56

112 25 8
                                    

Daniel

Nonostante l'impazienza che mi syava divorando, dovetti attendere qualche giorno prima di poter tornare a fare visita ad Andrea. La riabilitazione, essendo una fase molto delicata, sottraeva molto tempo al paziente, levandogli ogni minima energia riuscisse ad accumulare nel suo emaciato corpo durante i pasti, frivoli e ingeriti senza appetito alcuno.

Oltretutto, come aveva giá tenuto a esplicare Marco, i suoi genitori avevano la precedenza su di me. Ed ogni volta che loro usufruivano del biglietto per prenotare la visita, io rimanevo fuori. Come se per lo spettacolo ce ne potesse essere solo uno, l'unico responsabile del sold out. Letteralmente, perché con la caciara che facevano nell'entrare in sala pareva quasi che avessero confuso una stanza ospedaliera per una struttura in cui tenere concerti.

Oggettivamente, senza stare a osservare il rapporto di parentela che Andrea avesse con Romita e il marito o col sottoscritto, non era corretto; ormai le visite dei suoi genitori erano diventate cinque, mentre io non avevo più avuto l'occasione di andarlo a trovare, dopo quel ventisei ottobre, il fatidico giorno del suo risveglio.

"Non potremmo fare come abbiamo sempre fatto? Mezz'ora a testa?" avevo domandato a Marco per telefono, l'ultimo giorno del mese, quando ormai era trascorsa un'intera settimana lavorativa.
"No, Daniel. Cerca di capire, la situazione è differente rispetto a prima. Andrea non è più in coma. Ha bisogno di riposare, si stanca facilmente e non può ricevere le visite che riceveva recentemente. Anzi, ora non può ricevere visite di nemmeno venti minuti. Abbiamo ridotto a un quarto d'ora solanto" mi aveva spiegato.
"Le visite vanno limitate" aveva poi aggiunto, sottolineando il fatto che fosse davvero fondamentale non eccedere con esse.

"Non possiamo dividerle? Sette minuti a me e otto ai suoi genitori. Per favore" avevo cercato di insistere, esprimendo con la massima umiltá la volontà di volerlo davvero rivedere.

"No, Daniel. Non si può".
"Allora cinque io e dieci loro. A me basta vederlo tutti i giorni per cinque minuti. Io...".
"No, non è fattibile" aveva risposto, troncando bruscamente ogni mio tentativo di far nascere una possibilità alle mie proposte. Eppure non mi sembrava di risultare così pretenzioso, di fare chissà quale improbabile richiesta. In fondo volevo solo vedere il ragazzo più importante della mia adolescenza.

Ciò che continuavo a domandarmi era se Andrea si ricordasse di me. Se pensasse a me. Se avesse domandato di me.
Con questi pensieri che farfugliavo disorganicamente nella mia mente, sorridevo.
Sorridevo perché immaginavo Andrea pensare a me e desiderare un bacio almeno quanto lo volessi io.
Volevo ricominciasse a camminare e intraprendere, cosí, una lunghissima passeggiata con lui. Una di quelle che lui definiva le solite , quelle che facevamo nei giorni liberi dallo studio, percorrendo decine di chilometri chiacchierando del più e del meno per ogni via e vicolo della periferia torinese in un paio d'ore che assieme volavano super in fretta.

Volevo ricominciasse a correre e sfidarmi a batterlo in una gara di velocità, che vinceva sempre. E anche se avesse faticato a correre, io non l'avrei sicuramente facilitato. Lui adorava le sfide e credeva che fossero la cosa più seria che esistesse. Ero certo che anche avesse perso sarebbe stata la corsa in cui avrebbe vinto di più.

Rammentandomi di un evento passato, risalente a qualche mese prima dell'incidente, quando le temperature estive baciavano ancora la pelle scuritasi dopo l'esposizione al sole cocente di agosto, non potei fare a meno di soffermarmi ad analizzare ogni minimo dettaglio mi sovvenisse alla mente.

"Chi arriva per primo a quella macchina bianca vince!" annunciava Andrea, iniziando a correre senza un preavviso, dando il via a una gara che aveva pianificato nella sua testa da chissà quanto tempo.
"Aspetta! Aspettami, Ande!" urlavo, inseguendolo e cercando di recuperare, ma rimanendo indietro sempre più.
"Prendimi!" urlava, lasciando che il vento spostasse la sua voce alle sue spalle, verso di me, più indietro di lui di parecchi metri .
"Non vale!" urlavo a squarciagola, realmente interessato alla sfida propostami. Ma la distanza fra me e lui non si colmava e andava addirittura ampliandosi, fino a diventare insanabile e a rendermi consapevole del fatto che anche quella volta non sarei riuscito a batterlo.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora