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Don't Run Away, David Archuleta.

Andrea

"E comunque, sentivo tutto quello che mi dicevi" risposi sorridendo al mio ragazzo che, accarezzandomi la testa, se ne stava a gambe incrociate, seduto a terra a sentite finalmente il contatto con il pavimento fresco di casa mia. Passando ripetutamente le mani fra le ciocche dei suoi capelli chiari, aveva dato origine a un massaggio con i miei polpastrelli. Avevo insistito parecchio affinchè fossi io a farlo godere di quel piacere, nonostante mi avesse più volte domandato di fare il contrario. Aveva paura che le sue gambe, ancora deboli, non potessero sostenere ancora grandi pesi. "Ce la faccio" avevo orgogliosamente ripetuto. Poi, incrociatele, l' avevo invitato a sdraiarmi. Chiudendo gli occhi, aveva poggiato la nuca su una mia coscia.
"Non ti faccio male?" aveva poi domandato, ricevendo una risposta negativa.

"Non posso credere che siamo finalmente a casa" sentenziai, poi, osservando le pareti della sua camera, quella in cui eravamo immersi circondati da effusioni che ci scambiavamo da ormai un buon quarto d'ora.
"Sono troppo felice" dissi poi, obbligandolo a sollevare lo sguardo per incontrare il suo viso, che i suoi occhi captarono al contrario. Sorridendogli, gli feci intendere che avesso soltanto esternato quello che rappresentava la verità.
"Ah sì?" domandò poi.
"Sí" affermai. Daniel sorrise in risposta al mio sorriso.
Accarezzando una sua guancia, lo vidi sporgersi rapidamente verso di me e far incontrare le nostre labbra. Baciare al contrario era una bellissima sensazione.
Sorridendo mentre mi ricevevo il bacio, capii che ero davvero emozionato nel farlo. Daniel, invece, non lo pareva esserlo. I suoi occhi, chiusi, non permettevano di percepire emozioni. Ma chissà, dentro di lui forse era un' esplosione di emozioni che era soltanto stato bravo a contenere e a camuffare sul viso che, dilatati i muscoli, dava quasi un'idea di apatia.
Forse era solo estasiato.

"Ti amo" sussurró poi, osservandomi dal basso del suo capo tornato a poggiarsi sulle mie cosce.
A quel punto sorrisi, e sorrisi ancora.
La sua mano si poggiò su un mio braccio, steso accanto al suo corpo. Cominciando a far scivolare le dita sulla mia pelle, provocò l'innalzarsi inevitabile dei miei peli che fecero accapponare la pelle.

"Quanto ho atteso questo momento" continuai a parlare mentre Daniel, in silenzio, proseguiva nel farmi sentire la pelle d'oca.

"E che cosa sentivi?" domandò poi tutto a un tratto. Rimasi in silenzio, osservandolo sollevare il suo sguardo. Le nostre iridi si incontrarono.
"Durante il coma?" chiesi conferma. Annuendo, sbattè le ciglia un paio di volte. Le palpebre serrarono i suoi occhi per degli istanti, impedendo la visuale delle sue pupille, ridotte a capocchie di una spilla. La luce del giorno veniva filtrata da esse, colpite in pieno dal frutto del bagliore del sole che le faceva divenire minuscole.

"Tutto quello che mi raccontavi" dissi, facendolo rimanere a bocca aperta. A breve avrebbe parlato, finalmente.
"Tutto tutto?".
"Sí, Dane" diedi conferma, placando per un istante il movimento delle mie dita.
"E cosa dicevo?". Presi tempo, trattenendo una risata. Era troppo curioso, anche se da un lato avevo compreso quanto fosse coerente la sua domanda. Essendo sempre stato al mio fianco, era normale volesse sapere ogni cosa riguardasse il mio coma.

"Lo sappiamo entrambi" dissi con malizia, osservandolo.
"Ma voglio che tu me lo dica esplicitamente". Scosse il capo.
"Ricordo... ricordo che tu, ogni giorno, mi raccontassi la tua giornata a scuola. Mi raccontavi delle tue interrogazioni, delle tue verifiche" cominciai, ticchettando l'indice sul mento per qualche istante.
"Mi parlavi di Melissa, Agata e Lucrezia. Oh, di Tommaso. Quanto mi è mancato..." confessai.
"Dimmi, cosa provavi quando ti parlavo?".
"Tante sensazioni..." dissi, senza riuscire a spiegarle a parole.
"Mi sentivo come intrappolato nel mio corpo. L'unico desiderio che avevo era quello di rispondere alla domanda che mi ponevi ogni volta che venivi a trovarmi. Avrei voluto rassicurarti e dirti che stavo bene. Io stavo bene, sul serio. Ma tu non potevi saperlo e io non potevo dirlo. Avrei voluto gridarlo, avrei voluto rassicurarti che ero vivo, che ti sentivo, che ero vivo per te. E tu, tu eri lì per me...".
"Ande..." sussurró il mio nome, iniziando a premere le dita d'una mano contro le altre, i palmi stretti a pugno l'uno dentro l'altro.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora