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A volte è normale che lo cose più
banali le si diano per scontate.

Touch My Hand,
David Archuleta.

Daniel

"Corri, corri!" gridavo con tutta la voce che avevo in petto.
"Ti prego, corri!". I miei passi si susseguivano rapidamente uno dopo l'altro, l'asfalto veniva calpestato dalle mie suole che, dalla pressione dovuta alla corsa rapida e decisa, duolevano ai piedi. La valigia, issata sulla spalla, sobbalzava rumorosamente. I capelli, mossi dal vento, ostacolavano la visuale interponendosi davanti agli occhi, sfiorando le palpebre e le tempie. L'aria calda penetrava nei polmoni e attraverso il sottile strato di cotone della candida maglietta che portavo al busto. Le gambe si muovevano rapidamente, ritmiche, prima la sinistra, poi la destra ed un attimo dopo il ciclo cominciava, garantendo un rapido spostamento della mia persona verso l'avanti. Osservavo le auto alla mia sinistra decellerare in prossimità di un semaforo rosso e, per un attimo, mi parve di correre alla loro stessa velocità, vedendole parallele a me. Ma ecco che con lo scattare del verde la cosa si diluiva, le auto in prima fila partivano, causando un più rapido spostamento di quelle al mio fianco. E a quel punto rimanevo da solo, mentre le macchine che mi avevano accompagnato nella folle corsa mi sorpassavano, incuranti della fatica che facessi per accelerare e mantenere il loro passo. Impossibile.

"Ande, corri! Il pullman sta per arrivare alla fermata!" urlavo lasciando che la mia voce venisse trasportata alle mie spalle dal vento caldo.
"Eccomi, eccomi!" esclamava lui dietro di me, chissà quanto distante.
"Ande!".
Il mezzo, grosso e a due piani, era giunto alla fermata.
"Merda!" gridai, allo stremo delle mie forze.
"Ci sono!". I suoi passi raggiunsero miracolosamente i miei, ormai giunti a destinazione.
"Saliamo" dissi, prendendo fiato spalancando ancor di più la bocca, giá aperta per permettere alle mie parole di essere udite.

A bordo, una comitiva di trenta persone si era giá accomodata sui posti anteriori. Io ed Andrea, percorrendo il corridoio, ci ritrovammo a sedere al penultimo posto, accanto ad un altoparlante che trasmetteva della musica jazz.
Ancora affaticati per la corsa, non riuscimmo ad aprire bocca per parlare per almeno i cinque minuti successivi, ma ci limitammo a scambiarci qualche occhiata complice.
"Ce l'abbiamo fatta, hai visto?" comunicavano le sue pupille perse nelle iridi scure, più chiare in prossimità di esse.
"Lo so. Sei stato grande" trasmettevano le mie.
Ed infine sorrisi, contenti di essere prossimi alla bramata destinazione.

"Che corsa..." esordì Andrea, rivolgendomi il suo sguardo, ridente e sveglio.
"Mh?" pronunciai prendendo tempo e voltando con calma il capo in sua direzione.
"Non credevo fossi così veloce" confessai.
"Ovvio. Ho praticato atletica per sei anni, sai?" mi disse con tono pungente.
"Davvero?" caddi dalle nuvole e trascurando il modo in cui mi avesse risposto.
"Certo! Adoro quello sport. Mi piaceva un sacco correre, allenarmi sia in velocità che in resistenza. Era ed è la mia passione".
"Non me ne hai mai parlato!" mi lamentai incrociando le braccia e spostando lo sguardo verso il finestrino, limpido e trasparente, che permetteva la vista di un'ampia autostrada a due corsie, accompagnata su entrambi i lati da una vasta campagna dalle tonalitá verde acido con qualche punta di giallo qua e lá: erano piccole abitazioni sparse fra i campi, fertili e accarezzati dal vento tiepido.

"Giá" sussurrò dopo una dozzina di secondi quando ormai il discorso pareva essere giunto al termine, volgendo il suo sguardo verso il finestrino del pullman alla sua destra così come avevo fatto io nella direzione opposta. Il paesaggio che scorreva accanto a noi si era rapidamente trasformato. I campi fertili erano stati sostituiti d'immensi prati d'un verde tipico, sormontati da un cielo vivo ed azzurro. Ed in lontananza, eccolo lì, il mare. Turchino, si fondeva col firmamento in una linea di confine quasi invisibile.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora