Capitolo 31 - Sangue

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«Peacock! Muoviti! Vieni a darmi una mano».

I contorni del bosco tornarono nitidi e i suoni la colpirono come una doccia gelata.

Maestro Sgurfio era inginocchiato di fianco all'esile corpo di sua sorella, a torso nudo. Una benda gli avvolgeva la spalla, sollevò il corpo di Iridis e una smorfia di dolore gli deformò la faccia, segnata dalla stanchezza e subito dopo una macchia di sangue si allargò sulle bende bianche.

Peacock gli fu subito accanto, avvolse la sorella con le braccia e cercò di sollevarla. Il pugnale era rimasto dentro al suo esile corpicino.

Iridis aprì gli occhi. «Loto è in pericolo, devi starle vicina...» sussurrò debolmente mentre il suo sguardo vagava verso il cielo. Sembrava ormai lontano.

«Non parlare amore mio, risparmia le forze».

«Un arcobaleno...» disse con l'ultimo filo di voce.

Peacock alzò lo sguardo al cielo, sopra le loro teste comparve l'arcobaleno più luminoso e sgargiante che avesse mai visto. La pioggia aveva cominciato a scendere, il sole a est splendeva e rifletteva la sua luce creando quel magnifico gioco di colori e luci che si tuffavano sul Lago Lunare.

Quando Peacock tornò a guardare la sorella, la vita l'aveva abbandonata, lasciando vuoto quel corpo così minuto e indifeso. La chioma di capelli era luminosa nonostante fosse stata recisa e si spense lentamente, mentre gli ultimi bagliori di vita venivano restituiti alla terra.

Un fiume di lacrime cominciò a scorrere dai suoi occhi, le sue mani si riempirono di sangue, la pioggia adesso era diventata una cascata, come se il cielo si stesse sgretolando.

Strinse la sorella al petto.

«Ti voglio bene...» sussurrò, stringendola fra le braccia.

E poi, cominciò a cantare una ninna nanna antica come la terra, era la sua preferita, quella che la mamma le cantava sempre per farla addormentare.

Sgurfio le appoggiò una mano sulla spalla e Peacock si attivò come un automa.

«De-devo trovarlo...».

Quanto tempo era passato da quando era la? Sembrava fosse passata un'eternità, tremava ed era zuppa dalla testa ai piedi, aveva fango appiccicato ovunque e l'odore metallico del sangue in bocca.

«Lascia stare. Ci stanno pensando Agroste e Nefele» disse Sgurfio con voce profonda e gentile.

Un attimo dopo, dalla radura comparvero Agroste e Nefele, bagnati fradici.

Nefele raggiunse l'amica e l'abbracciò scoppiando a piangere. Sgurfio si alzò in piedi, Agroste si tolse la giacca e gliela porse. Vederlo in piedi, sano e salvo gli aveva dato un'illusione di speranza; ma si sbagliava, la bambina era ancora li, distesa per terra.

«Devi medicarti Maestro Sgurfio. Perdi sangue» disse, poi si rivolse ad alcuni magi accorsi a curiosare. «Ehi voi! Portatelo dalle anziane, ha bisogno di medicazioni».

Peacock afferrò Agroste per un braccio e lo girò con uno strattone. Gli occhi erano rossi e dentro di lei si spalancarono le porte della vendetta.

«Dov'è? LUI DOV'E'?» urlò.

«È scappato» disse lui. I suoi occhi divennero tristi e lucidi. «Mi dispiace».

«Ti dispiace? Ti dispiace? Mia sorella è morta per colpa sua e tu mi dici che è scappato?»

Nefele le fu subito accanto. «Lo prenderemo Peacock. Te lo giuro».

Agroste si strinse la testa fra le mani, mentre le lacrime si mescolavano alla pioggia.

Anthea #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora