Non me ne frega un cazzo! Io devo entrare qui dentro!»
Al diavolo con le buone maniere!
Sono furiosa!

La guardia continua ad insistere che deve portarmi fuori ed io, non trovando alcuna via di fuga, riesco a sfilargli la pistola dalla fondina e a puntargliela contro.

Okay, non sono brava con queste cose e ho le mani che tremano. Forse mi sto mettendo anche in un mare di guai, ma non so come fare ad entrare se non minacciare questa guardia del cavolo.

«Io devo entrare qui dentro! Non voglio sparare e non voglio farle nulla. Voglio solamente che mi lasci passare e liberare Jack da un accusa che non merita affatto» dico con la voce tremolante e il fiatone.

Rapita - parte 1 [In Revisione]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora