Capitolo 43 - Avvicinati

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L'indomani mattina si misero in marcia. Tregar e Ghemor fianco a fianco. Dietro di loro avevano lasciato una Cattedrale a cielo aperto.

Le donne erano rimaste alla base per aiutare i feriti e recuperare i beni di prima necessità, per mangiare e bere. I ragazzini piccoli, ancora cullati dalla loro incoscienza, erano occupati a giocare alla guerra con bastoni di legno.

Alcuni Tregar si erano offerti di rimanere con loro per proteggerli, nel caso di altri attacchi ed essendo dotati di ali potevano coprire un ampio raggio e fornire un grosso vantaggio di fuga, se si fosse ritenuto necessario.

Testudo invece era a capo della spedizione. Il suo passo era ritmato dal battito del suo cuore che urlava rivincita, mentre al seguito aveva uomini forti e valorosi.

Un giorno e mezzo di marcia attraverso il bosco mutilato, bruciato e privo di vita, che muoveva la loro sete di vendetta.

Re Aquila con il gufo Toi e altre sentinelle al seguito, perlustrarono la zona dall'alto anticipando i tragitti più brevi e comunicando la presenza di eventuali ostacoli da raggirare.

«Testudo!» lo chiamò Aquila dall'alto.

L'amico alzò la testa, appoggiando una mano alla fronte per proteggere i suoi occhi dal sole che risplendeva in quel giorno in cui molto sangue sarebbe stato versato.

«Più avanti, verso sud, sta succedendo qualcosa. Affrettate il passo, noi andiamo in perlustrazione».

Testudo gli fece cenno di aver capito e continuò la sua marcia come una macchina pronta ad abbattere ogni Archema che avrebbe cercato di ostacolare il suo cammino.

Qualche ora più tardi Aquila tornò dall'amico e dietro di lui tutti i Tregar al seguito.

«Cosa succede?» chiese pensieroso mentre Aquila si posava di fronte a lui.

In un battibaleno tornò nelle sembianze umane. Così fecero anche gli altri Tregar e per la prima volta in vita sua Testudo riuscì a vedere questo fidato Toi: il gufo messaggero.

Era un uomo mingherlino, tutto ossa e nervi. Il suo viso era piccolo e magro, ospitava un naso lungo con una gobba che lo faceva deviare verso il basso.

Non era di certo bello come i Tregar e dava l'impressione che i nervi che lo tenevano insieme si sarebbero potuti rompere da un momento all'altro.

«Più avanti abbiamo visto una zona anomala. Dall'alto sembra un buco di cenere circondato da alberi verdi» rispose Aquila.

«Come mai vi siete fermati? C'è qualcosa di strano?» chiese Testudo confuso.

«Sì, c'è un uomo al centro» spiegò con cautela. «E tu lo conosci bene»

Testudo scattò in avanti ma Aquila lo fermò sbarrandogli la strada: «Questa non è la tua guerra, amico. Dobbiamo pensare a una strategia».

«Come pensi di agire?» chiese con la mandibola serrata e i pugni stretti.

«Io e i miei ci apposteremo senza fare rumore sugli alberi intorno. Abbiamo visto che gli Archema e gli Archezo sono distribuiti per tutto il perimetro del bosco»

«Hai visto la ragazza?» chiese scuro in volto e temendo la risposta. Sentiva che ormai l'aveva presa a cuore. Il suo animo da guerriera lo aveva conquistato.

Aquila annuì.

«Non è sola, ci sono molti con lei ma sono in netto svantaggio».

Il suo viso cupo fece sentire instabile Testudo. Forse il loro arrivo poteva fare la differenza.

«Ok» mormorò a sé stesso cercando una soluzione. «Alcuni di noi, quelli più velenosi possono avvicinarsi agli Archema più lontani e con un po' di fortuna potremmo metterne fuori gioco molti» Continuò a pensare e a elaborare una strategia con le possibilità che aveva.

«Direi che è un'ottima mossa. Ma non siamo comunque abbastanza» disse l'altro.

«La ragazza parlava di tagliare la testa agli Archezo...»

All'improvviso si ricordò di come Aquila aveva svitato la testa dell'Archezo. «Non potete assalirli dall'alto?»

«Sono l'unica aquila reale qui. I miei corvi e falchi non hanno la stessa forza che possiedo io».

«Potremmo tentare, Aquila» si fece avanti Moe, un corvo nero e grosso che da umano faceva sfoggio di braccia muscolose e gambe veloci. Aveva capelli neri e lunghi fino a metà della schiena. I suoi occhi erano profondi come la notte.

Aquila si girò a guardarlo e annuì deciso. Moe richiamò a sé, con un fischio lungo e acuto, una ventina di altri uomini. Testudo li guardò e vide che a confronto Moe era il più grosso di tutti.

«Attendiamo a sferrare l'attacco?» chiese Aquila serio.

«Devo mandare avanti i miei serpenti velenosi e appena la battaglia comincerà entreremo anche noi in guerra».

Testudo era risoluto e la sua ira un potente carburante. Sentiva che potevano farcela, anche se erano di numero inferiore al nemico.

Guardò in alto nel cielo azzurro. Pensò all'ironia di quella giornata di sole e a come si sarebbe trasformata di lì a poco.

Aquila annuì. Moe e gli altri Tregar andarono a posizionarsi. I Ghemor presero posto intorno alla circonferenza del bosco, pronti a sferrare il loro attacco.

I due amici si guardarono silenziosi.

«Buona fortuna, amico mio!»

Testudo gli porse la mano per salutarlo, Aquila la strinse forte e lo tirò a sé, avvolgendolo in un abbraccio.

«Stai attento figlio mio» rispose con triste amarezza. Così dicendo volò in alto nel cielo azzurro. 

Anthea #WATTYS2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora