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Daniel

Sballottato fuori da quelle quattro mura in cui Andrea, non più giacente sul letto, ma ritto su di esso, era stato immediatamente circondato da medici e infermieri, attesi pazientemente Marco fuori dalla sala. Con pazienza si fa per dire; quella fui purtroppo costretto a mantenerla con molta asperità, ma il mio desiderio di rimanere lì dov'ero stato fino a poco prima era talmente intenso che a stento riuscii a placare la mia brama di irrompere nella sala.

Nel frattempo camminavo su e giù per il corridoio, nervosamente. Le mani, tenute in tasca per evitare che un brusco movimento potesse portarmerle alle labbra e avviare le unghie verso un processo di annullazione della loro esistenza sui miei polpastrelli, iniziarono a velare i palmi di un sottile e umido strato di sudore.

Muovendo i passi lungo quattro piastrelle quadrate poste in fila cercavo di intrattenermi evitandondi pestare le sdutte linee perimetrali che separavano l'una dalle altre, isolandone il materiale celeste.

Abbassavo e sollevavo assiduamente lo sguardo, ogni tanto volto ad analizzare le punte delle mie scarpe, che di stimolante avevano ben poco. I lacci, dilavati, avevano schiarito la tonalità corvina convertendola in cinerea. Le estremità, convergenti in piccole inserzioni dalla plastica trasparente, non avevano impedito che il tessuto si sfaldasse. La tela, affrontate giornate di piogge e di neve, si era usurata a tal punto da farvi entrare dell'acqua dalla suola ogni qualvolta inserissi il piede in una pozzanghera, cosa che mi era capitata svariate volte solo in quel giorno dalla mattinata uggiosa.
Giurai che le avrei cambiate non appena avessi avuto un istante da dedicare a me stesso.

L'alternativa all'analisi delle mie calzature ricadeva sull'osservazione delle persone passare, forse accidentalmente per di lì, in modo frettoloso per il corridoio Poi, voltati i tacchi in maniera repentina e ritornati indietro di qualche passo con espressione smarrita, domandavano con tono inintelleggibile dove si trovassero determinate sale da loro non riscontratane la posizione.

I genitori di Andrea, ultimamente vigili sugli orari di visita loro e soprattutto miei, non erano ancora arrivati. Mancava poco a ciò, in quanto erano in ritardo di cinque minuti e non avrebbero di certo tardato ulteriormente. La contentezza non era l'emozione visibile a primo impatto sul mio volto, abulico . Sapevo che, se ci fossero stati loro, non avrei avuto modo di vedere più Andrea fino al giorno seguente.

Rimasto solo ad attendere il concludersi di un tempo interminabile, lasciai che i miei pensieri venissero alla mente.
Ovviamente la prima cosa, o meglio, persona che mi venne in mente, non potè che essere il mio ragazzo.
Ero così gratificato si fosse finalmente svegliato e che avesse finalmente interrotto quel lungo sonno da cui pareva non volersi proprio svegliare.

Era una data che avrei dovuto segnarmi. Una data importantissima, assolutamente da ricordare. Ventisei ottobre. Oh, forse non avrei nemmeno dovuto farlo: sarebbe stato il compleanno di Sonia.
Come avevo fatto a dimenticarmi di un evento così importante?
Domandandomelo mentalmente, tentai di dare risposta al quesito.

Il fatto era che, con l'incidente di Andrea, non avevo potuto pensare ad altro che a lui. Nemmeno più la scuola, la famiglia, gli amici avevano avuto alcuna importanza, ormai. Mi ero giurato di non voler pensare ad altro che a lui e mi ero lasciato trascinare da questo pensiero che mi aveva isolato dal resto del mondo per un tempo immenso: un mese e una settimana. Era Tanto. Tanto da farmi scordare persino di Sonia.
Non avevo dedicato nemmeno un pensiero a lei, in quei maledetti quaranta giorni.

E pensare che alla sua scomparsa avevo promesso a me stesso che l'avrei pensata ogni giorno della mia vita.
Non stavo imparando a dimenticare i pensieri su di lei, stavo dimenticando di imparare a gestire i pensieri su di lei. Ricordavo alla perfezione tutto ciò che avessi vissuto con la mia prima vera ragazza e quanto avessi sofferto alla sua scomparsa.
Ma non volevo che, smettendo di farlo per Andrea, in quel momento molto bisognoso di me, potesse accadere lo stesso a lui. Un po' come se, senza la mia mente perennemente incollata ad Andrea, si potesse verificare una specie di tradimento che portasse allo spezzarsi della sua vita.
Come se essa fosse interamente dipendente dal mio pensiero e fossi io, l'unico a doverlo mantenere in vita continuando a desiderare fortemente che continuasse ad esistere.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora