Capitolo 13 - Anthea

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I rampicanti si sciolsero e il cancello si aprì verso l'interno con un delicato cigolio.

Un leggero venticello fresco scompigliava loro i capelli spingendole verso l'interno, dove un giardino affollato di alberi dalle fronde gialle e alte, propagavano la luce del sole ovunque, dando l'impressione di essere in un giardino cosparso d'oro.

«Quanto mi è mancato questo posto...» sospirò Flora commossa.

Loto era rimasta ferma sulla soglia, incredula e incapace di muovere un solo muscolo del suo corpo.

«È un sogno?» chiese in un sussurro.

«Non dire sciocchezze e vieni avanti».

«Ma come può esistere un posto come questo?»

Flora sogghignò e le fece cenno di farsi avanti. Loto strinse la bretella dello zaino e si fece guidare oltre la soglia. Si guardò attorno stupita mentre il cancello, con la stessa lentezza con cui si era aperto, si chiudeva alle sue spalle.

Passarono attraverso il bosco dalle fronde gialle seguendo un sentiero che, secondo da quanto le aveva spiegato la zia, solo quelli con buone intenzioni riuscivano a vedere e ad arrivare al cuore di Anthea; erano alberi incantatori ed erano stati piantati lì secoli e secoli prima per depistare e confondere un intruso.

Dopo una lunga camminata attraverso il bosco degli alberi incantatori, incapparono in un giardino dall'erba folta e soffice come un tappeto, dove c'erano alberi dalle fronde verdi, mosse da una brezza fresca, che giocava con le loro foglie come se fossero strumenti suonati da mani di entità divine.

Al centro della radura c'era un'antica cattedrale dalla quale entravano e uscivano ragazzi e ragazze. Il sole illuminava di una luce dorata tutto ciò che riusciva a toccare. C'erano ragazzi distesi all'ombra degli alberi, altri che giocavano e parlavano.

I suoi occhi erano avidi di dettagli e avrebbe voluto tempestare Flora di domande ma all'improvviso, a sinistra della cattedrale, vide qualcosa cui fece fatica a credere.

«Ma com'è possibile?» chiese Loto senza fiato.

«Quello è l'Albero Sacro»rispose Flora.

Era l'albero più grande che Loto avesse mai visto in vita sua. Si trovava al centro del giardino, punto focale di tutte le attività degli abitanti che gli giravano attorno come piccole formiche operaie. La fronda era bassa ed estesa, di un vivido verde con sfumature gialle, da cui provenivano canti di uccellini che riempivano l'aria di vitalità.

Il tronco era robusto e rugoso, del colore dell'ambra, con venature marroni. I rami erano antichi e flessuosi e alcuni di essi avevano col tempo modificato il loro ruolo, andando ad appoggiarsi sul terreno per sostenere il peso delle altre ramificazioni.

Intorno alle ramificazioni verticali erano state costruite delle scale a chiocciola che arrivavano fino in cima su cui erano state posizionate delle piattaforme aeree, con telescopi giganti per studiare le stelle e il movimento della luna.

Più in basso si potevano scorgere robuste radici sulla cui sommità gli abitanti di Anthea avevano costruito dei palchi adibiti a zona studio e raggiungibili sempre tramite scale a chiocciola.

«La leggenda narra che le radici dell'Albero Sacro arrivino a chilometri e chilometri di profondità e le più vecchie possono raggiungere perfino l'altra parte del mondo» spiegò Flora.

Mentre Loto guardava avidamente l'Albero Sacro per assaporarne la magnificenza, notò il tronco vibrare emettendo un lento boato, poco dopo una crepa comparve nel mezzo e uno dei ragazzi che attendeva lì davanti, prese dalla fessura un libro e si avviò verso l'Abbazia, come se fosse una cosa normale.

Anthea #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora