8

239 44 11
                                    

Daniel

"Hey, Ande..." furono le uniche parole di conforto che riuscii a pronunciare. Non seppi se preferir sfociare nella volgaritá di un eccesso di parole o la banalità del balbettare qualche suono giusto per rompere il silenzio, che riuscivo a ritenere rude e frivolo allo stesso tempo.
Congiungendo le mani in un pugno, cercavo di fissare lo sguardo su qualcosa che potesse rivelarsi fruttuoso: gli occhi del mio interlocutore, o meglio, di colui che se non a parole rispondeva a singhiozzi, le sue labbra da cui suono alcuno avrebbe avuto il coraggio di farsi udire, le sue guance rigate così profondamente... come tracciate da un taglierino che ne perfora la superficie, violentemente.

"Ande... cosa succede? Perchè piangi?" ripetei la domanda, mantenendo un tono di voce relativamente calmo. Ma nonostante la buona volontà che riponevo nel non far emergere la mia agitazione, lui non pareva curarsi di rispondere.

"Dimmi, cosa succede?". Non c'era verso di far parlare Andrea. Con la mano lo scuotevo piano mentre lui, di fronte a me, si copriva il volto con le mani, prolungate in affusolate dita.
"Ti prego, dimmi tutto. Sono qua" ritentai. Ma il suo incessante singhiozzare sovrastava le poche parole che era riuscito a balbettare.
"Io... non...".
"Tu... tu cosa?". Attraversato da attacchi di panico, continuava a piangere contraendo le spalle, larghe.
"Ande, per favore. Mi fa male vederti così". Pronunciai per l'ultima volta, prima di sprofondare in un gravoso silenzio, rotto solo dal continuo singluttiare.
Osservavo impotente il mio ragazzo senza più proferire parola, nè sfiorarlo minimamente. Lasciavo che fossero le sue mani a fungere da scudo per il suo viso, certamente stravolto da una miriade di lacrime che erano precipitate lungo le sue gote, fino a cadere sulle sue ginocchia, coperte da un paio di bermuda scuri. Una chiazza scura e tonda si era formata sulla sua superficie, rugosa; forse aveva ormai raggiunto la sua pelle.
Osservai il suo corpo continuare a contrarsi, il respiro non veniva sufficientemente compensato e ció lo faceva espirare rumorosamente.

Finalmente le sue mani si levarono dal volto, scoprendolo. Gli occhi, arrossati, mi fissavano alla ricerca di comprensione. Mi sentii distrutto nell'incrontrare quelle iridi così sofferenti, piene di terrore nelle sclere tutt'altro che candide. Provai un senso di smarrimento, di vuoto, di inutilitá. A cosa servivo, io? Non potevo donare una felicitá tale da compensare una tristezza incolmabile ed improvvisa.
Ero perfettamente consapevole del fatto che se lui fosse ridotto così in parte era anche colpa mia, che non ero riuscito a fare nulla per prevenire il suo malessere.

Lo osservai, cercando una risposta valida alla sua disperazione nella sua espressione, perché il parlato, insicuro e poco spontaneo, addirittura sforzato, non mi avrebbe soddisfatto.

Le labbra, scolorite, erano asciutte. Il naso, arrossato, si contraeva per respirare, azione che veniva praticata con difficoltà. La pelle del viso era arrossata per via della pressione delle mani a cui era stata sottoposta.

Continuai a rimanere in silenzio, in attesa che fosse lui a parlare.
"Dane..." pronunciò il mio nome, arrestandosi subito dopo.
Gemette. Interpretai quel suono come un chiaro segno di sconforto.
Pendei dalle sue labbra.
"I miei genitori hanno detto che posso partire con te". Rimasi allibito dalla sua dichiarazione, non tanto per l'inusualitá dell'evento, quanto più per la sua reazione alla bella notizia.
"E perché piangi, amore?" cercai esplicitamente risposta.
Mi guardò. Il suo sguardo penetrò nelle mie pupille, ferendomi.
"Mi hanno detto che se però partirò con te, non potrò più mettere piede in casa".
"Come?".
"Hanno detto che per loro non esisterò più. Non mi rivolgeranno piu la parola, non baderanno più a me".
"Ma Ande... cos'è che ti preoccupa?".
"E me lo chiedi?". Rimasi in silenzio, deglutendo nervosamente. Non sapevo se avessi sbagliato. Non sapevo se dovessi farlo. Se dovessi continuare, a farlo.
"Non me ne frega niente che non mi parleranno più oppure che non baderanno a me. Quello giá lo fanno da tempo. È dal mio coming out che si comportano in questo modo. Sono abituato ad essere ignorato. E non sai quanto faccia male mettere piede in casa e non ricevere risposta ad un saluto. Oppure un sorriso ad una bella notizia, i rimproveri ad un brutto voto a scuola che tanto vengono criticati, ma che sono sinonimo di amore, di attenzione, di interesse da parte dei genitori, la mancanza di un consiglio quando necessario e altre mille, piccole cose quotidiane".
Guardai Andrea, che nel frattempo si era placato dopo aver dato libero sfogo alle sue parole. Probabilmente le lacrime non erano stato sufficienti. Ed in breve tempo aveva avuto modo di accorgersene lui stesso.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora