24. ALICE HA 44 ANNI

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Bollino rosso

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Il club si chiamava "Dark angel", lo aveva trovato su Google. Era un locale buio, con i candelabri che gettavano luci soffuse sui volti mascherati dei clienti. Al piano terra c'erano il bar e la pista da ballo, il Dj che suonava musica dal vivo e, dietro un separé, divanetti in pelle già tutti occupati da coppiette che si sbaciucchiavano. Per accedere al piano di sopra si doveva pagare un sovrapprezzo al bodyguard dalla testa rasata e l'espressione di pietra, ma Alice dubitava che ci sarebbe salita. Era lì solo per divertirsi un po', per staccare la spina.

Si sistemò la maschera in pizzo nero che le copriva gli occhi e ordinò un altro cocktail. Era il terzo e iniziava a sentirne l'effetto. Sapeva di essere attraente in quel vestitino rosso cupo, eppure fino ad allora nessuno l'aveva avvicinata. Guardò l'ora sul cellulare: era mezzanotte. Forse era ancora presto per quel tipo di locale.

Si domandò se Bobby stesse ancora lavorando o si fosse già addormentato. Gli aveva detto che andava alla festa di addio al nubilato di una vecchia amica, e lui non aveva chiesto altro, neanche a che ora sarebbe tornata, come se non gli importasse nulla di quello che faceva sua moglie. Alice si chiedeva come avrebbe reagito se gli avesse detto che andava ad ubriacarsi in un club. Le avrebbe detto comunque «Divertiti» e sarebbe tornato ai suoi libri di legge?

Alice si massaggiò una tempia. La musica alta iniziava ad infastidirla, dopo due ore chiusa lì dentro. Avrebbe solo voluto parlare con qualcuno, ma il barman era frettoloso, aveva decine di clienti da servire. Forse aveva sbagliato locale. Che le importava delle maschere e del piano riservato? Non voleva sesso, voleva sfogarsi con qualcuno. Forse avrebbe dovuto iniziare a pagare uno psicologo. Non si decideva a raccontare le sue pene a nessuno. Ad Alease avrebbe forse potuto raccontarne una parte... ma non poteva parlarle di suo padre, quello no.

«È da un pezzo che ti osservo» disse una voce al suo orecchio.

Alice si girò verso l'uomo. Aveva folti capelli neri, occhi di un azzurro impressionante e un sorriso fantastico circondato da una corta barbetta. Il resto era coperto da una maschera veneziana grigia. Non era elegante come il resto degli uomini. Indossava solo una camicia in tinta con la maschera e jeans neri.

«Cercavo di capire se aspettavi qualcuno, in quel caso non avrei mai voluto beccarmi un pugno» spiegò con un sorriso, mimando l'atto di schivare un colpo.

Alice sorrise. «Potevi risparmiare il tuo tempo. Sono da sola.»

«Come mai?»

«Me lo chiedo anch'io» flautò lei. «Vuoi bere qualcosa?»

«Di solito è la mia battuta.» Risero entrambi, poi lui ordinò altri due cocktail. «Come ti chiami?»

«Pepper, tu?»

«Tom.» Tintinnarono i bicchieri e bevvero. «Cosa fai qui?»

«Volevo evadere per un momento dalla mia inutile vita» sospirò Alice, alzando gli occhi al cielo con aria volutamente melodrammatica.

«Faccende di cuore?»

«Dubito che io e mio marito usiamo ancora cuore in quello che facciamo. Siamo sposati da troppi anni e iniziamo ad esserne entrambi stufi.»

«Esiste il divorzio.»

«È una parola che fa paura. È così... definitiva.»

Tom le sfiorò il bordo della maschera, toccandole appena la guancia. «Poi saresti libera di non portare più una maschera per divertirti.»

Alice si sentiva leggera, con la testa vuota. Era merito dell'alcol, ma non solo. Quell'uomo l'affascinava. Forse dipendeva dal suo sorriso. Non ne aveva mai visto uno così splendente, quasi da spot pubblicitario.

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