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"Mi manca Sonia. Mi manca Andrea. E non posso fare nulla per resuscitare la prima e far continuare a vivere il secondo. Sono inutile".

Daniel

"Mamma..." balbettando nervosamente, iniziai a preoccuparmi.
"Ti prego, parla" la spronai a fare nonostante la mia voce, ridottasi ad un filo sottilissimo e pronto ad essere leso, uscí a fatica dalle mie labbra, socchiuse per la paura di parlare. Un senso di malinconia andò a prendere posto in me. Era giusto che sapessi? Era necessario che la mia sete di conoscenza venisse soddisfatta. Il battito del cuore accelerò, desideroso di una risposta, ma inconsapevole della positività di essa. L'esito sarebbe potuto rivelarsi disastroso.

"Daniel...". Mia madre, guardatasi attorno per piú d'un paio di volte, non seppe piú dove poggiare lo sguardo, trovandosi a starsene in piedi all'ingresso, la stanza più vuota della casa. Le pareti, animate da qualche quadro dipinto con soggetti di natura morta ed il portascarpe, colmo di All Stars mie, di ballerine di Vanesa e di costosissime scarpe di nostra madre non sarebbero di certo stati oggetti di attente analisi, nemmeno da parte di uno sconosciuto che avesse messo piede a casa nostra per la prima volta.

"Cosa c'è? Andrea sta male?" cercai di cavarle le parole di bocca, non capendo con quale forza avessi pronunciato parole che sarebbero potute essere, fra testa e croce, uno dei due possibili esiti.

Mia madre, deglutendo, cercò invano di trovare risposta attorno a sé, roteando i le grandi iridi scure. Le palpebre, contornate da una spessa linea corvina che accentuasse la forma dei suoi occhi, batterono un paio di volte.
Poi, espirando con evidenza, se li coprì appoggiando i polpastrelli all'altezza delle tempie e sospirando, schiuse le labbra.

"Molto male" sentenzió scuotendo il capo. Deglutii, cercando di comprendere le parole che avesse appena pronunciato senza dare di matto.
Ansimai. Per un attimo vidi tutto nero, mi sentii mancare. Ebbi un'allucinazione, che m'impedì di vedere, di respirare, di rendermi conto se fossi ancora vivo.

"Daniel...". Ero vivo. Riuscivo ad udire la voce di mia madre chiamarmi disperata.
"Cosa ti succede?". Avvicinatasi a me, appoggiò una mano sulle mie spalle mentre io, chinandomi sempre più, arrivai a toccare il pavimento con le ginocchia.
"Dai, alzati" m'invitò a fare, sollevandomi per un braccio.
Cercó di mantenere la calma. Chissá in che stato mi trovassi in quell'istante. Avendolo vissuto in prima persona, non potei constatarlo. Ma la mia sofferenza interna potevo percepirla benissimo. Ed unicamente io.

"Che... cos'ha?" domandai con voce fievole, dopo essermi ripreso. Mi sollevai, senza guardare negli occhi María Inés, che stava probabilmente attendendo una rassicurazione da parte mia. Ma il sapere come stesse Andrea era una prioritá.

"Mamma, cos'ha Andrea?" chiesi gridando. Le parole si precipitarono grossolanamente fuori dalle mie labbra, riversandosi contro il mio interlocutore che, dallo spavento, sussultó.
Il mio viso, paonazzo, s'era arrossato per lo sforzo immane con cui avevo cercato di trattenere la mia sofferenza. L'ossigeno era venuto a mancare, poi, per qualche secondo, appannandomi la vista.

"Daniel, Danie!" gridò il mio nome mia madre, vedendomi accasciarmi nuovamente.

"È in coma" mi aveva rivelato. La rapidità con cui aveva pronunciato quelle poche parole aveva fatto sí che mi sentissi solo, completamente abbandonato a me stesso. Come se fossi in un deserto arido, monotono, spoglio, senza nulla di vivo attorno a me e come se la tanto bramata oasi, all'interno di esso chissà dove, fosse ad incalcolabili chilometri rispetto a dove mi trovassi io, al centro di un infinito paesaggio di sabbia, di granelli ammassati l'uno accanto all'altro, sotto al sole cocente che di giorno uccideva e di notte pure, per via della sua assenza. Gelo, buio, brividi. Morte.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora