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Crush, David Archuleta

Daniel

15 novembre

"Sí, te lo giuro!" esclamó Andrea, ormai nel vivo della conversazione che stavamo sostenendo. Le sue mani ben spalancate avevano fatto scontrare i palmi contro le cosce, magre, producendo un rumore secco e immediato. Il suo busto, sportosi in avanti, si era leggermente incurvato per facilitare il movimento della colonna vertebrale piegatasi verso le gambe. La sua bocca, spalancata, aveva permesso alle labbra di sorridere audacemente.
I suoi occhi, invece, si erano soffermati sui miei più a lungo di quanto il suo sorriso non avesse fatto sulla sua espressione.
Guardandomi sentitamente, aveva fatto svanire il frutto della sua felicità dalla bocca, poco dopo ricongiunti i lembi. Ma gli occhi continuarono a mostrarla attraverso la fessura in cui si erano stretti, allungandosi ai lati. Le sue pupille, piccole, ricevevano nel loro cuore corvino la luce di quel giorno splendente.

"Sai, vero, che non dovremmo ridere di queste cose?" domandó, temperando l'atmosfera nella quale ci eravamo intinti con un solo gioco di sguardi.
Schiarendomi la voce, mi resi conto di non trovarmi piú dove fossi stato fino a quel momento. Le sue iridi, battute le palpebre, erano scomparse dietro al lembo di candida pelle per una frazione di tempo brevissima, ma sufficiente a farmi rendere conto che i suoi occhi mi avevano fatto riemergere dalla profonditá nella quale ero beatamente precipitato col solo scrutarle con ammirazione.

"Tanto questa cosa rimarrá fra me e te" tornó a parlare Andrea, dichiarando ormai terminato il suo intento di proseguire a giocare.
"Non è cosí?" mi esortó a rispondere.
Adoravo il fatto che Andrea fosse tornato a parlare di sua spontanea volontà, dando vita a conversazioni nelle quali il passare da un discorso all'altro avveniva in lassi di tempo brevissimi, facendo susseguire parole e risate ai suoi racconti. Ma dall'altra parte volevo godermi il silenzio dei suoi occhi. Anche quelli avrebbero avuto da raccontare, ne ero sicuro. Li avevo uditi narrare fino a poco prima.

"Sí, certamente" dissi affiancando le parole a un cenno col capo, realizzato sollevando e abbassando il capo un paio di volte.
"In ogni caso sarebbe meglio che nessuno sapesse nulla per davvero" confessai riflettendo sulle celie di cui Andrea e io stavamo discutendo.
"Ma sí, in fondo non sono niente di male!" mi fece notare lui, quasi avesse letto nella mia mente la considerazione che avessi fatto fra me e me sulle burle chiacchierate senza la minima intenzione di irridere.

"Perché ridi?" domandò poi, notando il mio sforzo fatto per tentare di acquattare il mio sorriso dietro al palmo d'una mano.
"Nulla" sussurrai, rendendo la mia dichiarazione tutt'altro che plausibile.
"Adesso voglio saperlo" dichiarò le sue intenzioni, incrociando le braccia. Il suo sguardo, serio, osservava la mia mano rimasta ancora sulle mie labbra, che avevano cessato di sorridere.
"Non c'è nulla da sapere" troncai la conversazione, osservandolo spostare il suo sguardo in direzione del mio braccio, appoggiato sul ginocchio.

"È tutto okay?" domandai, notando come in poco tempo si fosse rabbuiato.
"No" confessó.
"Come stai?" chiesi esplicitamente.
"Male" disse lui, come se avesse atteso la domanda.
"Perché non ti ho detto il motivo per il quale ridessi?" tentai d'indovinare quale potesse essere la causa del suo malessere.
"Anche".
"E va bene, te lo dirò" dissi, avvicinandomi a lui con la sedia, afferrata con una mano e sporta in avanti.
"È che... mi hai letto nella mente".
"Come?" domandò senza aver compreso a cosa stessi facendo riferimento.
"Prima hai detto una cosa, la cosa che stavo esattamente pensando io".
"E sarebbe?" chiese incuriosito.
"Che sono solo sciocchezze innocue, quelle di cui parliamo tu e io" dissi, sorridendo.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora