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Io sono abituato a cibarmi di nuvole e lontananza. - (Eugenio Montale)

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Milano è tante cose: grande, caotica, agitata, ma nei suoi dettagli anche unica.

Unica come la stazione centrale. Il suo soffitto, costituito da cinque volte in ferro e vetro, che ti traghetta indietro nel tempo, e i grandi monitor che segnano il suo scorrere. Non ho mai avuto la necessità di prendere il treno per muovermi in città, ma quando ne avevo l'occasione, venivo qui; un libro in mano, la musica nelle orecchie, sedevo su una delle panchine della galleria delle carrozze. In quel momento, potevo decidere di essere chiunque: una ragazza in attesa dell'arrivo della sua migliore amica, una turista straniera pronta a tornare a casa, oppure semplicemente io, con il mio libro e la mia musica.

La cosa bizzarra di questa stazione è che, per quanto possa sembrare maestosa, non lo è affatto. I materiali utilizzati non sono pregiati, è stata costruita ad economia e per quanto io abbia sempre diffidato dall'apparenza, quella che regna qui, mi piace. Mi piace perché è l'emblema della città e di tutte quelle persone che la vivono e si sentono superiori agli altri. Essere cittadini non vuol dire essere qualcosa in più; la maggior parte delle volte, vivere in campagna o in paesi più isolati, riesce ad arricchire quelle persone che hanno la voglia di farlo e, i due ragazzi che stanno scendendo dal treno con me, ne sono la dimostrazione.

Si guardano intorno curiosi mentre una fiumana di gente ci affianca, ci supera e va per la sua strada, senza nemmeno accorgersi di noi. Io guardo loro, i cappotti pesanti e gli occhiali da sole calati sul viso. Sono bellissimi. Harry, purtroppo, lo è.

Se non lo fosse sarebbe tutto più facile; evitare di puntare lo sguardo sempre e solo su di lui, cercare di impedire alla mia mente di correre troppo... Ma lui è bello, uno dei ragazzi più belli che io abbia mai visto e il fatto che, da quanto siamo partiti, sia alla ricerca di un contatto continuo con me, non rende le cose facili.

Lo sta facendo anche adesso, mentre sfiora la mia mano, cercando di recuperare la mia valigia. "Posso portarla da sola", affermo, mantenendo la stretta salda.

Lui scuote la testa, facendo ondeggiare i suoi ricci ribelli. "Sarò in debito con te dopo questa mini vacanza, quindi questo è il minimo che posso fare."

Gli occhiali neri non mi permettono di leggere all'interno dei suoi occhi ed è un vero peccato. "Per una volta non puoi prendere semplicemente quello che qualcuno ti sta dando?"

"Cosa stai cercando di darmi stavolta, Bambi?"

Lo dice con un sorriso in volto, lo stesso che ha mantenuto per tutto il viaggio mentre pronunciava frasi ambigue come questa. Non so cosa stia cercando di fare, ma se l'effetto che vuole ottenere da me è il completo stordimento, di certo ci sta riuscendo.

"SNOW!"

Mi volto, sorpresa dall'udire una voce che riuscirei a distinguere fra mille e prima che possa dire qualcosa le braccia esili di Lavinia mi stanno già circondando.

La stringo forte incapace di fare diversamente. Mi è mancata, mi è mancata tanto, troppo, in un modo che non avrei mai creduto e che mi ha fatto bene e male allo stesso tempo.

"Lav." Non mollo la presa nemmeno quando cerca di allontanarmi. Sta già parlando con i ragazzi alle mie spalle, com'era previsto, diversamente dalla sua presenza qui che non avevo di certo messo in conto.

"Posso avere un abbraccio anche io, o è chiedere troppo?"

La voce di Ginevra mi raggiunge, dandomi una motivazione per lasciare la presa su Lavinia e dedicarmi a lei.

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