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Daniel

Il giorno successivo, non ancora sazio di quante sofferenze avessi giá vissuto, chiesi a mia madre di riaccompagnarmi nuovamente all'ospedale. Di sicuro ci sarebbero stati i genitori di Andrea e, per quanto ciò causasse malcontento, si sarebbe rivelata un'occasione per domandare loro il permesso di fare visita al mio ragazzo.

Io e mia mamma, giá prossimi a giungere presso la sala, entrammo in ascensore, io timoroso, mia madre assente. Giungendo al secondo piano, quello della nostra meta, trasalii. Erano passate solo ventiquattro ore da quando non vi mettevo più piede, ma non vedere Andrea le aveva fatte sembrare molte di più.

"Speriamo in bene" dissi, incrociando le dita in ascensore. Serrando gli occhi, sollevai il capo. Giá immaginavo la reazione dei genitori di Andrea nel veder comparire, dinanzi alle loro persone, mia madre e me.

Le porte dell'ascensore si aprirono silenziosamente, facendo sì che uno spazio sempre più vasto separasse le due ante, che scorrevano lateralmente, permettendoci di uscire dopo un paio di secondi.
Ci incamminammo per il corridoio, io trascinando i miei passi sulle piastrelle lucide, come a cercare un attrito che decellerasse la rapiditá con cui si susseguivano; mia madre, invece, proseguiva spedita. Chissá a cosa pensava mentre, con i suoi occhi scuri, guardava dritto davanti a sè.
Sentendomi risucchiato dalla velocità con cui mia madre si stesse allontanando da me, mi vidi obbligato ad allungare il passo per starle dietro. Corricchiando malvolentieri, mi posizionai alla sua destra, arrivando ormai davanti alla porta dove Andrea era ricoverato. Sentii dei brividi corrermi lungo la spina dorsale. Per poco, quelli, non furono cosí intensi da farmi svenire come era accaduto la volta precedente.

Ansioso, presi la mano di mia madre con il palmo della mia, tanto sudato quanto gelido.
"Mamma..." pronunciai. Lei l'afferò saldamente, vedendomi quasi crollare nel balbettare quelle poche parole.
"È tutto a posto?".
"Sì" la rassicurai, sperando che credesse a ciò che le avessi appena detto. Nemmeno io riuscivo a farlo.
"Siediti qui". Mi accompagnò fino ad una serie di sedie, postd accanto al muro.
Mi sedetti su di una, non troppo distante da una signora che, gambe accavallate, mi scrutava in malo modo, forse infastidita dalla mia presenza che aveva intaccato la solitudine della sua persona su quell' infinita sfilza di panche color fumo. Per un attimo, dimenticatomi anche del suo sguardo gravoso su di me, mi ero abbandonato alla debolezza ed avevo visto tutto nero. La testa continuava a girare nonostante le rassicurazioni di mia madre.
"Non ti succederá niente" continuava a ripetere, non capii se per dare forza a me o convincere se stessa di qualcosa di non certo.

María Inés si sporse verso la macchinetta delle bibite, posta proprio accanto a me. Digitando un numero sulla tastiera luminosa, lesse la cifra che corrispondeva alla vivanda. Prelevò i soldi dal portafogli e li inserì all' interno del macchinario, emettente suoni acuti. Poi digitò la sezione corrispondente all'acqua e aggiunse qualche tacca di zucchero.

"Ecco, tieni. Bevila" mi ordinò, porgendomela. Accompagnando il gesto da un mezzo sorriso, allungai una mano verso il bicchiere di plastica, d'un bianco smorto. Controvoglia, le diedi ascolto.
"Grazie" sussurrai. Poi sospirai, osservando il livello dell'acqua essersi abbassato all'interno del suo contenitore.

"Ti senti meglio?" domandò lei, preoccupata.
"Poco" confessai.
"Ce la fai ad alzarti?".
"S-sì" risposi balbettando, afferrando la sua mano che mi era stata porta per sollevarmi con maggiore facilità.

Feci in tempo a muovere due passi che davanti a noi comparvero due persone, un uomo ed una donna. Scorrendo rapidamente lo sguardo sui loro volti, potei constatare si trattasse dei genitori di Andrea, tutt'altro che simili a questi. Il motivo per cui ero riuscito a rammendare i loro visi era perché non ero riuscito a scordarli dal momento in cui avevo scoperto che, riguardo alla salute del mio ragazzo, mi avevano mentito spudoratamente. E così, anche volendo cancellare le loro stolte espressioni dalla mia mente, non ero riuscito ad eliminare il tratto d'un pennarello indelebile con i mozziconi di gomma che tenevo fra le dita.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora