Capitolo 38 - Imboscata

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I commensali più giovani erano caduti addormentati sotto i fumi dell'alcool per l'ennesima notte di fila, mentre pochi anziani continuavano a raccontarsi le battaglie tramandate dai loro padri, come un disco rotto e come se fosse la prima volta da molto tempo.

Le torce illuminavano il perimetro del banchetto, bruciando l'olio al loro interno. Il silenzio circondava i presenti e il bosco era schiarito dalla luna.

«Amico mio, è tutta la sera che ti vedo teso...» disse sornione Testudo. «Non ti stai divertendo in queste sere. Vino, birra e cibo a volontà. La compagnia di ottimi amici non manca e tu continui a ostentare quell'espressione affranta. Ti preferisco quando sei nella tua forma naturale, almeno so che l'espressione ti è imposta».

«Da quando sono arrivato sono passati tre giorni. Speravo che avremmo preparato una strategia» rispose torcendosi le mani nervosamente.

In quel momento avrebbe voluto essere lui il capo dei Ghemor per poter imporre la sua parola.

«Stai tranquillo, domani ci metteremo in moto e andremo a salvare quel popolo. Hai paura che non mantenga fede alla promessa data?» chiese serio senza realmente volere sentire una risposta. «Io mantengo sempre ciò che prometto».

Così dicendo si scolò un boccale di birra in un sol fiato, gli occhi erano annebbiati e il suo alito puzzava di marcio.

«Lo so, Testudo. Sei un uomo di valore ma ho una pessima sensazione...» volse lo sguardo alle stelle. «Questi uomini non sono più abituati a combattere e da quando sono qui non fanno altro che mangiare, bere e cantare».

«Lasciali divertire, amico mio. Molti di loro non avranno più la possibilità di mangiare un lauto banchetto e io era da troppo tempo che non mi divertivo in questo modo».

«Continuo ad avere delle sensazioni spiacevoli. Delle visioni mi appaiono in sonno e sono così... raggelanti» confidò Firer alzandosi in piedi per sgranchirsi le gambe.

«Tu sei un uomo impressionabile e segui troppo i tuoi sogni. Invece di stare calmo e goderti la compagnia e il cibo sei qui che tieni il broncio. Sembri uno iettatore e questo non lo accetto dal mio migliore amico».

«Continui a dirmi che sono il tuo migliore amico, ma mi hai appena dato del visionario e guastafeste, quando il mio intento era metterti all'erta» disse secco.

«Ti do del visionario perché mi racconti i tuoi sogni come se io fossi una balia e tu una ragazzina. Quanti dei tuoi sogni "premonitori" si sono avverati?» chiese in tono di sfida e con un sorriso beffardo dipinto sul viso. «Ali nere che arrivano nella notte, fiamme alte che bruciano e divorano. Corpi riesumati. Animali e alberi uccisi privati della loro anima...» continuò con ironia. «Quante di queste cose si sono avverate?»

Firer guardò il volto di colui che un tempo credeva amico. Non lo riconosceva ed era distante anni luce da ciò che aveva lasciato quando era partito per chiamare altri Ghemor.

Si sentì uno sciocco ad avergli confidato i suoi sogni. Voleva con tutto se stesso fingere che tutto andasse bene ma il suo istinto continuava a tenerlo all'erta. Erano anni che non faceva sogni. Fin da prima della grande guerra.

Aveva sognato morte e distruzione, sangue del suo stesso sangue versato e tutto si era avverato.

Qualche notte prima era successa la stessa identica cosa: immagini oniriche erano entrate per disturbare i suoi sonni. L'irrequietezza aveva cominciato a scorrergli nelle vene come il vino che scorreva nelle gole dei Ghemor, in quelle sere di risate e canti.

«Al diavolo tu e tutte le tue premonizioni!» cominciò a urlargli contro mentre Firer si allontanava verso il bosco, amareggiato. «Se avessi voluto una veggente avrei chiesto a Desdrea di farmi da consigliere, non un capoccione di un coccodrillo!»

Anthea #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora