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One Step At A Time, Jordin Sparks

Daniel

7 ottobre

"Daniel, ti prego. Dicci tutto". La voce della mia interlocutrice, tremante ma elevata, desiderosa di conoscere, mi sorprese all'uscita dall'ospedale quando, prossimo a varcare il cancello esterno dell'edificio, ero indaffarato ad inserire frettolosamente le cuffiette nei padiglioni auricolari; giá pregustavo la prima canzone che sarebbe partita dalla mia playlist, ordinata secondo l'ordine alfabetico delle melodie da essa contenute.
Con la testa fra le nuvole, risultó ancor piú complesso constatare chi fosse la persona che, paratasi dinanzi a me, cercava invano di cavarmi parole di bocca gesticolando animatamente e ponendo domande che a stento riuscii a comprendere.
Sbarrando gli occhi, rimasi paralizzato di fronte ad una scena snervante: nel tentativo di farmi parlare, le sue mani svolazzanti andarono a scontrarsi contro le mie, facendo precipitare il mio cellulare, precariamente tenuto sul palmo di una di esse, ad un'altezza di oltre un metro.

"Oddio, Dane! Scusami" pronunció in successione, chinandosi frettolosamente a raccoglierlo per poi porgermelo.
Nel sollevare il suo minuto corpo, scontró con violenza il suo capo contro il mio viso, volto in basso per permettere al corpo di allungare le mani verso il telefono, malamente spiaccicato sull'asfalto crepato del marciapiede.

"Ah!" ansimai, appoggiando con un automatismo una mano in prossimitá delle tempie, le maggiormente colpite dall'impatto.
"Sono un disastro. Perdonami, Dane!".
Sospirando, incontrai i suoi occhi scuri, contornati da una corona di ciglia curvate verso l'alto.
"Lucrezia, da quando sei così maldestra?"domandai ironicamente.
"Da Agata me lo sarei aspettato ma da te... insomma!" la rimproverai senza mostrare un eccessivo nervosismo. Lei, mortificata, strinse il palmo d'una mano attorno al gomito, coperto da una bella giacca di pelle corvina. Le sue gambe, incrociati i piedi, erano scoperte da un vestito dall' acceso rosso che scendeva poco al di sotto delle sue ginocchia.

"Menomale che non si è rotto"  mi rasserenai, girando fra le mani il soggetto della mia proposizione: il cellulare, lievemente scheggiato sul retro.

"Scusa, scusa" continuó desolata lei.
"Non preoccuparti, non è successo nulla" la rassicurai.
"Tu come stai?" domandó.
"Intendi per la craniata?" chiesi, massaggiandomi la fronte.
"No. Cioé, sì. Ma non solo per quello. Intendo per Andrea" balbettó, scuotendo un paio di volte il capo.
"Per la testata sí" dissi sorridendo.
"E... per Andrea?"  domandò timorosa, intendendo che, se avessi risposto affermativamente solo alla prima domanda, per la seconda non avrei potuto fare lo stesso.

"Allora?!" mi spronó a parlare con tono pieno di speranza, ma allo stesso tempo carico di tensione. Lei e le sue amiche,  poste all'angolo del marciapiede per chissá quale ragione, erano venute a prendermi davanti all'ospedale, facendomi una grandissima sorpresa. Mai me lo sarei aspettato. Loro erano lì, sotto una pioggia incessante, sotto un misero ombrello dal telo oramai consumato, il bastone corto e scomodo, ad attendere che parlassi loro di cose che di sicuro non avrebbero reso la loro giornata migliore.

"Cosa ci fate voi qua?" domandai, vedendo Agata e Melissa venirmi incontro mentre Lucrezia attendeva impaziente una mia risposta alla sua precedente domanda.
"Siamo venute ad aspettarti uscire dall'ospedale" parló la bionda.
"Ma ragazze... sta diluviando" dissi, aprendo il mio ombrello, agganciato alla tasca del giubbotto, e porgendolo a Lucrezia e a Melissa.

"Agata, tieni" parlai, levandomi rapidamente il k-way per poi porgerglielo.
"Ma Daniel... e tu?" domandò lei, prendendolo delicatamente fra le mani.
"Mettilo, non preoccuparti per me" dissi, scuotendo la testa.
Obbedì, guardandomi con poca convinzione.
"Grazie" disse poi.
"Grazie" s'aggiunsero Lucrezia e Melissa, chinando le loro teste sotto a quella sbiadita tela celeste.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora