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Invincible, David Archuleta

Tommaso

"Uno, due, uno due!" ripeteva costantemente una voce femminile, acuta, ma allo stesso tempo cosí decisa che sottrarsi ai suoi comandi sarebbe risultato impossibile.

"Forza, non siete nemmeno a metá!" aggiungeva poi ogni volta, forse per spronare l'intero gruppo che, nel sentire ripetere all'infinito quella frase, si rassegnava all'idea che la meta si allontanasse sempre più.
Roteai gli occhi. Un respiro affannoso si era appropriato di me, impedendomi di fiatare. Ma d'altronde, con Annalisa, come sarebbe stato possibile?
Torcendo il braccio destro verso sinistra, la mano opposta appoggiata sulla spalla destra, prendevo fiato ed osservavo i miei compagni di danza che, stremati almeno quanto il sottoscritto, cercavano un po' di sollievo nella compassione altrui, negli sguardi di chi, come loro, stava subendo un allenamento pesante come pochi fra le centinaia oramai vissuti.

Accanto a me, Daniel serrava gli occhi forse per ricevere, attraverso un attimo d'oscurità, un maggiore conforto. Chissà, forse l'impedire alla propria vista la visone del mondo circostante lo faceva sentire come se il tempo attorno a sè si fosse fermato per un istante, permettendogli di riprendersi psicologicamente e fisicamente.

La musica rimbombava violentemente per la palestra e qualche volta pareva scomparire, diventare impercettibile, sotto il battito di mani di ciascuno di noi che, sotto il comando di Annalisa, dava il ritmo alla canzone che riproduceva una melodia orecchiabile ed energica.

I raggi del sole, violenti, non riuscivano a penetrare nella sala le cui finestre, poste nella parte superiore di ciascuna delle quattro pareti, erano protette da uno spesso ed opaco strato di vetro.
La palestra, perennemente buia, doveva essere illuminata con la luce artificiale e fulgente anche d'estate, anche in pieno giorno.

"Tommaso, cosa stai facendo?". Il mio nome venne appellato ad alta voce, risvegliandomi dai miei pensieri, originatisi dalla mente occupata ad analizzare le figure delle persone che, a passo svelto, percorrevano lateralmente il marciapiede, collocato in corrispondenza delle ampie e scure finestre.
"Forza, segui. Quei passi erano del ballo precedente" mi fece notare, indicando i miei piedi. Abbassai lo sguardo su di essi, mutando i movimenti non appena la coordinazione con la musica me lo permise.
"Che imbarazzo" pensai, arrossendo più di quanto non lo fossi giá per via del sudore che mi aveva reso letteralmente una pozzanghera.

Ero cosí stanco, addirittura stremato, da non rendermi conto di quanto lo fossi sul serio. Erano quasi due ore che ballavamo con interruzioni di una dozzina di secondi fra una canzone e l'altra giusto quando lo stereo, appoggiato ai piedi della sedia su cui Annalisa se ne stava seduta di fronte a noi ad impartire ordini, faceva terminare una melodia per prepararne una successiva che a breve sarebbe incominciata, obbligandoci a riprendere a muovere i passi dopo una fulminea pausa.

La mia fronte, grondante d'acqua, si aggrottava a formare delle pieghe su tutta la sua lunghezza, come se quel gesto di sforzo potesse in qualche modo farmi provare una sensazione di sollievo. La maglietta, dalla tonalitá originariamente cinerea, aveva assunto un colore corvino in molti punti della sua superficie, segno evidente di quanto stessi sudando: le ascelle, il colletto, la schiena. Completamente neri.
Sapevo che non potevo smettere di ballare per quanto lo desiderassi. Non era solo una questione di tempistica. Ero perfettamente a conoscenza del fatto che la lezione sarebbe terminata a breve. Ma da un lato, desideravo non giungesse mai alla fine. Se avessi cessato di muovere le gambe, avrei tremato come una foglia, crollando a terra ormai privo di forze.

Non ti lascerò dormire da solo Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora