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Not A Very Good Liar, David Archuleta

Daniel

12 ottobre

"Ehilà, Ande!" salutai il mio ragazzo, sedendomi alla sua destra.
"Finalmente sono qua. Sono quattro giorni che non ci vediamo. Nè ieri nè l'altro ieri sono riuscito a passare. Non per volontá mia, ma a causa dei tuoi genitori. Hanno cercato in ogni modo di ostacolarmi. L'altro ieri sono venuti a trovarti durante quello che dovrebbe essere il mio orario di visita. Pensa che sono arrivato qua e loro erano fuori dalla porta, appostatisi come mastini napoletani per impedirmi di entrare. E quale è stata la loro scusa? Che non avevano avuto tempo prima di venire a trovarti. E che caso! No? Proprio nella mia ora... va beh. Alla fine non sono riuscito a spuntarla. 'Per un giorno passi' pensai. Però la sorpresa non ha tardato ad arrivare" dissi, interrompendo il racconto per un attimo.

"L'indomani, cioè ieri, sono arrivato in ospedale puntuale, con la speranza di non incontrare difficoltà nel poterti fare visita come di routine. Ma i tuoi, di nuovo, me lo hanno impedito. E sai cos'hanno detto? Che io non sarei più potuto venire a salutarti. Il motivo? Io non sono nessuno per te. A quel punto non ho resistito e le ho detto che fossi il tuo ragazzo. E tua madre mi ha tirato un ceffone. Stai tranquillo. Non mi ha fatto male. Sono piú le parole che ha usato contro di te che hanno ferito. Per difendere la nostra relazione sarei disposto a qualsiasi cosa" sussurrai.

"Peró non è finita cosí" ripresi a parlare.
"Per fortuna è arrivato il medico che ha voluto chiedere spiegazioni a tutti e tre. Pensa i tuoi genitori si sono fatti autorete. Hanno esposto delle motivazioni che hanno spinto il medico a darmi il permesso di stare qua nonostante i tuoi fossero contrari". Accennai un sorriso.
"Il medico dice che quello che faccio io toccherebbe a loro, quindi non hanno ragioni a dire che sono inutile. Ma io, come ti ripeto, lo faccio con assoluto piacere".

"Comunque sono molto contento di continuare a venirti a trovare. E tu? Spero che tu sia felice della mia presenza". Abbassai lo sguardo, giocherellando con la zip della felpa che tirai insistentemente su e giú lungo la chiusura metallica.

"So che rompo un po'. Ma io ci tengo a farti compagnia. Sei qui sempre solo... voglio che, almeno per mezz'ora al giorno, tu possa divertirti" dissi.
"O almeno, passare il tempo".

"Cosa ti va di fare oggi?" domandai.
"Purtroppo non ho in mente un programma, per oggi. Fino a stamattina ero così scosso da ieri che non ho avuto la testa per pensare a cosa farti fare. Il mio unico pensiero era quello di farti visita" confessai.
"Perdonami. Non è che non abbia avuto voglia oppure non sapevo cosa fare o non avevo idee. Era solo che ero più concentrato a raggiungere l'obiettivo. Sai com'è, avevo paura di ritrovarmi di nuovo i tuoi genitori davanti alla porta per la terza volta di fila". Risi.
"Non sarebbe stato piacevole tornare a discutere con loro!" esclamai e, nello spostare la sedia in avanti, raggiunsi il suo letto.

Riflessi. Era ormai una ventina di volte che lo andavo a trovare. Mancava davvero poco al che lui compiesse un mese da quando si trovasse lì. Ogni volta che mi rammentavo di ciò tornavo al punto di partenza, non riuscendo ancora a spiegarmi le ragioni per cui lui fosse lì. Ed il percorrere il tragitto che mi separava da casa all'ospedale era sempre lo stesso cocktail di emozioni, a volte mescolate fra loro, altre volte chiaramente distinguibili l'una dall'altra: paura, tristezza, rabbia, felicità, Quattro emozioni primarie, che se vissute fino in fondo sanno essere molto piú profonde di altre che si originano alla base di queste ed a volte risultano inspiegabili solo perché piú rare.
Ogni tanto si susseguivano l'un l'altra, facendomi prima tremare, poi piangere, inarcare le sopracciglia ed infine sorridere. Non avrei potuto non ritenermi la persona piú lunatica a questo mondo.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora