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*Descrizioni di autolesionismo*

Numb, David Archuleta

Avrei cancellato qualsiasi suo ricordo di me a patto di garantirgli la sopravvivenza.

Daniel

Me ne stavo sdraiato sul mio letto, in camera mia. Le tapparelle, perennemente abbassate, lasciavano che quale ultimo raggio della stagione penetrasse attraverso esse. L'oscurità mi permetteva di sentirmi protetto, come se potessi nascondermi da tutto, cosa che con la luce non avrei potuto fare e avrei esposto me stesso, anima, sentimenti e corpo mettendo in pericolo la mia sensibilità, il mio pudore.

Era come se il mio corpo fosse stato squarciato e vi fosse una gigantesca ferita aperta, ancora fresca e sanguinante; così immensa e profonda che mai la pelle, l'involucro di essa, sarebbe riuscita a ricrescere per farla rimarginare.

All'interno, era come il fuoco a contatto con l'ossigeno. Il dolore si faceva sempre più grande, sempre più incolmabile, alimentato dall'aria che ingigantiva le fiamme. E nessuno avrebbe potuto spegnere un incendio che ormai stava divorando tutti i dintorni, tutto me. E chissá, sarebbe arrivato al mio cuore.

La ferita sarebbe rimasta aperta mostrando gli organi, il sangue colare, il cuore continuare a battere fino a quando anche quello non avrebbe cessato di farlo. E se non aveva ancora smesso, dovevo dire grazie ad una persona.

Quanto avrei voluto esserci io, al posto di Andrea. Avrei cancellato qualsiasi suo ricordo di me a patto di garantirgli la sopravvivenza.
Non m'importava se dopo la guarigione si sarebbe dimenticato di me, di quello che avevamo vissuto in così poco tempo, di quello che stavamo facendo, di ciò avevamo in progetto di compiere in futuro, avendolo ormai previsto assieme, nonostante stessimo assieme da soli sei mesi.

Mai avevo conosciuto qualcuno come lui.
Con Sonia avevo forse vissuto delle emozioni fortissime. Ma l'avevo conosciuta con tutta la calma del mondo, lasciandomi infatuare e trasportare nella relazione nel corso del tempo.
Mentre con Andrea... con lui era stata una cosa differente.

Mi aveva stregato in pochissimo tempo.
E in altrettanto poco tempo avevo creduto di toccare il cielo con un dito, avevo provato sentimenti nuovi, avevo sperimentato rendendomi conto di quanto fosse meraviglioso scoprire che quelle esperienze mi avessero fatto superare un dolore che mai avrei creduto sarebbe passato.
Con lui avevo progetti a cui mai avevo pensato, dei veri e propri piani.
Con lui condividevo opinioni, sentimenti, amore, idee. Con lui ero me stesso. A lui avevo dato il meglio di me. A lui avevo donato il mio cuore, fino a poco prima completamente distrutto, pieno di cerotti e cicatrici, non completo.
Avrei potuto paragonare il mio muscolo pettorale ad un puzzle. La parte esterna era stata facile da ricostruire; era soltanto una cornice. Ma il centro, quello risultava sempre complesso da completare. E se si perdeva una tesserina, non ci si poteva ritenere soddisfatti di aver fatto il proprio lavoro.

Per tanto tempo avevo cercato disperatamente quella tesserina, pensando a dove potesse essere finita.
Avevo custodito attentamente ogni pezzo di esso, pensando che il puzzle al centro del mio petto, quello avente come immagine da ricostruire il mio cuore, non avrebbe mai subito perdite.
E per tempo cercai di capire. Dove poteva essere? Magari non era nelle mie mani. Magari era qualcun altro a detenerlo.
Sì. Era... era lui. Andrea. In lontananza, teneva custodito accanto al suo cuore, il pezzo mancante del mio.
Ne era lui, il possessore.

"Per favore, mi daresti quella tesserina? Mi servirebbe per completare il mio cuore" pronunciai con pacatezza, vedendolo comparire dinanzi a me.
"Va bene. Ma facciamo un patto" rispose, allungando una mano verso di me. M'allontanai.
"Quale?" domandai diffidente.
"Io ti restituisco la tesserina. Ma tu permettimi di essere colui che te la appoggerà al cuore".
"Io... io non posso. Non posso farlo" scossi la testa.
Una mano grande, dalle dita affusolate, teneva al centro del palmo il pezzo del puzzle, rovinato e scolorito. Proprio di fronte a me.
"Dammela, ti prego!" lo scongiurai, allungando un braccio in sua direzione, ma lui la retrasse.
"Ecco". Questa s'avvicino a me, al mio petto. Indietreggiai, spaventato.
"Cosa... cosa vuoi fare?" chiesi, con voce tremante, incontrando i suoi occhi.
"Non ti farò del male" mi rassicurò la sua voce.
"Ne sei sicuro? Ho sofferto così tanto...". Annuí. I suoi passi si avvicinarono a me. Attesi il suo contatto sulla mia pelle.
I polpastrelli delle sue dita, delicati e soavi, sfiorarono il mio petto.
"Ah..." gemetti, nonostante la dolcezza con la quale mi avesse sfiorato. Mi sorrise. L'osservai nelle iridi, meravigliose. Mi persi a osservare il suo volto, la sua pelle, le sue labbra. Percorsi il suo volto con il mio sguardo, vergognandomi dell'assenza del mio pudore.
Poi mi avvicinai, lentamente, a queste ultime. Si scostó, volgendomi un ulteriore sorriso.
"Ecco fatto" pronunziò facendo spuntare fra di esse i suoi bei denti, interrompendo la mia azione.
Sentii come se fossi stato trafitto da una lancia. Non dal dolore al petto. Ma dalla profonditá con cui mi osservasse; percepii la dolcezza con cui mi stesse scrutando. Mi sentivo appagato. Non potevo credere che qualcuno come lui mi stesse osservando.
"Ora il tuo cuore è a posto" aggiunse poi.
Non avevo sentito nemmeno il contatto della tesserina inserirsi nel suo incastro, avente ancora ferite fresche aperte sul margine.
Avevo lasciato che il mio senso del tatto si dedicasse a ciò che sarebbe avvenuto più tardi. Un tocco delle labbra, quelle labbra che parlando mi rassicuravano soavemente.
"Ora puoi proseguire, sei completo" mi riportò alla realta.
"Come?" domandai, ancora sconvolto da ció che avesse appena fatto.
"Sì".
"Ma come, io... io non voglio proseguire così" scossi il capo.
"Così come?".
"Così". Alzai le spalle facendomi piccolo.
"Perché? Perché no?".
"Tu chi sei?" domandai. Sorrise.
"Io non sono nessuno. Io ho solo trovato l'ultima tessera del tuo puzzle".
"Tu... tu sei la tessera che completa il mio puzzle!" esclamai, sorridendo.
"Io?".
"Sì". Un lieve sorriso comparve sulle sue labbra. Probabilmente, anche se aveva cercato di nasconderlo, la spontaneitá aveva prevalso sul suo sforzo di trattenersi.
Appoggiai una mano sul mio cuore, avvertendo una pulsazione.
Aveva ricominciato a battere. Pulsava come non faceva da tempo.
Pum pum pum.
Sorrisi, volgendo il mio sguardo a lui, sempre di fronte a me, a poche decine di centimetri. La sua mano s'avvicinò alla mia, sfiorandola. Poi si sostituí ad essa. L'osservai, abbassando lo sguardo.
"Perché questo pezzo è sbiadito?" domandai.
"Ci vorrà del tempo perché riprenda le sfumature intense di un tempo" sussurró.
"E tu come lo sai?" domandai. Non rispose.
"Quanto tempo ci vorrà?" chiesi allora.
"Dipende da te".
"Da me?".
"Sì". Il mio cuore iniziò ad accelerare sotto il suo lieve tocco. La sua mano, appoggiata sopra di esso, si spostò lievemente. Arrossii imbarazzato.
Lui sorrise. Mi rasserenai.
"Perché?" tornai al discorso precedente.
"Ora che hai trovato il pezzo, il tuo cuore è completo. Ma manca ancora un passo perché possa essere anche felice".
"Cioè?".
"Hai trovato la tesserina. Ma devi attendere del tempo perché la felicità possa arrivare da te. Ci vuole tempo" ripetè.
"E quanto? Come faccio?".
"La felicità devi cercarla tu. Devi capire cosa manchi al tuo cuore che lo renda felice".
"Io... io lo so" peccai di presunzione.
"Come?".
"Sì. è l'amore. Manca l'amore" dissi, abbassando lo sguardo.
"Ma come posso ritrovarlo? L'ho perso un po' di tempo fa e adesso non so più cosa fare" confessai.
"Pensa bene. La tesserina che ti mancava era l'amore". Alzai lo sguardo.
"Ebbene?".
"Ora l'hai trovata".

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora