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Andrea

"Daniel..." sussurrai a bassa voce, dall'interno della mia camera, dalla porta socchiusa. Nascosto il viso al di lá delle tende, trasparenti ma coprenti, ne accarezzai la superficie passando una mano su di esse, che strinsi delicatamente fra le dita.
Feci cadere lo sguardo su ciò che vi era dall'altra parte di esse;  Daniel, giratosi di spalle, stava per indirizzare i suoi passi lontano da me, nella direzione completamente opposta. E io, mentre l'osservavo cercando di non far notare la mia presenza, stavo ancora lì a scrutarlo e cercavo riparo tramite il sottilo strato di seta che poggiava delicatamente sulle finestre della mia stanza. Non volevo notasse che fossi ancora lì.

"Fernando?". La voce di mia madre si fece udire da chissá quale parte della casa. Lei, solita a muovere passi e passi durante una qualsiasi telefonata, avrebbe potuto anche percorrere un chilometro senza rendersene conto. Cellulare all'orecchio, sguardo basso, era sempre così concentrata quando chiamava qualcuno che non s'accorgeva che le sue gambe spostavano avanti e indietro il suo corpo. Probabilmente vedeva, nel movimento, un modo per scaricare la tensione e alleviare lo stress di qualcosa che non avrebbe voluto sentire.

Ignorando il mio nome pronunciato giá troppe volte, rimasi imbambolato a osservare il mio ragazzo allontanarsi dalla mia dimora senza poter fare nulla per impedirglielo. Mani in tasca e cappuccio in testa, sembrava non avere più nulla che potesse permettermi di immaginare un contatto diretto con lui. Le dita erano nascoste all'interno della sua felpa imbottita e calda, mentre il capo era inserito nel felpato cappuccio della sua muta color melanzana.

"Fernando! Quante volte devo chiamarti ancora?" reiteró ancora mia madre, prossima a spalancare la porta di camera mia. Sbarrando gli occhi, sapevo cosa sarebbe successo se mi fossi fatto trovare in piedi dopo che le avevo detto di avere la febbre. Così, presto, mossi un paio di passi che mi condussero al letto e, frettolosamente, mi gettai sulla sua superficie, rimbalzando per un paio di secondi. Afferrando la coperta color paglia e portandola all'altezza delle spalle, coprii l'intero corpo e serrai gli occhi, riproducendo sul mio volto un'espressiome addolorata e attesi l'inevitabile.

"Fernando, quante volte devo dirti che devo stare sotto alle lenzuola! Fa freddo e hai la febbre. Una coperta non può bastare per farti stare al caldo" mi rimproverò lei, spalancata la porta e sollevato un dito indice per sgridare il sottoscritto che, aggrottata la fronte, emise un gemito di dolore. I suoi occhi scrutarono il mio busto mal coperto con quella misera coperta di pile che aveva festeggiato fin troppi Natali. Una gamba, mezza scoperta, aveva cercato di nascondersi sotto al suo tessuto non appena mi fui reso conto di quanto male avessi fatto giacere quello straccio su di me.

"Sto male..." mi lamentai, venendo raggiunto da mia madre, che mi sistemó la coperta rimboccandola fino al mento.
"Per forza, giri sempre vestito come se fossimo a inizio primavera anche se l'inverno è appena cominciato" mi rimproverò ulteriormente. Sedendo accanto a me, sul letto, allungò una mano verso la mia fronte.

"Ho appena terminato la telefonata. Vado a prepararti un tè caldo" sentenziò dopo aver premuto poco sopra alle tempie con i suoi polpastrelli tiepidi.
"Sembrerebbe che la febbre, dopo la tachipirina, ti sia leggermente passata. La tua fronte è più fresca" elaborò poi.
"Mh mh" mi limitai ad annuire, ricordandomi di aver lasciato la pastiglia da lei datami, mezza scioltasi, all'interno della bottiglia d'acqua nella quale l'avevo sputata per evitare di imbottirmi di medicinali superflui. Appoggiata sul comodino, dal lato opposto rispetto a quello in cui mia madre si era messa, speravo non la notasse. La parete plasticata di essa si era tinta di una colorazione biancastra dovuta al degradare della pastiglia, ridottasi in una poltiglia farinosa.

"Incrociamo le dita che per domani ti passi" speró poi, osservandomi negli occhi. Il suo sguardo all'interno delle mie pupille mi fece sentire eccessivamente in soggezione per la balla che le avevo raccontato. Speravo davvero che non percepisse nulla di sospetto anche solo attraverso le mie iridi, tremanti di insicurezza.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora