Capitolo 11 - Merefin

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Camminavano una dietro l'altra da tutto il giorno, attraverso il bosco che si infittiva sopra le loro teste; la zia davanti a spianare la strada e Loto al seguito.

Flora era una persona taciturna e riservata, ma allietava le ore di cammino cantando filastrocche e poesie che Loto credeva di conoscere da sempre. Ogni tanto la vedeva appoggiare una mano sul tronco di un albero e questo le pareva subito rinvigorito, più luminoso e forte.

Percepiva dei movimenti con la coda dell'occhio e sentiva che il suo sguardo veniva costantemente richiamato da qualcosa che scompariva tutte le volte che si girava a guardare.

Era affascinata da tutto ciò che la circondava e varie volte si ritrovava a sperare che quel tragitto non finisse mai.

Sotto le fronde degli alberi, il sole filtrava attraverso le foglie proiettando fasci di luce dorata.

Camminarono per tutto il giorno e riuscì a capire quando stava cominciando a calare la sera, solo osservando il riverbero.

«Dobbiamo accamparci per la notte» disse a un certo punto Flora, risvegliando Loto dall'incanto che quel luogo esercitava su di lei. «A un'ora da qui c'è un lago, ce la fai a camminare ancora?»

Loto annuì. Le sembrava di aver camminato per un breve tragitto nonostante fossero in marcia dal primo mattino.

«Zia, le poesie che canti sono magiche?» domandò curiosa ma sentendosi stupida allo stesso tempo.

«Perché me lo domandi?» chiese, girandosi a guardarla.

«Perché non mi sento stanca, potrei procedere per altre dieci ore senza fermarmi».

«Credo sia l'euforia del viaggio. Comunque ti ricordo che sei una ninfa» disse e riprese a camminare. «Il bosco ti restituisce ciò che gli dai. Ti culla, ti sorregge e ti scorre nelle vene».

Quando la zia le ricordò che anche lei era una ninfa, le venne in mente ciò che aveva studiato a scuola: le ninfe venivano descritte sui libri come creature bellissime e mitologiche, perfette e giovani che vivevano nella natura e la rendevano florida.

Ripensò al suo passato, così poco distante ma lontano anni luce dal presente, in cui passava più tempo fra le fronde degli alberi anziché insieme ai suoi amici.

All'improvviso mentre i suoi pensieri viaggiavano per i boschi, un enorme lago nero comparve davanti ai suoi occhi, gli alberi si aprirono mostrando uno spicchio di sole arancione all'orizzonte, poco prima di tuffarsi fra le fronde degli alberi che le circondavano.

La zia cercò un posto comodo dove mettere i sacchi a pelo e allestire un fuoco per la notte.

La sensazione di disagio le nacque dal profondo della pancia, per arrivarle alla gola, si accorse solo in quel momento che si trovava lontana da casa e che non vi avrebbe fatto ritorno per chissà quanto tempo. All'improvviso sentì la necessità di scappare da quel luogo, per quanto bello potesse essere, tutti quegli alberi sembravano volerla soffocare.

«Respira, Loto» disse Flora, senza alzare lo sguardo da ciò che stava facendo. «O farai appassire tutte le foglie nel raggio di cento metri».

«Co-cosa hai detto?» annaspò.

«Devi stare calma».

«Come fai a sapere...»

«Guardati i piedi» mormorò la donna.

Guardò in basso e vide che attorno a lei una zolla di erba stava appassendo diventando marrone e poi mera.

«Sono io che sto facendo questo?»

Anthea #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora