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Daniel

Il lettino di Andrea era vuoto. Il suo corpo non giaceva, come ogni santo giorno da trentatrè giorni a quella parte, sulla superficie candida di un lenzuolo senza colore, senza odore, ma intriso di voglia di vivere.
Le lenzuola, perfettamente stirate e stese sullo spesso materasso, erano state rimesse in ordine; probabilmente erano state lavate e poste dov'erano rimaste per oltre un mese.
Il cuscino era invece stato girato dalla parte opposta rispetto a quella su cui Andrea aveva sempre poggiato il suo capo; il macchinario era stato spento, poiché non vi era la presenza di alcuna luce lampeggiante o il suono a intermittenza che segnalasse il battito cardiaco.
La finestra, chiusa, rendeva l'aria attorno al lettino poco salubre; i cassetti del comodino accanto a cui, fino al giorno prima c'era stato il macchinario, erano stati chiusi.
Dove era finito Andrea?
Mi sentii mancare. Mi sedetti su quella che, col passare delle giornate, si poteva ormai considerare sedia di mia proprietá. Divaricando le gambe, sospirai cercando di prendere una boccata d'aria, cosa che riuscí piuttosto difficoltosa col poco ossigeno che aleggiava attorno a me. Appoggiando gli avambracci sulle cosce, incrociai le dita delle mani e abbassai lo sguardo, consapevole che non avrei potuto rivolgerlo al mio ragazzo, quel giorno.

Sapevo che, appena fuori di lì, il medico attendeva una mia possibile domanda. Infatti se ne era rimasto a guardarmi entrare, senza occuparsi di svolgere quello che nei giorni precedenti lo avevano tenuto occupato, ovvero la sistemazione del ripostiglio in cui tenevano i farmaci anestetici accanto alla sala dove vi ero io.

Trovando inutile fermarmi oltetempo, uscii lentamente dalla sala, raccogliendo la mia felpa appogiata alla maniglia della porta d'ingresso, non prima di essermi girato un paio di volte per verificare che Andrea non si trovasse davvero lí. Richiusi delicatamente dietro di me, accostando la porta all'uscio.

Il medico era di fronte alla porta, ad attendermi. Sobbalzai nel vederlo comparire all'improvviso poichè credetti di trovarlo poco più in lá e non di avere un contatto così immediato, faccia a faccia, con lui.

"Buonasera" esordii, socchiudendo la bocca e calmandomi.
"Ciao, Daniel" parlò, mano nella mano dietro alla schiena.
"Dov'è Andrea?" chiesi con voce tremante, evidentemente preoccupato. Avevo la sensazione che presto mi avrebbe dato una notizia negativa, facendomi crollare il mondo addosso.
La sua posizione statica lasciava percepire incertezza su ció che avrebbe dovuto dirmi.

"Andrea non è più nella sala" rispose, evadendo dalla mia risposta ed evidenziando ciò che pareva ovvio.
"Lo so anche io" dissi, sgarbatamente. Perché l'avevo fatto? No, non avrei dovuto proseguire così, dovevo piuttosto cercare di mantenere la calma. Ero certo che lui volesse solo aiutarmi e, con la pazienza, avrei ricevuto la risposta che volevo. O meglio, ciò che forse non avrei voluto sentire.

"Lo abbiamo spostato al terzo piano" annunciò.
"Per quale motivo?" domandai timoroso. Non amavo i cambiamenti, mi trasmettevano un senso di scomodità, come se dopo il tanto tempo che avevo impiegato per assuefarmi a qualcosa dovessi ricominciare un adattamento ad una nuova situazione inaspettata, in contrasto con la prima a cui già avevo faticato ad avvezzarmi.

"Lo vogliono sottoporre a dei test".
"Quali test?" domandai.
"Andrea, periodicamente, viene sottoposto a dei test del GSC per valutare le sue capacità di risposta verbale e al dolore e per la misurazione del movimento oculare".
"Non ho capito... in cosa consiste tutto ciò?" chiesi scuotendo il capo.
"Provo a spiegarti. Ad esempio, per quanti riguarda la risposta ad uno stimolo oculare, viene posta una torcia accesa ai suoi occhi per captarne il movimento e valutarne quale possa essere il valore, compreso fra uno e cinque stabilito dalla scala di GSC. Per gli stimoli verbali è sufficiente rivolgergli qualche domanda e vedere se risponde".
"Ma lui... non può rispondere". Il medico mi ascoltò parlare nell'ignoranza.
"L'ho già fatto io tantissime volte. Tutti i giorni io...". Venni interrotto.
"Daniel, ascoltami. C'è un altro segnale. È quello della risposta al dolore. Viene preso un oggetto che sia caldo, freddo, appuntito e viene appoggiato su una parte del suo corpo per verificare che questi sia in grado di rispondere".
"Non capisco". Lo vidi riflettere.
"Tu fumi?".
"No, che domande!" risposi, sentendomi preso negativamente in causa.
"Sei mai venuto a contatto con del fuoco? Ossia, magari mentre al mattino ti scaldi il caffè ai fornelli".
"Sì".
"Ecco. Cosa succede appena tocchi la fiamma? Le tue cellule sensoriali rispondo al caldo facendoti provare dolore alchè tu receda la mano rapidamente. È un movimento naturale che non si può evitare, qualcosa di istintivo".
"Capisco".
"E lo stesso faremo con Andrea".
"Gli farete toccare una fiamma?" chiesi, ingenuamente. Accennò un sorriso che non riuscì proprio a trattenere nell'udire la mia stolta domanda.
"No, Daniel. Useremo qualcosa di appuntito, nel suo caso" spiegò.
Rimasi a riflettere per un attimo, tirando un sospiro di sollievo.

"Ma perché lo fate proprio in questa ora? Ci sono io" mi lamentai, non comprendendo la ragione per la quale stessero usufruendo della mia mezz'ora per sottoporre il mio ragazzo a dei test.
"Daniel, gli infermieri e i medici non possono dare retta alla tua presenza. Loro operano quando ce ne sia la necessità. Vieni domani, va bene?".
"Ma non posso nemmeno vederlo?".
"No, Daniel. Andrea è occupato. Non possiamo permetterci di fare eccezioni" mi rimproverò sentendomi insistere.
"Va bene. D'accordo, verrò domani, ma ditemi come sta Andrea, poi. Ve ne prego. Vorrei sapere quali sono i suoi valori e se è tutto okay. Vi supplico" implorai, guardando negli occhi dalle iridi d'un azzurro cinereo il medico.
"Certo. A presto".
Le sue parole, la freddezza con cui aveva esposto le sue spiegazioni intricate mi avevano lasciato con un acuto senso di smarrimento. Non avevo compreso fino in fondo ciò che aveva cercato di spiegarmi in maniera il più elementare possibile nonostante l'argomento medico. Restavo con mille dubbi e domande che non avevo avuto modo di formulare neppure nella mia mente, tanto erano state rapide a sopraffarsi l'un l'altra.
Mi ritrovavo da solo ad affrontare una cosa così grande mentre Marco, di passo spedito, percorreva la rampa di scale che lo avrebbe portato al terzo piano dal mio Andrea.

Oh, quanto mi mancava. In realtà non era il suo corpo, carne ed ossa, a mancarmi. Quello lo avevo ogni giorno sotto ai miei occhi carichi di speranza. Ciò di cui sentivo la mancanza era la sua anima, il suo spirito, le cose astratte. Quelle di cui non si poteva misurare la grandezza. Così come il suo sorriso. Per quello non esisteva valore con cui poter assegnare un valore alla sua bellezza. Era sempre con il sorriso sulle labbra, un raggiante sorriso, lo spazio sottile fra gli incisivi, la fossetta solo in un lato, le labbra carnose a contornare il paradiso, la curva sul suo viso.
Se io ero tornato a sorridere era grazie a lui. E non capivo come potessi continuare a farlo nonostante la s.ua assenza. Forse era perchè lui eva sorriso così tanto da quando lo avevo conosciuto, specialmente a me, che avevo come accumulato l'energia positiva che mi aveva sempre trasmesso. E la stavo utilizzando in quell'istante, quel momento in cui era Andrea ad aver bisogno di una persona sorridente accanto a lui. Ed io, io stavo solo ricambiando l'immenso favore che lui mi aveva fatto fino a quel momento e che chissà, forse avrebbe continuato a farmi.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora