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Falling Stars, David Archuleta

Daniel

3 novembre

"E comunque, non ti ho ancora domandato... come stai, oggi?" proseguii la conversazione ormai in atto da un pezzo con il mio ragazzo. Il nostro colloquiare proseguiva imperterrito da minuti, ove domande e risposte si susseguivano a una velocità impressionante. Avevamo tante cose di cui parlare, finalmente, e Andrea sembrava essersi ripreso a tal punto da avere riacquisito la sua incontenibile parlantina, esibita in un fiume di parole.

Entrando nella sala, ero già stato pervaso dalle sue curiosità. Prime fra tutte, il motivo per il quale fossi spettinato. Poi, la sua attenzione venne attratra dal ciondolo tondeggiante che portavo al collo. A chiedermi chi me l'avesse regalata non aveva esistato, così come nel farmi notare che i fiocchi dei lacci delle mie scarpe, giacenti a terra, si fossero appena slegati sciogliendosi in affusolati fettuccine di candido tessuto.

Era impressionante notare con quanto interesse si facesse coinvolgere dal mondo esterno e quanta considerazione prestasse a ogni minimo dettaglio i suoi occhi e la sua mente captassero.

Le sue iridi, del medesimo verde scuro di sempre, erano accentuate da un contorno ancor più intenso che le faceva risaltare mentre, inghiottendo la pupilla nella loro splendida tonalità, facevano sparire quest'ultima non appena entrasse in contatto con i raggi del sole che gli ricadevano in pieno volto.
Ma nonostante il colore dei suoi occhi fosse sempre lo stesso, l'analizzarli con scrupolositá mi permise di notare qualcosa di diverso.
Percependo differenze, mi persi in esse, osservando la bellezza del verde che gli era stato donato con il verde dei miei occhi, più chiaro.
Probabilmente negli occhi del mio ragazzo non c'era nulla che fosse mutato, ma essere stato privato della loro visione per un lasso di tempo così duraturo mi aveva fatto smarrire ogni particolare che rammendassi di essi, particolari che in quel momento sembravano essere stati sottoposti a cambiamenti che avevano reso la normalità una novità.

"Cosa c'è, perché mi guardi cosí?" mi aveva domandato, notando con quanta intensità stessi anatomizzando i suoi meravigliosi occhi.
"Nulla, è che hai delle iridi bellissime" mi ero limitato a rispondere senza distogliere lo sguardo da lui, sperando che facesse lo stesso. Fissando le sue pupille alle mie, mi diede l'opportunitá di continuare ad analizzarli ancora per poco.

"Io preferisco le tue" confessò.
"Come?" chiesi, stupito da quella dichiarazione.
"Sí. Sono più chiare".
"Cosa c'entra?". Senza comprendere quale collegamento potesse esistere fra il chiaro e il bello, chiesi per una seconda volta una spiegazione.
"Che a me piacciono di più".
Spiegazione banale, ma efficace.

Andrea non era solito fare questo tipo di discorsi con tutti. Il perdersi dietro a piccolezze non era cosa che si vedeva fare spesso da lui, ma con me era la consuetudine. Erano l'impronta in ogni nostro dialogo, in ogni nostro momento trascorso assieme. E non avendo nessun altro con cui esprimere il suo desiderio di soffermarsi sulle semplicità della vita, notavo con quale impeto passasse da un discorso all'altro, analizzando, perdendosi in dettagli, descrizioni, sguardi nei pochi minuti che ci erano stati concessi per stare da soli, ogni giorno.

Andrea faceva percepire senza difficoltá quanto bramasse di rivedermi, giorno dopo giorno. La sua memoria stava tornando ad essere lucida e le sue forze, intensificatesi, gli davano la voglia di sperimentare, provare, fare e domandare.
Ma nonostante il desiderio di mettere in pratica cose concrete, non poteva fare altro che attendermi lì in sala, come tutti i giorni, alle cinque del pomeriggio. La cosa che più mi invogliava ad andarlo a trovare quotidinamente era il fatto che ormai potesse parlare, rispondere, sorridere, muoversi. Era una grande soddisfazione assisterlo in ogni suo progresso, perché io sarei sempre stato al suo fianco.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora